Il voto di martedì 4 maggio nella Comunità autonoma di Madrid, anticipato di due anni rispetto alla scadenza naturale, ha confermato le previsioni dei sondaggi. Ha stravinto il Pp della presidentessa uscente Isabel Díaz Ayuso che con il 44,7% dei voti ha conquistato 65 seggi, più del doppio dei 30 ottenuti nel 2019 con il 22,2%. Ha lievemente incrementato i propri consensi anche Vox che dall’8,8% e 12 seggi è passato a 13 con il 9,1%. Sull’altro fronte, malissimo è andato il Psoe crollato dal 27,3% e da 37 seggi al 16,8% e a 24 seggi, scavalcato seppur di poco dal movimento uscito da una costola di Podemos, Más Madrid che dal 14,6% con 20 seggi è passato al 16,9% e 24 seggi. Ha accresciuto i propri voti anche Unidas Podemos (Up) con capolista Pablo Iglesias, dimessosi per candidarsi dalla vicepresidenza del governo Sánchez, che è passato da 7 a 10 seggi con un lieve incremento percentuale. Tra le due sponde, malissimo è andato Ciudadanos (C’s) che ha sperperato in due anni un patrimonio di voti che sfiorava il 20% con 26 seggi e che ora, non riuscendo a superare la soglia del 5% è rimasto fuori dall’Assemblea rappresentativa della Comunità autonoma.
Una crisi avviata da tempo quella di C’s, la cui instabile collocazione ha a che vedere con il voto anticipato di Madrid. L’antefatto è la mozione di censura presentata nel marzo scorso da C’s e dal Psoe nella Comunità autonoma di Murcia contro il presidente del Pp, fino a quel momento sostenuto da C’s e Vox. Mozione poi ripetuta, questa volta con successo, per sfiduciare il sindaco della città anch’esso del Pp. Proprio per evitare un effetto domino, e cioè che un’analoga situazione si producesse nella Comunità di Madrid, Ayuso ha giocato d’anticipo sciogliendo l’Assemblea e chiamando i cittadini al voto.
Al termine di una campagna elettorale infuocata, nella quale non sono mancate anonime minacce di morte rivolte ad alcuni esponenti della sinistra, nonostante il giorno feriale si è recato alle urne il 76,2% dei 5,1 milioni di elettori con una forte impennata rispetto alla consultazione precedente che aveva visto la partecipazione al 64,2%. Ora, contando sui suoi 65 voti in un’Assemblea di 136 seggi, Ayuso ha la strada spianata per la riconferma: per raggiungere i 69 voti necessari potrà contare sul voto di Vox o, in seconda votazione, bastandole la maggioranza semplice, sull’obbligata astensione del partito di Santiago Abascal, che altrimenti aprirebbe la possibilità di investitura a un rappresentante delle sinistre sconfitte.
Detto dei numeri, è poi possibile svolgere alcune considerazioni sul voto.
La prima e la più importante riguarda l’orientamento dell’elettorato in tempi di pandemia. La Comunità di Madrid è quella che ha adottato le misure meno restrittive. È andata incontro a quella parte della popolazione che vive sul turismo e ha assecondato lo stile di vita e la socialità dei madrileni che, specie nel fine settimana, affollano strade, piazze, bar e ristoranti celebrando una sorta di rito collettivo identitario che non risparmia nessuna fascia d’età. Enfatizzando la libertà contro i provvedimenti antipandemici del governo Ayuso, ha praticato una politica di aperture a dispetto degli alti prezzi pagati in termini percentuali in contagi, deceduti e nelle occupazioni dei posti di terapia intensiva degli ospedali: le più alte della Spagna in comparazione a quelli di altre città e Comunità. Cavalcare populisticamente l’onda favorevole alle aperture a scapito del senso di responsabilità e della prudenza ha pagato in termini elettorali. E non c’è chi non veda l’insegnamento che il caso offre in relazione ad altri contesti.
Cavalcare populisticamente l’onda favorevole alle aperture a scapito del senso di responsabilità e della prudenza ha pagato in termini elettoraliUna seconda considerazione riguarda il Pp. La Comunità di Madrid è stata governata ininterrottamente dal 1995 dal Pp. In solitudine fino al 2015, poi grazie al voto di fiducia di C’s, entrato nella coalizione dopo il voto del 2019, quando il Pp ebbe però bisogno anche dell’appoggio esterno di Vox. Il ricorso al voto della destra estrema non fu un’eccezione, perché i popolari ne usufruirono anche nelle Comunità autonome di Murcia, dell’Andalusia e di Castiglia-León. Il mancato cordone sanitario nei confronti di Vox aveva sbilanciato a destra il partito a tal punto da costringere Pablo Casado a cercare di porvi rimedio votando contro la mozione di sfiducia presentata da Vox nell’ottobre 2020 contro il governo Sánchez e pronunciando per l’occasione un duro discorso contro la formazione dell’ultradestra. Ora, se è vero che Ayuso ha contenuto l’avanzata di Vox, lo è altrettanto che l’ha fatto spostando a destra il baricentro del Pp, cosa che prevedibilmente influirà sull’orientamento del partito, per non dire della possibile sfida alla leadership di Casado.
C’è poi una costatazione che riguarda C’s e che getta luce su tutta la storia politica della democrazia spagnola post-franchista. Ebbe vita breve (1977-1982) il partito di Adolfo Suárez, l’Unión de Centro Democrático, che pure svolse un ruolo fondamentale nella transizione alla democrazia e ancor più effimera fu l’esperienza del Centro Democrático Social, sempre di Suárez, che scomparve dopo la fiammata del 9,2% alle elezioni del 1986. Le stesse in cui si schiantò il Partido Reformista Democrático sognato da Miquel Roca. Rosa Díaz con Unión Progreso y Democracia (Upyd) non andò oltre il 4,7% alle elezioni politiche del 2011 e C’s, toccato il tetto del 13,9% in quelle del 2015, ha poi imboccato una precipitosa caduta nell’irrilevanza. Si tratta di formazioni politiche sorte tutte con l’obiettivo di occupare il centro e scardinare il bipartitismo, che invece è stato messo in crisi dalla nascita di nuove formazioni di sinistra (Podemos) e di destra (Vox).
Si tratta di formazioni politiche sorte con l’obiettivo di occupare il centro e scardinare il bipartitismo, messo in crisi dalla nascita di nuove formazioni di sinistra e di destraSe si considera che nella Comunità più ricca del Paese con al centro la sua capitale il Pp ha preso il 4 maggio più voti e seggi di tutta la sinistra nel suo complesso viene facile pensare che qualche ricaduta si avrà sul governo di Pedro Sánchez, del quale il minimo che si possa dire è che ne esce alquanto indebolito.
Il voto del 4 maggio ha portato alla ribalta la candidata di Más Madrid, Mónica García, un medico che ha puntualmente e pacatamente saputo tener testa ad Ayuso. Ulteriore declinazione al femminile della nuova stagione politica spagnola, dopo il subentro alla vicepresidente del governo della ministra del Lavoro e dell’Economia sociale, Yolanda Díaz, al posto di Iglesias. Il quale con una decisione che ha sorpreso tutti la sera stessa del voto ha annunciato il proprio ritiro dalla vita politica anche per non ostacolare il processo di rinnovamento di Up, auspicato in chiave femminile. Un gesto senz’altro nobile, impensabile in altre longitudini mediterranee, destinato a far discutere nel prossimo futuro, ma che non si esime intanto dal valutare in modo critico la sua campagna elettorale tutta impostata sulla necessità di porre argine alla destra e alla minaccia fascista rappresentata da Vox.
Resta, per concludere, da ricordare che l’anticipo delle elezioni non ha sostituito la scadenza naturale della legislatura e che pertanto gli elettori della Comunità di Madrid torneranno alle urne nel maggio del 2023. Due anni decisivi per l’evoluzione del quadro politico e per il riassesto delle sinistre oggi sconfitte.
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