Con la proposta di revisione del Pnrr e la parallela indicazione dei progetti del nuovo programma europeo RePowerEU presentate il 27 luglio scorso, il governo Meloni sta cercando di dare una propria impronta politica all’insieme degli interventi, anche al fine di accrescere il proprio consenso. L’obiettivo è, in particolare, quello di consolidare il sostegno del tessuto imprenditoriale grazie alla concessione di copiosi incentivi e di finanziare alcuni grandi progetti in campo energetico delle partecipate di stato (delle quali ha da poco rinnovato integralmente i vertici con esponenti di propria fiducia). Le risorse vengono però reperite riducendo o posticipando una vasta gamma di interventi pubblici diffusi sul territorio, specie in ambito urbano e nella transizione verde.

Questo sembra confermare quanto sostenuto in un recente contributo : la natura fortemente politica delle decisioni che vengono prese sul Piano e in generale riguardo alle risorse europee; decisioni sulle quali sarebbe auspicabile un ruolo più attivo delle opposizioni e una discussione pubblica ben centrata sugli aspetti di fondo, senza perdersi in una quotidiana polemica sui dettagli. Non è certo semplice, data la natura estremamente complessa di questi documenti, dal punto di vista sia dei contenuti che delle procedure; e date le caratteristiche del Pnrr predisposto dal governo Draghi e dei processi attuativi che ne sono scaturiti nel 2021-22, ricchi di luci e ombre, cui è stata dedicata una ampia analisi in un recente volume.

Questo significa che più che essere guidato da una difesa a oltranza delle precedenti scelte – come appena segnalato in parte discutibili – il dibattito politico dovrebbe concentrarsi sulle scelte di fondo che questi documenti e le loro possibili revisioni propongono per l’Italia. Il Pnrr è di straordinaria importanza non solo per le sue dimensioni, ma perché rimette in moto tutte le politiche pubbliche di investimento dopo la gelata dell’austerità e perché segnala tutte le difficoltà del nostro Paese a realizzarle: le decisioni che si prendono a riguardo finiranno quindi per condizionare molto a lungo il futuro dell’Italia.

Le “Proposte per la revisione del Pnrr e capitolo RePowerEU. Bozza per la diramazione”, rese noto dal governo (d’ora in poi, il Documento) sono un testo estremamente barocco, non ben organizzato, di non semplice lettura: non sappiamo quanto per le difficoltà nella sua redazione o per esplicita scelta. Le sue 151 pagine mescolano infatti piani molto diversi; sono sovente ricche di dettagli su aspetti trascurabili e carenti di informazioni su decisioni importanti. Al di là di quella che sarà la reazione della Commissione europea a riguardo, delineano comunque un quadro in cui diverse scelte sono ancora indeterminate in alcuni loro decisivi dettagli.

Il Documento svolge contemporaneamente molte diverse funzioni, di valore assai differente. Cominciamo da quelle più propriamente tecniche. In primo luogo contiene diverse revisioni testuali di misure, obiettivi o degli “Operational Agreements” (cioè le modalità tecniche definite dalla Commissione per la loro valutazione), che non ne mutano la sostanza: utili nell’interlocuzione tecnica con Bruxelles ma decisamente poco rilevanti per il dibattito più generale, che avrebbero potuto essere più utilmente essere collegate in un allegato tecnico.

In secondo luogo offre utili informazioni circa oggettive difficoltà di realizzazione del Piano originario. È il caso del personale reclutato per gli Uffici del Processo incaricati dello smaltimento dell’arretrato della giustizia civile una quota (non precisata) del quale, si dice, non è rimasto in servizio dato il carattere temporaneo dei contratti; oppure la circostanza che nel disegno delle reti a banda larga a 1 giga ci si è resi conto che “molti numeri civici messi a gara erano inesistenti, o privi di unità immobiliari” (p. 39). Ancora, informa circa l’insufficiente tiraggio di alcune misure per l’università, le cui risorse possono essere redistribuite su altri interventi. In questi, come in altri casi, il Documento ragionevolmente suggerisce alcune soluzioni. In alcuni casi, tuttavia, contiene tutta una serie di dettagli decisamente irrilevanti che si sarebbero potuti senz’altro evitare e che rendono la comprensione del Documento più difficile: come quando ci informa che residuano circa quattromila euro sulla misura dei partenariati per Horizon Europe. Parallelamente, rivede gli specifici progetti finanziati da alcune misure decisamente rilevanti, come quelle per l’alta velocità ferroviaria nel Mezzogiorno, proponendo di sostituire alcuni lotti dei collegamenti con altri nella rendicontazione alla Commissione; cosa ancor più importante, certifica l’impossibilità della realizzazione delle opere sulla Pescara-Roma, destinando le relative risorse ad altri interventi sui nodi ferroviari. Proposte che pure appaiono decisamente ragionevoli, anche se sarà indispensabile conoscere al più presto il dettaglio tipologico e territoriale dei nuovi interventi da inserire.

In terzo luogo, per un gran numero di misure del Pnrr il Documento porta evidenza di ritardi e difficoltà tali da giustificare uno slittamento temporale degli obiettivi concordati con la Commissione. Qui il quadro appare ambivalente, di difficile valutazione. Spesso le motivazioni appaiono credibili, anche se talora un po’ vaghe, tali da giustificare uno slittamento in avanti, sempre tenendo presente il traguardo di metà 2026. Questi corposi scivolamenti (se accettati dalla Commissione, cosa tutta da verificare) renderebbero più semplice la vita al governo nel prossimo biennio, e consentirebbero di ottenere in maniera relativamente più semplice le successive tranche di pagamento, a vantaggio sia dei conti pubblici sia del consenso per l’esecutivo; creando però un collo di bottiglia finale, fra fine 2025 e inizio 2026 ancora più problematico di quello già previsto dal Pnrr originario. Non si può quindi escludere che per prudenza o per calcolo il governo abbia deciso di utilizzare massicciamente questa modalità.

Veniamo ora alle scelte più propriamente politiche, cominciando dalla provvista delle risorse: cioè dagli interventi che vengono eliminati dal Piano o significativamente depotenziati per poterne finanziare altri, sia nel “vecchio” Pnrr sia, soprattutto, nel nuovo capitolo RePowerEU. Il Documento presenta una apposita tabella, con un “Elenco misure da eliminare dal Pnrr” (p. 150) per un ammontare decisamente consistente, che sfiora i 16 miliardi di euro, anche se in realtà scorrendo il testo il quadro appare un po’ più complesso, con altre misure depotenziate.

Il maggiore definanziamento è relativo a tre misure (efficienza energetica, rigenerazione urbana, piani urbani integrati), di competenza del Ministero dell’Interno e destinate ai comuni italiani per interventi di medio-piccola dimensione (i primi due) e destinate alle città metropolitane – governate principalmente dal centrosinistra – per programmi decisamente più articolati (l’ultima). Nel volume Riuscirà il Pnrr a rilanciare l’Italia? se ne ripercorrono genesi e caratteristiche. Qui vale ricordare alcuni aspetti fondamentali della decisione di definanziamento. Perché quelle misure? Balza all’occhio in primo luogo che viene ridotta la provvista gestita da uno dei pochissimi ministri tecnici del governo, evidentemente non in grado di opporsi politicamente: non accade lo stesso per i programmi Pinqua, assai simili, di competenza del ministero delle Infrastrutture. Sembra poi concretizzarsi l’antipatia del ministro Fitto (ricordata nel precedente intervento) per i progetti di piccola dimensione: nel Documento si fa riferimento alla “parcellizzazione”, con un “carico amministrativo di difficile gestione” (p. 101). Ma sembrano motivazioni poco consistenti e certamente non argomentate: nel testo del Documento il tutto è liquidato in poche righe. Né vengono forniti dati a conforto di eventuali ritardi: si tenga tra l’altro presente che vengono portati fuori dal Pnrr interventi in larga misura già finanziati e individuati prima dell’avvio dello stesso Piano (in gergo erano: “progetti esistenti”). L’unica possibile motivazione potrebbe essere il potenziale conflitto di alcuni progetti definiti in precedenza con il principio del Dnsh (Do not significant harm) introdotto successivamente con il Next Generation: ma non vi è alcuna precisa informazione a riguardo. Tanto che una possibile spiegazione d’insieme di questo massiccio definanziamento potrebbe essere quella tutta politica offerta da Isaia Sales (In guerra contro gli ultimi, “la Repubblica”, 2.8.23): un elemento, insieme all’attacco al reddito di cittadinanza, della politica contro le periferie e i loro abitanti condotta dal governo.

Che succederà di questi progetti, diversi dei quali già appaltati o in gara? Nel testo del Documento è scritto assai vagamente che “si segnala l’opportunità di ricorrere a fonti di finanziamento nazionali” (p. 101) per sostenerne il costo, ma senza alcun chiarimento sulle fonti e alcun preciso impegno a riguardo. Attenzione, però: nel caso dei Piani Urbani Integrati (che finanziano ad esempio importanti operazioni di risanamento dalle Vele di Scampia a Napoli a quartieri periferici romani) è adombrata l’opportunità di una loro revisione prima di rifinanziarli. Da qui l’unanime, forte e pienamente giustificata protesta dei Sindaci; a ben poco valgono le dichiarazioni, scandalizzate per queste protesta, del ministro Fitto in Parlamento in mancanza di precisi, completi e tempestivi atti di rifinanziamento. Anzi, appare poco gradevole la circostanza che un ministro della Repubblica lasci intendere che vada attribuito più credito alle sue dichiarazioni che non a documenti ufficiali, come se valesse il principio che “le budget c’est moi”.

I definanziamenti non finiscono tuttavia certo qui. Vengono colpiti altri investimenti pubblici. Vengono portati fuori dal Pnrr progetti di riduzione del rischio idrogeologico per quasi 1,3 miliardi (anche qui con promessa, ma non certezza, di rifinanziamento). Lo stesso accade a due misure per i servizi per le infrastrutture sociali di comunità per le aree interne (725 milioni) e per la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie (300 milioni), la cui provvista Pnrr verrà destinata ad una nuova misura di incentivazione degli investimenti di cui si dirà in seguito. Viene definitivamente ridotto il finanziamento per il potenziamento del verde nelle aree urbane (110 milioni), e per le ciclovie turistiche. Anche in quest’ultimo caso sfugge la motivazione: la Conferenza delle Regioni (documento 23/134/CR7/C3) ha successivamente presentato una serie di evidenze tese a mostrare un loro avanzato stato di realizzazione. Vengono ridotti gli interventi per Cinecittà a Roma.

Ma non si finisce qui: nel testo appaiono riduzioni degli obiettivi da raggiungere con altri importanti investimenti pubblici: nella sanità (riduzione delle Case di Comunità da 1350 a 936; degli Ospedali di Comunità da 400 a 304; delle centrali operative di telemedicina da 600 a 524), con promessa di rifinanziamento; degli obiettivi (in misura non specificata) da raggiungere per la riqualificazione di edifici scolastici, per le fognature e gli impianti di depurazione. Qualcosa, ma molto meno, viene ridotto anche negli interventi per le imprese. Principalmente, un grande intervento (1 miliardo) per la decarbonizzazione dell’impianto siderurgico di Taranto; poi, i fondi per gli impianti energetici innovativi, anche offshore e 150 milioni destinati a produttori di bus elettrici; infine, in piccola misura, un fondo per le start up.

In questo modo si possono destinare risorse (non compiutamente quantificate) ad altre o nuove misure nel Pnrr e soprattutto finanziare in misura significativa il nuovo capitolo RePowerEU, che acquisisce una dimensione decisamente importante: oltre 19 miliardi. Come detto, la destinazione è principalmente a favore delle imprese.

Ora, contributi pubblici agli investimenti delle imprese non sono certamente negativi in sé: molto dipende da un lato dalle finalità e dalle modalità con cui sono erogate e dall’altro dagli interventi a cui bisogna rinunciare per farvi fronte. Questo, ancor più oggi, alla luce delle grandi, e largamente benvenute, trasformazioni dell’approccio comunitario alle politiche industriali. Il tema merita senz’altro riflessioni più approfondite, impossibili in questa sede. Quel che si vuole qui sottolineare è che con il Documento il governo ha pienamente soddisfatto le significative richieste formulate da Confindustria nelle passate settimane, provvedendovi con una riduzione degli investimenti pubblici. È questo il suo segno politico.

Un intero capitolo del RePowerEU, per 6,2 miliardi è destinato a questo fine. Quattro miliardi sono indirizzati a sgravi fiscali ad accesso automatico e non selettivo, anche nel terziario, per investimenti cosiddetti 5.0 per l’efficientamento energetico delle imprese; una misura, lo si dice apertis verbisnel testo (p. 136) “dichiarata più volte strategica dal sistema imprenditoriale nazionale”. Un altro miliardo e mezzo, sempre sotto forma di crediti di imposta, va alle imprese per impianti energetici rinnovabili per l’autoconsumo; 320 milioni a una “Sabatini Green”, con contributi in conto interessi per le piccolissime imprese sempre per interventi energetici; 400 milioni sono destinati alle imprese agricole per il risparmio idrico e energetico. Ma vi sono, ancora, 2 miliardi per finanziare progetti di filiera nell’agroindustria scorrendo la graduatoria della relativa misura già prevista nel Fondo Complementare; 150 milioni per la logistica agroalimentare; 300 milioni per impianti di biocarburanti. Verrà anche, grazie ai definanziamenti già citati di misure Pnrr per il Mezzogiorno, la provvista per un annunciato credito di imposta per la nuova Zona economica speciale (Zes) unica annunciata nel Documento.

La propensione per il privato non si limita però agli incentivi. Potenzialmente di grande importanza è l’apertura dei cospicui interventi di Garanzia occupazione lavoro (Gol) a operatori privati nei centri per l’impiego, rispetto ai quali le Regioni chiedono, nelle loro già citate proposte, che siano sottoposti ad accreditamento. Così come vengono destinati ulteriori 300 milioni per la realizzazione di posti letto per gli studenti universitari con l’esplicita finalità (p. 84) “di rendere la misura più attrattiva per gli operatori economici”: potenziando così la criticità di questo intervento, già emersa con le decisioni del governo Draghi, rispetto ad una effettiva fruizione del diritto allo studio per gli studenti meno abbienti (rimando ancora a Riuscirà il Pnrr a rilanciare l’Italia). Non a caso le Regioni opportunamente chiedono che parte di tali risorse sia destinata agli enti pubblici per il diritto allo studio. Anche il finanziamento dei dottorati innovativi, in collaborazione con le imprese, è incrementato per coprirne ulteriormente i costi della parte pubblica. Particolarmente significativo sotto il profilo politico è anche la netta riduzione dell’ambizione degli interventi di contrasto all’evasione fiscale, richiesti dalla Commissione europea e per i quali ora si chiede di ridimensionare gli obiettivi.

Naturalmente non c’è solo questo. Nel capitolo RePowerEU ci sono fondamentali, utili interventi di potenziamento delle reti energetiche nazionali, specie elettriche, anche finalizzati a consentire una migliore integrazione della produzione da rinnovabili. Quattro miliardi sono destinati ad interventi di efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico: certamente positivi anche se soggetti ad una evidente preoccupazione per il loro completamento entro metà 2026; altrettanto per un bonus per l’efficientamento energetico rivolto alle famiglie più deboli, ancora da precisare. Criptico resta invece il testo con riferimento al finanziamento degli asili nido, dato che si sostiene sarà predisposto un nuovo bando, ma anche che (p. 81) “in relazione al target finale della misura, in linea con gli orientamenti della Commissione, sarà valutato l’impatto dell’incremento dei costi con riferimento al numero dei nuovi posti da rendicontare”.

Un’ultima riflessione merita l’impatto territoriale di queste possibili revisioni. Il tema è totalmente ignorato nel Documento. Eppure, potrebbe essere sensibile, tale da richiedere una rilettura delle stime e degli studi apparsi a riguardo. Non sarà semplice. In alcuni casi è evidente, come la riduzione della spesa a Taranto per il siderurgico o a Roma per Cinecittà. In altri, diverrà più complesso: si consideri che per i rilevanti interventi per il trasporto rapido di massa nelle aree urbane, o per le ristrutturazioni degli edifici giudiziari, il governo chiede alla Commissione che la precisa lista dei progetti non appaia negli obiettivi: riservandosi così di rivedere le geografie dei flussi di finanziamento. Ancora, non è chiaro quali saranno le strutture sanitarie territoriali, quali le scuole da ristrutturare, che subiranno il definanziamento.

Come è noto, per legge il Pnrr deve destinare almeno il 40% dei finanziamenti, sia in totale sia per ciascuna misura, al Mezzogiorno. Le valutazioni semestrali del Dipartimento per le Politiche di coesione della presidenza del Consiglio diverranno quindi ancora più preziose: anche se per la verità l’ultima (e cioè la prima del governo Meloni) è stata estremamente scarna, inglobata nell’informativa generale sul Piano. Sarebbe auspicabile che si tornasse alla cadenza regolare di questo documento. Ma, come già notato sia in quelle relazioni, e come discusso in un precedente intervento, appare evidente un forte sottofinanziamento relativo del Mezzogiorno per quanto riguarda le misure di incentivazione degli investimenti delle imprese; questo, a causa del tiraggio dei crediti di imposta per Transizione 4.0, misura esclusa a suo tempo dal ministro Giorgetti dall’applicazione della clausola del 40%. Tale effetto sarà accresciuto dalla proposta misura 5.0 di cui si è detto: che polarizzerà anch’essa ancor più l’apparato produttivo italiano in Lombardia, Veneto e Emilia. Nel nuovo capitolo RePowerEU, alle pagine 123 e 124 del Documento vi sono accenni di grande interesse alla possibilità di orientare al Sud la nuova capacità produttiva da realizzare per la transizione verde: indirizzo assai auspicabile, come altrove argomentato (cfr. G. Viesti, I fondi Ue e la richiesta dell’Italia a due velocità , “Il Messaggero”, 2.8.23), e che dovrebbe essere massicciamente perseguito per evitare il sicuro ampliarsi dei divari connesso ai crediti di imposta 4.0 e 5.0. Ma non vi è nulla di preciso: si vedrà.

Infine, decisamente assai complicato sarà valutare il complessivo impatto territoriale della possibile sostituzione, per alcuni interventi, del finanziamento Pnrr con altre risorse; specie se queste dovessero essere tratte, come pare, dal Fondo Sviluppo e Coesione: che è destinato per legge per l’80% al Mezzogiorno.

Concludendo, per l’insieme delle argomentazioni che si è cercato di avanzare in questa sede, sarebbe decisamente auspicabile una grande attenzione sia politica sia tecnica alle sorti del Documento e all’impatto che questo potrebbe produrre in importanti politiche pubbliche nel nostro Paese.

[Questo articolo esce contemporaneamente anche sul sito di Sbilanciamoci.]