Di tanti episodi drammatici e luttuosi è costellata la storia della nostra Repubblica. Molti di questi ancora oggi, spesso a distanza di decenni, non hanno avuto una spiegazione definitiva e convincente. Il lavoro degli inquirenti e della magistratura si è ovunque scontrato con quelli etichettati come "poteri occulti”. Le indagini sulla lunga stagione dello stragismo hanno registrato continui depistaggi, così come quelle che hanno cercato di far luce su altri episodi che hanno listato a lutto famiglie e città italiane. Bologna si è trovata più volte involontaria protagonista e ancora oggi, insieme alle famiglie delle vittime, aspetta risposte storiche, definitive e giudiziarie, a quei misteri. Con il passare del tempo, ai più non resta che restare sgomenti proprio di fronte a quelle mancate risposte. E partecipare agli esercizi di memoria collettiva che riescono a ottenere qualche ribalta, per lo più in occasione degli anniversari. {C}Di come si possano e si debbano condurre tali esercizi ci occuperemo come rivista altrove, ma ci piace ricordare qui almeno il lavoro fatto con il Museo per la Memoria di Ustica. La straordinaria efficacia dell’impatto emotivo con la storia della tragedia creata dal lavoro di Christian Boltanski e dei suoi collaboratori obbliga a una riflessione non superficiale su ciò che accadde realmente la sera di quel 27 giugno 1980. Già la lettura dei nomi delle 81 vittime, così come accade per altre stragi a cominciare da quella del 2 agosto, lascia attoniti, circondati dall'effetto cercato e ottenuto di rendere visivamente e acusticamente la vita perduta. Riflettere sulla lunghissima vicenda giudiziaria di Ustica, circondati dai rottami dell’aereo, impone alcune considerazioni. I vertici dello Stato non hanno voluto o potuto (francamente difficile dire che cosa sia peggio) dare forza alle indagini per giungere alla verità storica. Quando una sentenza c’è stata, spesso ne è stata dimostrata la parzialità e alle conclusioni si è giunti per decorrenza dei termini. Varie e tra le più fantasiose furono le ipotesi. Nelle settimane immediatamente successive al fatto, dall’Aeronautica arrivarono a sostenere che l’aereo era precipitato a causa di un cedimento strutturale, trattandosi di un velivolo acquistato da una società che lo utilizzava per trasportare pesce sotto sale. E il sale, come è noto, corrode. L’inchiesta sulla “perdita” di un aereo civile proseguì toccando varie tappe: dall’incriminazione per alto tradimento dei vertici dell’Aeronautica all’epoca dei fatti (poi prosciolti nel 2004 per prescrizione); alle indagini che portarono a escludere l’ipotesi di una bomba esplosa a bordo (i cui risultati vennero resi noti nel ’94); alla lunga istruttoria condotta nel 1999, secondo cui “l’incidente al DC9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento”.
Mentre si ragiona su come festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia (o almeno cerca di farlo chi tale Unità la considera degna di festeggiamenti), è interessante notare che i trent’anni trascorsi dalla tragedia di Ustica coprono esattamente un quinto della vita della nostra Nazione. Un tempo lungo, dunque, per il nostro Paese, che diventa lunghissimo se rapportato all’età della Repubblica: in pratica la metà degli anni dell’Italia repubblicana sono stati occupati alla ricerca di una verità su Ustica che ancora non c’è.
Queste cose reali, drammaticamente reali, andrebbero sempre tenute presenti quando ci si avventura in convinte affermazioni su come effettivamente andarono le cose il 27 giugno 1980 in quello spazio aereo del Mediterraneo. Per di più dopo le recenti dichiarazioni di Francesco Cossiga, all’epoca primo ministro, e la disponibilità mostrata dalla Francia e dagli Stati Uniti a collaborare all’ipotesi più volte sostenuta dai magistrati di uno scontro armato che avrebbe visto coinvolti aerei libici. Andrebbero dunque riascoltate con attenzione le parole del presidente Napolitano, secondo il quale “Il dolore ancora vivo per le vittime si unisce all’amara constatazione che le indagini svolte e i processi sin qui celebrati non hanno consentito di fare luce sulla dinamica del drammatico evento e di individuarne i responsabili […] Occorre il contributo di tutte le istituzioni a un ulteriore sforzo per pervenire a una ricostruzione esauriente e veritiera di quanto accaduto, che rimuova le ambiguità e dipani le ombre e i dubbi accumulati in questi anni”.
Rivolgiamo, con deferenza e rispetto per la carica che ricopre, questo invito in particolare all’onorevole Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Proprio per il suo ruolo istituzionale, crediamo, occorrerebbe da parte sua maggiore attenzione nel sostenere, a più riprese, pubblicamente e con assoluta certezza, l’ipotesi di una bomba nella toilette di bordo, in netto contrasto con le indagini della magistratura che a conclusione delle varie perizie portarono a escludere nel modo più netto tale ipotesi. Proprio mentre il governo italiano avvia le sue richiesta di rogatoria internazionale. Anche a lui, come a tutti coloro che hanno a cuore la memoria storica e ne riconoscono l’importanza fondamentale per la vita democratica e civile, va rivolto un invito a visitare il Museo dedicato alla tragedia di Ustica.
Riproduzione riservata