Questo articolo fa parte dello speciale Città medie al voto
La Spezia, periferia dell’Arsenale militare. Così lo scrittore e umorista Gino Patroni nel secolo scorso aveva raffigurato in un epigramma la sua città natale. Intendendo rappresentare così la dipendenza della Spezia dalla Marina militare. Ma più in generale dall’industria degli armamenti, dal suo indotto e dalle attività derivate. Va subito precisato che La Spezia per gli spezzini, che non hanno mai digerito l’aggiunta per Regio Decreto del 30 settembre 1930 del “La”, resta solo “Spezia”. Così la chiamano e così vogliono sia chiamata, come, per altro, è battezzata la locale squadra di calcio, attuale orgoglio cittadino per via della militanza in seria A dopo 51 anni nei campionati minori.
L’immagine di Spezia scattata dall’umorista Patroni risulta oggi un dagherrotipo ingiallito. Infatti l’istantanea della città che il 12 e 13 giugno andrà al voto comunale è completamente diversa. Spezia ha subìto nel frattempo una mutazione genetica. Un processo che si è dipanato a cavallo tra Ventesimo e Ventunesimo secolo, con una accelerazione negli ultimi quindici anni. Un cambiamento che ha interessato il quadro economico, la geografia sociale e gli assetti politici. Ed è questa una plausibile chiave di lettura nei suoi aspetti locali - senza voler prendere qui in considerazione le ragioni di carattere più generale e nazionale - del terremoto politico che nel 2017 ha portato il centrodestra a conquistare il municipio dopo oltre mezzo secolo di amministrazioni di sinistra.
La grande trasformazione ha segnato l’eclissi della dimensione tradizionale, marcatamente industriale-manifatturiera della città, incentrata sulle aziende belliche e a partecipazione statale, sulla cantieristica di demolizione e sulle imprese energetiche, e l’affermarsi di un sistema economico proiettato sul porto, la cantieristica da diporto e il turismo.
Con qualche forzatura e un briciolo di perfidia un epigono di Patroni potrebbe azzardarsi oggi a definire Spezia periferia delle Cinque Terre. Perché è innegabile che l’esplosione del fenomeno Cinque Terre ha “risvegliato” quella vocazione turistica che secondo una pubblicistica locale era stata soffocata dalla costruzione dell’Arsenale e dagli insediamenti della Marina.
Una città che sta soffrendo una doppia crisi, ambientale, con molte questioni aperte, e sanitaria, bisognosa com’è di strutture adeguate
La metamorfosi di Spezia è stata segnata intanto da un progressivo ma netto ridimensionamento demografico. Nel 1980 la città contava ancora 120 mila abitanti, cui bisogna aggiungere i circa 20 mila militari che vi soggiornavano. Già nel 2000 la popolazione era precipitata a quota 91 mila. I flussi immigratori, principalmente dai Paesi dell’Est, dal Centro e Sud America e dal Nord Africa hanno prodotto a metà del decennio una timida ripresa demografica fino ai 95 mila residenti. Ma questa spinta si è poi attenuata e oggi la città si avvicina di nuovo ai 91 mila abitanti. La popolazione invecchia: oltre il 26,4% ha più di 65 anni. Mentre solo l’11,7 ne ha meno di 14.
Il calo demografico si è consumato parallelamente alla riduzione della presenza della Marina conseguenza anche della soppressione della leva obbligatoria. Sono stati progressivamente chiusi l’ospedale e il tribunale militare e svuotata l’enorme caserma Duca Degli Abruzzi, mentre è calata l’attività e l’occupazione dell’Arsenale.
Le decine di cantieri navali di demolizione sono scomparsi per fare spazio allo sviluppo del porto e della navalmeccanica da diporto. Si sono ridotti l’occupazione e l’indotto delle industrie a partecipazione statale, come Oto Melara, Termomeccanica, Inma e San Giorgio Elettrodomestici, in parte privatizzate e riconvertite. Chiusa la storica raffineria Ip, è stata nettamente ridimensionata la mano d’opera della centrale termoelettrica dell’Enel e del rigassificatore Snam.
Questa complessa ristrutturazione del tessuto economico ha prodotto un cambio non solo generazionale, ma anche culturale e antropologico della classe lavoratrice. Nel senso che il prepotente sviluppo del porto, l’insediamento dei nuovi cantieri produttori di panfili, la costruzione dei due moderni porticcioli - il Porto Lotti e il Porto Mirabello - la realizzazione di un imponente centro commerciale, “Le Terrazze”, e il proliferare di migliaia di bed and breakfast, bar e ristoranti al servizio dell’ondata turistica delle Cinque Terre, hanno generato una nuova figura di lavoratore non più strettamente legato alla cultura della sinistra come lo erano tradizionalmente gli operai della manifattura “storica”.
La scommessa sull’economia del mare ha avuto un passaggio rilevante sul piano culturale con la creazione di un campus universitario di successo che offre un ciclo completo di studi fino alla laurea magistrale in ingegneria e design nautico.
L’occupazione in questo contesto sta registrando un trend timidamente positivo. Di recente Confartigianato ha stimato che Spezia-provincia conta 87 mila occupati (37 mila sono donne), a fronte di 9 mila senza lavoro e 38 mila inattivi, con un tasso di occupazione in rialzo dell’1,9% rispetto al 2020. Il reddito pro capite del comune si attesta a 21 mila 230 euro, in linea con la media nazionale.
Anche qui, la difficile gestione sociale dei flussi migratori ha incrinato lo stretto legame che i partiti di sinistra avevano in quartieri popolari
Di pari passo, come è avvenuto in molte città italiane, la difficile gestione sociale dei flussi migratori ha incrinato lo stretto legame che i partiti di sinistra avevano in quartieri popolari come quello “Umbertino” dove più massiccio è stato l’insediamento di stranieri.
Alle amministrazioni di sinistra degli anni Novanta e dei primi quindici del secolo in corso vanno ascritti interventi importanti che hanno modificato il volto della città: la pedonalizzazione del centro storico, nuove infrastrutture viarie e fognarie, la costruzione della seconda avveniristica biblioteca civica e della mediateca regionale, la creazione di un percorso museale, l’edificazione di nuove scuole. Non altrettanto propizio è stato l’imponente intervento sui 72 ettari della dismessa raffineria Ip. Si è risolto nella costruzione del mega “mall” delle “Terrazze” che ha sottratto flussi al resto della rete commerciale urbana, fortemente indebolita. Così come si è rivelata fallimentare la gestione della multiutility comunale Acam. Sul piano ambientale sono rimaste le ferite dell’inquinamento della discarica di Pitelli, la cosiddetta “Collina dei veleni”. Mentre negli ultimi dieci anni due vicende giudiziarie che con grande eco mediatico hanno messo sotto accusa la gestione del Parco delle Cinque Terre e dell’Autorità portuale, hanno contribuito a compromettere l’immagine della sinistra.
In questa temperie il maggiore partito di governo locale il Pd è stato scosso da uno scontro intestino tra le componenti che si è riverberato sulla stessa amministrazione: tre assessori “democrat” si sono dimessi a quasi un anno delle elezioni del 2017 in polemica con il sindaco della stessa area Massimo Federici.
Sintomo di un rapporto incrinato tra precedente governo comunale e una fetta di opinione pubblica sono state, poi, le clamorose manifestazioni di protesta da parte di comitati sorti contro la ristrutturazione di piazza Verdi, salotto buono della città, progettata da Buren e Vanetti, urbanisti di fama internazionale.
All’appuntamento elettorale del 2017 il centrosinistra si era presentato, così, in frantumi con ben sei candidati alla carica di sindaco. La coalizione di centrodestra rinnovata nei suoi uomini sotto l’impulso del governatore della regione Giovanni Toti è riuscita ad aggregare al ballottaggio anche parte delle liste civiche espressione dei comitati contro la “nuova” piazza Verdi. Il suo candidato Pierluigi Peracchini, ex sindacalista della Cisl, si è imposto con il 60 per cento dei suffragi. Tra i punti di forza della sua campagna elettorale la promessa - poi realizzata - di cambiare il sistema di raccolta dei rifiuti urbani oggetto di un diffuso malcontento. L’amministrazione in scadenza ha potuto indubbiamente contare su un rapporto molto forte con l’ente Regione. Tanto da mettere in ombra quell’attrazione tradizionale e fatale di Spezia verso la Toscana e la diffidenza verso “Genova matrigna”. Ma molti dei progetti della giunta in carica sono rimasti lettera morta in un rapporto, invece, conflittuale con la Soprintendenza della Liguria.
I nodi da affrontare per il prossimo quinquennio amministrativo riguardano in primo luogo sanità e ambiente. La città vive un’emergenza sanitaria. Ha un ospedale vecchissimo che cade a pezzi. Patisce la “migrazione” dei malati che vanno a farsi curare in Toscana. Attende da anni un nuovo ospedale. La Regione ha modificato il precedente piano affidando ai privati la costruzione e la gestione dei servizi del futuro nosocomio suscitando la contestazione della sinistra.
L’emergenza ambientale è costituita dalla presenza dentro il perimetro urbano della centrale Enel da tempo al centro di un piano di riconversione osteggiato dalla popolazione. Inoltre, deve essere affrontata la compatibilità ambientale con il porto che punta ad accrescere l’attività crocieristica, mentre dovrà essere progettato il waterfront su quelle aree che lo scalo marittimo dovrà restituire alla città. Spezia ha, del resto, “fame” di spazi per lo sviluppo: e questi potranno essere ricavati solo all’interno dell’ormai sovradimensionato Arsenale (occupa 85 ettari con 13 km di strade nel cuore della città) attraverso una trattativa con la Marina.
Ma più in generale chi governerà Spezia dovrà produrre una visione, un progetto di crescita economica e sociale che scongiuri l’immobilismo, generi occupazione solida, frenando declino demografico e fuga dei giovani in cerca di lavoro. E se la scommessa sarà su economia del mare e turismo la partita si giocherà anche sul potenziamento delle infrastrutture stradali e ferroviarie. Accanto ai grandi progetti Spezia dovrà, infine, porsi l’obiettivo di superare la condizione di città sempre più spaccata a metà, fra una “zona bianca” a centro-sud, gremita di bar, ristoranti e negozi, e una “zona nera” a nord, la “città etnica”, popolata da immigrati, la “piccola Soweto”, emarginata, degradata e spenta.
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