È ormai diventato un luogo comune attribuire ad ogni elezione che si svolge in Italia una valenza e un interesse “nazionale”. L’alta volatilità, la misura di quanti votano in maniera diversa dalla precedente elezione e che è divenuta una caratteristica degli elettori italiani degli ultimi anni, oltre a rendere difficilmente prevedibile il risultato, fa in modo che ogni elezione, di qualsiasi livello, diventi una prova di verifica sulla consistenza dei partiti nazionali. Alle usuali condizioni già verificate nelle ultime regionali dell’Abruzzo e della Sardegna, le regionali che si sono appena tenute in Basilicata ne hanno aggiunto ulteriori per motivi contingenti o derivanti dalla storia politica della regione. Le principali condizioni contingenti erano la ripresa del Pd nei sondaggi dopo l’elezione di Zingaretti alla segreteria, la rivalità elettorale fra i due alleati di governo, la conferma dello sfondamento della Lega di Salvini nelle regioni meridionali per affermarsi sempre più come partito nazionale, la ventilata ipotesi di un ritorno al bipolarismo – con le due coalizioni di centrodestra e centrosinistra – nell’eventualità di un ulteriore arretramento elettorale del M5S. La storia politica della regione Basilicata fa, invece, riferimento alla possibilità dell’alternanza al governo, con l’interruzione del dominio del centrosinistra nei governi regionali determinati dal risultato ottenuto a partire dalla riforma elettorale del 1995.
Tutte queste ragioni hanno suscitato interesse intorno a una regione politicamente marginale (poco più di 300 mila votanti) che andava al voto per rinnovare il consiglio regionale, con qualche mese di ritardo rispetto alla scadenza naturale a causa di alcune vicende giudiziarie che avevano portato agli arresti domiciliari, successivamente revocati, il presidente della giunta regionale del Pd, Marcello Pittella, con l’accusa di abuso di potere e falso nell’ambito di un’inchiesta su dei concorsi nella sanità. L’eccesso di attenzione assegnata alla consultazione lucana può essere attestata dalla presenza assidua nella regione del vicepresidente del Consiglio e segretario della Lega, Matteo Salvini, che ha svolto una campagna elettorale, quasi porta a porta, che ha toccato anche piccoli comuni della regione. Tanto interesse dai media nazionali e l’incertezza della vigilia sul risultato hanno reso sicuramente più alta, agli occhi degli elettori lucani, la posta in gioco delle elezioni con conseguente naturale riflesso sulla partecipazione, che è aumentata di quasi 6 punti rispetto alle regionali del 2013, quando le condizioni di contesto erano completamente diverse, con il risultato dato per scontato a favore del centrosinistra.
L’attenzione nazionale non può non tener conto della peculiarità di un’elezione regionale, che utilizza un sistema che prevede, tra l’altro, il voto di preferenza per i candidati consiglieri, nonché del comportamento dell’elettore improntato alla cultura politica del territorio. Come in altre regioni del meridione, in Basilicata il tasso di preferenza (l’indice che misura la percentuale di elettori che esprimono un voto di preferenza) è stato sempre molto elevato e sta a significare che la scelta dell’elettore, prima ancora di un partito, è rivolta ad una persona, il candidato consigliere. Nelle elezioni passate l’indice di preferenza complessivo in Basilicata era stabilmente intorno al 90%, vale a dire 9 elettori su 10 esprimevano, oltre al voto per un partito, o prima ancora, una preferenza per un candidato consigliere.
La lettura del risultato elettorale della Basilicata può avvenire cercando di interpretare il comportamento degli elettori, proprio attraverso il confronto dell’indice di preferenza calcolato per i singoli partiti. In effetti, con l’introduzione della doppia preferenza di genere nel sistema elettorale diventa impossibile conoscere quanti elettori abbiano espresso almeno una preferenza ed effettuare comparazioni con il passato quando l’elettore poteva esprimere, invece, una sola preferenza. I numeri di questa elezione – dati dalla divisione del totale delle preferenze espresse per le preferenze esprimibili, rapportate a cento – ci forniscono, comunque, delle interessanti indicazioni. Le liste che hanno il più basso indice di preferenza sono quelle che hanno ottenuto il più alto numero di voti: Movimento 5 Stelle (indice di preferenza 34,9%) e Lega Salvini Basilicata (indice di preferenza 39,0%). Cioè, è successo esattamente l’opposto di quanto accadeva nelle precedenti elezioni (M5S a parte), con i partiti più votati che ottenevano un più alto indice di preferenza quale effetto della lotta fra candidati consiglieri, quasi tutta interna alla lista, per la conquista del seggio in consiglio per mezzo dei voti di preferenza. Le altre liste che seguono nel gradimento degli elettori hanno un indice di preferenza molto più alto. Fra le liste non partitiche, quella “costruita” dal governatore uscente Pittella, Avanti Basilicata, risulta la più votata della coalizione di centrosinistra e con un indice di preferenza di 65,5% (e proprio il candidato consigliere Marcello Pittella risulta essere in assoluto il più votato della regione con 8.803 preferenze).
Gli alti valori dell’indice di preferenza ci suggeriscono che gran parte degli elettori lucani ha votato seguendo il criterio della scelta della persona, come nel passato, ma che una parte importante dei voti della Lega deriva da una scelta nazionale e più politica – comunque sulla persona – di Matteo Salvini. Il voto raccolto da Salvini ha rappresentato il valore aggiunto della coalizione necessario al successo del candidato della coalizione di centrodestra, Vito Bardi, con il 41,0%. La modifica al sistema elettorale che ha previsto l’annullamento della scheda nel caso di voto disgiunto (non si poteva votare per una lista e scegliere un candidato presidente di un’altra coalizione) ha contribuito a blindare il voto a favore del candidato presidente. Bardi, ma anche gli altri 3 candidati presidenti, tutti alla loro prima esperienza nelle elezioni, ha ottenuto solo pochi voti in più rispetto alle liste che lo sostenevano (il voto alla sola lista andava in automatico anche al candidato presidente), confermando l’ipotesi della scelta da parte dell’elettore soprattutto in favore dei candidati consiglieri e/o di una lista.
Nel raffronto con le precedenti regionali del 2013 e con le politiche del 2018, la forte mobilità elettorale che si registra offre ai partiti sconfitti in queste elezioni una prospettiva consolatoria a seconda del riferimento prescelto. Cosicché il Pd potrebbe ritenersi soddisfatto del risultato che assegna al centrosinistra un sostanziale recupero rispetto alle politiche (più 9 punti, ma circa 27 punti in meno delle precedenti regionali) e il M5S dell’incremento della percentuale di voti (di circa 7 punti) rispetto alle precedenti regionali (ma meno 24 punti rispetto alla percentuale ottenuta alla Camera nel 2018).
Infine una annotazione sulla composizione del nuovo consiglio. Fra i 21 consiglieri figura una sola donna, eletta nella Lega di Salvini, il partito che ha conquistato il maggior numero di seggi (6). L’introduzione della doppia preferenza di genere nel sistema elettorale regionale della Basilicata, evidentemente, non ha funzionato, soprattutto per il numero esiguo di seggi in palio. Ciò che è accaduto per il consiglio regionale della Basilicata mostra, ancora una volta, che non sempre basta un provvedimento di legge per eliminare, di colpo, le disparità di genere in politica se ad esso non consegue l’azione dei partiti nella selezione dei candidati.
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