Con un gesto a sorpresa, il presidente del governo spagnolo, Pedro Sánchez, nella mattinata di ieri, 29 maggio, si è presentato di fronte al sovrano, e ha convocato nel pomeriggio il Consiglio dei ministri, ha dissolto le Cortes e indetto per il 23 luglio, anticipandole di qualche mese, nuove elezioni legislative. Ad accrescere lo stupore è il fatto che il 1° luglio scatterà la presidenza spagnola di turno del Consiglio dell’Unione europea. Confermando la rapidità dei tempi della politica spagnola, la decisione è stata presa all’indomani delle elezioni per il rinnovo dei parlamenti di 12 Comunità autonome e delle amministrazioni municipali di tutti gli oltre 8 mila comuni. Elezioni che hanno visto la grave sconfitta del Psoe, la forte affermazione del Pp, il successo dell’estrema destra di Vox, un notevole ridimensionamento di Unidas Podemos (Up) e la quasi sparizione di Ciudadanos (Cs), ormai ridotti all’irrilevanza.
Considerando il censo elettorale delle comunali (che, con le ovvie specificità, era in questo caso il più rappresentativo dell’intero territorio nazionale), a essere stati chiamati alle urne sono stati 35,4 milioni di elettori, dei quali si è recato a votare il 64%. Il Pp è risultato il primo partito con 7.046.634 voti (31,5%), secondo il Psoe con 6.288.907 voti (28,1%), terzo Vox con 1.608.187 voti (7,1%), mentre in forte calo è Unidas Podemos, la cui confluenza in cartelli elettorali con varie denominazioni non consente ancora di indicare numeri certi. Nelle precedenti elezioni comunali, svoltesi nel 2019, il Psoe aveva ottenuto 6.695.553 voti e il 29,3%, seguito dal Pp con 5.154.728 voti e il 22,6% e da Ciudadanos con 1.989.556 voti e l’8,7%, mentre Podemos e Vox si erano presentati. Spettacolare il crollo di Cs, che non ha conquistato seggi nelle Comunità autonome e che è sparito dai consigli comunali delle principali città. Non meno spettacolare il crollo dei socialisti in Andalusia, dove il Pp è diventato la prima forza politica in sette degli otto capoluoghi, cinque dei quali con maggioranza assoluta.
Per quanto riguarda le grandi città, a Madrid il Pp ha ottenuto la maggioranza assoluta. Incerta è la situazione di Barcellona, dove ha prevalso di poco la coalizione nazionalista moderata Junts
I socialisti, da soli o in coalizione, governavano in nove delle dodici Comunità autonome chiamate alle urne. Di queste, solo nelle Asturie, in Castilla-La Mancha e nelle Canarie hanno visto la propria conferma, mentre il Pp è diventato la prima forza politica in Aragona, Baleari, Cantabria, La Rioja e nella più popolosa Comunità valenciana. Potrebbe governare anche in Estremadura, dove assieme a Vox raggiungerebbe la maggioranza di 33 voti, contro i 32 che sommerebbero Psoe e Up. I popolari hanno ottenuto la maggioranza assoluta nella Comunità autonoma di Madrid, in quella di La Rioja e nella città autonoma di Melilla. Per governare le altre, invece, avranno bisogno di stringere accordi con Vox ed eventualmente di sottostare alle sue condizioni. Solo in Catalogna, dove non si è votato per il rinnovo del governo, i socialisti hanno guadagnato voti, diventando la prima forza politica a Tarragona, Lerida e Girona, mentre è arretrata sensibilmente Esquerra Republicana de Catalunya (Erc). Nei Paesi baschi, a scapito del Partito nazionalista basco, ha sensibilmente accresciuto i propri consensi il nazionalismo radicale di Eh Bildu, peraltro risultato primo partito a Vitoria. Infine, la frantumazione delle forze politiche rende incerta la governabilità nella Navarra, dove più probabile appare la formazione di un governo di centro-sinistra.
Per quanto riguarda le grandi città, a Madrid il Pp ha ottenuto la maggioranza assoluta. Incerta è la situazione di Barcellona, dove ha prevalso di poco la coalizione nazionalista moderata Junts, ma la maggioranza meno improbabile è quella che dovrebbe formarsi con i voti dei socialisti (10 consiglieri), di En Comú (9), di Erc (5), con un sindaco socialista. Anche Valencia passa dall’amministrazione socialista a quella del Pp; lo stesso avviene a Siviglia, roccaforte socialista, dove, raddoppiando quasi i propri consensi, ha stravinto il Pp, che pure ha vinto a Zaragoza, Valladolid, Castellón e Palma de Mallorca.
Non è possibile ignorare il vento di destra che sta soffiando da qualche tempo sull’Europa, segno di una stagione politica che sta nascendo, con la quale il Paese iberico da oggi si trova perfettamente allineato
Non è agevole individuare le cause della sconfitta socialista, specie in considerazione del discreto andamento dell’economia, testimoniato dalla crescita del Pil (3,8 nel primo trimestre del 2023), del significativo incremento dell’occupazione e dell’ampliamento delle politiche sociali. Certo, a favorire l’affermazione della destra ha contribuito anzitutto il crollo verticale Ciudadanos, i cui voti si sono riversati in larga misura sul Pp. Un secondo fattore può essere individuato nella leadership di Alberto Núñez Feijóo, subentrato a Pablo Casado, la cui direzione del partito era stata a dir poco sbiadita. Un terzo motivo è certamente costituito dalla perdita di consensi di Unidas Podemos, che dopo le dimissioni di Pablo Iglesias, che pure ci aveva messo del suo, sembra aver perso la spinta propulsiva che ne aveva contraddistinto la prima stagione. Né è possibile ignorare il vento di destra che sta soffiando da qualche tempo sull’Europa, segno di una stagione politica che sta nascendo, con la quale il Paese iberico da oggi si trova perfettamente allineato con certificazione elettorale. Guardando, invece, il sistema politico spagnolo, le elezioni del 28 maggio hanno confermato l’eclissi del bipartitismo anche sul piano delle Comunità autonome.
Tornando alle dimissioni di Pedro Sánchez, il gesto non è privo di rischi, ma secondo molti analisti rivela anche assunzione di responsabilità, coraggio e visione politica. Anticipando le elezioni politiche evita che la sconfitta, occupando l’agenda politica, si trascini in un dissanguante dibattito per tre mesi. Di fatto la cancella, sostituendola con la campagna elettorale. Una campagna elettorale nella quale potrà rinfacciare al Pp gli accordi che dovranno stringere con l’estrema destra di Vox per il governo di alcune Comunità autonome, stigmatizzandone in presa diretta la deriva a destra. Potrà utilizzare inoltre la tribuna e la vetrina europea a fini del consenso.
Ovviamente si tratta di una scommessa, alla quale s’aggiunge l’incognita che riguarda l’area politica alla sinistra del Psoe. Da qualche mese la vicepresidente del governo in carica e figura tra le meglio valutate della compagine, la ministra del Lavoro Yolanda Díaz, ha lanciato la costruzione di un cantiere denominato Sumar (sommare, aggiungere) nel quale dovrebbero trovare coagulo elettorale Unidas Podemos, gli ex comunisti di Izquierda Unida, consistenti raggruppamenti come Más Madrid, En comú, Compromis, gruppi femministi, i Verdi e l’arcipelago costituito da vari movimenti della società civile. Riuscirà nell’intento? Up, invocando le primarie per decidere chi dovrà guidare la coalizione, ha finora nicchiato di fronte alla proposta. Il tempo ora stringe. L’esito delle elezioni del 23 luglio dipenderà in parte dalla riuscita di Sumar e in parte preponderante dalla capacità che Sánchez avrà di mobilitare l’elettorato socialista e di recuperare almeno una quota dell’elettorato astensionista. Un compito tutt’altro che facile.
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