Sono trascorsi ormai più di dieci anni da quando, il 31 ottobre del 2002, crollò l’edificio che ospitava la scuola elementare di San Giuliano di Puglia, l’unico a cedere di schianto durante il terremoto del Molise. Quel giorno a scuola, con i quattro insegnanti e i due bidelli, c’erano cinquantotto bambini. Ventisette, insieme a un’insegnante, morirono.
Sei anni dopo, a Rivoli. Questa volta senza scosse di terremoto, crollò il soffitto dell’aula di un liceo scientifico, il Darwin, e lì perse la vita David, diciassette anni, in classe insieme ai suoi compagni della quarta A. Il ministro dell’Istruzione di allora, la non dimenticata Mariastella Gelmini, parlò di “tragedia incomprensibile”.
Ma sono poche, in questo nostro Paese che rincorre sempre le stesse “emergenze”, le cose davvero “incomprensibili”. Come nel caso dell’edilizia scolastica, dove le emergenze sono ben note, almeno da quando, nel 1996, venne istituita un’Anagrafe apposita (a tutt’oggi in verità non ancora completa). Qual è, quattro anni dopo la tragedia di Rivoli, lo stato dell’edilizia scolastica in Italia? Resta pessimo, nonostante i finanziamenti che di tanto in tanto arrivano (l’ultimo, pari a 111 milioni e 800mila euro, è contenuto nel DM del 3 ottobre 2012) ma di cui spesso si perdono le tracce. Con le consuete, enormi differenze territoriali, soprattutto tra Nord e Sud, lo stato delle scuole frequentato dai nostri bambini e ragazzi resta in larga parte pessimo. Come riporta la XIII edizione di “Ecosistema scuola”, si tratta di “un patrimonio edilizio vetusto che per quasi il 60% è stato costruito prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica [1974, N.d.R.], che per il 33,70% si trova in aree a rischio sismico e per il 10,67% in aree ad alto rischio idrogeologico; e che gli enti locali proprietari dichiarano che per quasi il 36% ha necessità di interventi di manutenzione urgenti”. La prima necessità rimane ancora quella della messa a norma: quasi metà degli edifici “non possiede le certificazioni di agibilità e sono ancora tantissime, più del 65%, le scuole che non possiedono il certificato di prevenzione incendi”.
Anche questa è crisi della scuola, messa in dubbio del mandato costituzionale, conferma dei presupposti che continuano a fare del nostro sistema formativo uno dei più arretrati. Come sempre con le eccezioni, certo. Ci sono le “eccellenze”, di cui di tanto in tanto ci vantiamo. Ma nel complesso, al di là dell’aspetto fondamentale legato alla sicurezza, anche i dati concretissimi relativi allo stato di cattiva manutenzione se non di vero e proprio abbandono di molte classi, delle palestre, dei cortili confermano un’attenzione del tutto insufficiente (per usare un eufemismo) verso la prima delle priorità di qualsiasi azione di governo responsabile. La scuola è nei programmi elettorali, certo. Ma spesso e volentieri resta sfumata nelle indicazioni di principio, sacrosante ma largamente insufficienti. E resta, soprattutto, al di fuori del vorticoso dibattito elettorale di queste settimane. E ciò, senza pregiudiziali di alcun tipo, non può che portare a mettere in dubbio che il funzionamento del nostro apparato formativo possa costituire un problema centrale per il governo che verrà, a differenza di quanto accade nei Paesi che ci piace citare come esempio per molti altri aspetti della vita pubblica. In uno Stato declinante, alla ricerca di nuova legittimità ma ancora preda delle peggiori cattive intenzioni di una larga fetta della classe politica, niente può davvero essere ricostruito senza un investimento serio e programmato, anche di lungo periodo, su un sistema formativo che appare ogni anno più debole e la cui debolezza viene confermata da tutte le evidenze empiriche. Se chi si candida a guidare la prossima legislatura ne tenesse conto e ne parlasse in campagna elettorale con argomenti convincenti, saremmo un passo avanti. Se si abbandonassero stili di comunicazione demagogici come quelli ostentati dal governo uscente, che per promuovere la scuola pubblica ricorse a spot patinati come quello della campagna “Porta a scuola i tuoi sogni” raccontando una scuola che non esiste, famiglie, studenti e insegnati, almeno, non si sentirebbero presi in giro.
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