La partecipazione degli immigrati alla vita civile e politica rappresenta ancora un punto controverso nei percorsi di integrazione. Il caso delle primarie di Milano lo testimonia: a che condizioni la partecipazione degli stranieri è da considerarsi un valore positivo? Al di là dei risultati specifici, un aspetto che ha attirato l’attenzione dei media in occasione del voto per le primarie del Partito democratico per la candidatura a sindaco di Milano, è la partecipazione ai seggi di cittadini stranieri - in particolare di quelli cinesi. In realtà si è trattato di numeri piuttosto modesti, soprattutto in relazione agli stranieri residenti sul territorio del comune: complessivamente si sono recate alle urne circa 60.000 persone, di cui meno di 2.000 (circa il 3%) erano stranieri e meno di 1.000 (circa l’ 1,5% del totale) cinesi. Occorre tenere presente che gli stranieri con più di 17 anni residenti nel comune di Milano sono oggi quasi 200.000, di cui circa 21.000 cinesi.
I votanti stranieri rappresentano quindi l’1% dei potenziali aventi diritto, mentre la percentuale dei cinesi votanti si può stimare attorno al 5% dei potenziali elettori. Si tratta quindi di numeri troppo piccoli per avere determinato conseguenze degne di nota sull’esito del voto. Se poi si vuole estendere il discorso al grado di consapevolezza degli elettori o alle implicazioni relative al cosiddetto voto di scambio, probabilmente hanno ragione coloro che hanno sottolineato come ragionamenti di questo tipo non siano particolarmente dissimili per l’elettorato italiano.
In questo caso si è parlato di Milano e del Partito democratico, ma le caratteristiche del voto sono facilmente riscontrabili anche in altri contesti. Tanto rumore per nulla? In realtà il coinvolgimento di cittadini stranieri nel particolare strumento delle primarie e in generale alla partecipazione alla vita politica, si presta anche ad altro tipo di considerazioni.
Il voto degli stranieri (così come quello dei sedicenni) alle primarie di partito è stato fin dall’origine motivato dalla aspirazione a modifiche normative future. Una sorta di anticipazione del diritto di voto amministrativo. Mentre il diritto di voto alle elezioni politiche non può che essere riservato a coloro che possiedono la cittadinanza italiana, il diritto di voto amministrativo si può estendere non solo ai cittadini comunitari, ma anche a quelli stranieri, che peraltro pagano le tasse e sono interessati alla vita civica.
Qui però si intravede una contraddizione. Nei paesi europei che hanno già legiferato in tal senso (Olanda, Belgio, Spagna, Svezia ecc.), il diritto di voto non è esteso a tutti gli stranieri, ma solo a coloro che sono residenti da almeno cinque anni: i cosiddetti lungo-soggiornanti. Se il Parlamento italiano intendesse legiferare sulla materia, molto probabilmente si indirizzerebbe nella stessa direzione, concedendo il voto amministrativo solo ai lungo-residenti. Quindi, per coerenza, anche lo strumento delle primarie di partito (non solo del Pd) andrebbe ritarato in questo senso.
Peraltro va considerato che i lungo-residenti sono un fenomeno in continua crescita, contestualmente alla stabilizzazione del fenomeno migratorio: considerando che a partire dal 2009 si sono ridotti drasticamente gli arrivi per motivi di lavoro, la popolazione straniera è composta in misura maggiore da cittadini giunti in Italia prima della crisi. Ne deriva che, sommando cittadini comunitari e lungo-soggiornanti, all’inizio degli anni 2000 si raggiungeva circa il 20% del totale degli stranieri, mentre oggi tale componente rappresenta il 57%.
Ancora più importante, per quanto riguarda la possibile influenza sulla vita politica, è il fenomeno della acquisizione della cittadinanza italiana da parte degli stranieri, che anno dopo anno cresce in maniera progressiva. Sono già circa un milione coloro che, arrivati nel nostro Paese da migranti, non vengono più conteggiati come tali, in quanto “nuovi cittadini” italiani. Nei prossimi anni potrebbero crescere ulteriormente al ritmo di centomila l’anno, senza considerare gli effetti dell’eventuale riforma della cittadinanza (l’introduzione dello “ius soli” porterebbe alla naturalizzazione di circa 800 mila stranieri nell’immediato, a cui ne andrebbero sommati almeno altri 50 mila all’anno).
Il caso dei cinesi alle primarie di Milano rappresenta dunque una piccola avanguardia di quello che potrà succedere in futuro, nel caso si voglia favorire la partecipazione degli immigrati alla vita sociale e politica. Che gli effetti politici possano essere significativi, resta tutto da vedere.
Riproduzione riservata