Le politiche di austerità adottate dai governi italiani per rispondere alla crisi globale del 2008 hanno determinato un cambiamento epocale nelle Pubbliche amministrazioni. Il blocco del turn over che si è protratto per quasi un decennio ha infatti stravolto la fisionomia del pubblico impiego. Tra il 2008 e il 2019, le unità di lavoro equivalenti a tempo pieno delle Pubbliche amministrazioni nel loro complesso si sono infatti contratte di 267 mila unità (il 7,4%), determinando nel contempo un invecchiamento del personale. L’età media dei dipendenti pubblici, che già nel 2009 era di 46,9 anni, un decennio dopo ha toccato la soglia dei 50 anni e quelli che si situavano nel 2019 nella fascia 50-59 anni rappresentavano ben il 39% dell’occupazione. Inoltre, è ormai chiaro che gli effetti del blocco del turn over continueranno a dispiegarsi nei prossimi anni. Purtroppo non esiste una stima ufficiale del numero delle persone che cesseranno di lavorare durante la prossima legislatura, ma, se si leggono gli ultimi dati resi disponibili dalla Ragioneria generale dello Stato sulla ripartizione dei dipendenti pubblici per classi di età alla fine del 2019, i cessati dal servizio al termine della legislatura potrebbero ammontare a circa 800 mila.

A questa situazione si è giunti a valle di un decennio in cui l’avanzata delle forze populiste, unita alla precarietà e alla debolezza della leadership politica, ha portato i governi che si sono succeduti alla guida del Paese a non considerare l’ipotesi di investire su articolati processi di modernizzazione burocratica, preferendo abbinare al taglio degli organici misure simboliche che hanno avuto l’unico effetto di delegittimare ulteriormente le Pubbliche amministrazioni all’occhio dei cittadini.

A fronte di questa situazione, il governo Draghi ha preso atto che agli occhi dell’Unione europea e dei mercati finanziari sarebbe stato poco credibile sostenere che la burocrazia italiana dopo questo decennio di tagli senza riforme potesse rappresentare l’ossatura su cui far poggiare tutta la complessa macchina organizzativa a sostegno dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Per questa ragione l’Italia ha investito lo 0,66% dei fondi europei attribuiti nell’ambito del Ngeu sulla costruzione di capacità amministrativa, per un totale di 1.268,9 milioni di euro. Inoltre, nel Pnrr italiano il cambiamento amministrativo non è solo oggetto di specifici interventi, ma è anche al centro di una serie di riforme trasversali e abilitanti riferite a due ambiti.

 

Il governo Draghi ha preso atto che agli occhi dell’Unione europea e dei mercati finanziari sarebbe stato poco credibile sostenere che la burocrazia italiana potesse rappresentare l’ossatura su cui far poggiare la complessa macchina organizzativa del Pnrr

Il primo ambito riguarda l’introduzione di misure tampone volte ad assicurare da subito la realizzazione degli interventi nelle scadenze prefissate. Si tratta in sostanza del ricorso alla strategia tipicamente italiana di svolgere nuovi compiti con l’aggiunta di amministrazioni straordinarie a quelle ordinarie. Per puntellare la governance del Pnrr è stata infatti allestita una rete di strutture di missione, una per ciascun ministero e tendenzialmente per ciascun dipartimento, slegate dallo spoils system e destinate a durare fino al 31 dicembre 2026.

Questa rete è dotata di un proprio sistema informativo che alimenta un complesso sistema di monitoraggio quale strumento per attivare forme di esercizio del potere sostitutivo nel caso si evidenzino ritardi. Essa è coordinata da strutture tecniche situate presso la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell’Economia e delle finanze che fungono da punto di continuo contatto con la Commissione europea. Nel contempo, per rivitalizzare la ormai esangue burocrazia ordinaria si è previsto il reclutamento di 2.800 unità di personale (in particolare professionisti e tecnici) e sono stati avviati interventi fast-track di semplificazione per aggirare o rimuovere i colli di bottiglia che ostacolano la realizzazione degli obiettivi del Pnrr.

Sono state attivate inoltre varie forme di assistenza tecnica che dovrebbero accompagnare e sostenere le amministrazioni, specie quelle locali del Meridione, che meno sono attrezzate per realizzare nei tempi stabiliti gli impegni assunti dall’Italia con il Pnrr. Infine, si è cercato di evitare che la realizzazione degli interventi fosse intralciata o ritardata dall’invadenza delle corti per cui sono stati posti dei limiti all’azione dei giudici contabili (per il danno erariale), di quelli penali (per l’abuso di ufficio) e da ultimo anche di quelli amministrativi, rimodellandone i poteri cautelari al fine di rendere meramente residuale l’adozione di misure sospensive.

Il secondo ambito di interventi include le misure con le quali il governo Draghi ha cercato di rafforzare sul piano strutturale la capacità amministrativa, prevedendo nel Pnrr l’adozione di alcune riforme legislative settoriali su fisco, concorrenza, appalti e anticorruzione che però già nel finale di legislatura hanno incontrato non pochi ostacoli nell’essere adottate dal Parlamento. Rispetto alla Pubblica amministrazione si è cercato di snellire il reclutamento del personale attraverso il lancio di un portale unico, di rafforzare la sempre negletta formazione dei dipendenti pubblici, di accorpare in un unico Piano integrato di attività e organizzazione (Piao) i troppi piani e programmi che devono essere adottati dalle singole amministrazioni e, soprattutto, di rilanciare la contrattazione collettiva nella prospettiva di rivedere i profili professionali e aumentare gli stipendi. Mentre gli interventi del primo ambito sono ispirati al massimo della centralizzazione possibile per far funzionare il Pnrr, le riforme del secondo ambito lasciano alle singole amministrazioni il compito di progettare gli obiettivi, i tempi e le modalità di attuazione dei propri processi di cambiamento esercitando la propria autonomia rispetto alla valutazione dei propri fabbisogni assunzionali e formativi, all’adozione del lavoro a distanza nelle sue diverse forme, alla valutazione della produttività del personale nonché alla digitalizzazione dei procedimenti amministrativi.

La crisi politica che ha determinato la fine anticipata della XVIII legislatura e un contesto geo-politico in profondo mutamento a seguito della crisi ucraina inducono però a riflettere sulla opportunità della nuova maggioranza di governo di mantenere la rotta tracciata dal governo Draghi oppure di operare un cambio di direzione.

Il primo scenario ipotizzabile è quello della continuità. Anche in questo caso sarebbero comunque necessari degli aggiustamenti per evitare che la carenza di capacità amministrativa determini ritardi o blocchi l’attuazione dell’intero Pnrr. Il primo aggiustamento sarebbe quello di rafforzare il «manico» degli interventi per ovviare alla debolezza, già messa in risalto dalla Commissione europea nella sua valutazione dei primi passi dell’attuazione del Pnrr, delle strutture organizzative del Dipartimento della funzione pubblica della presidenza del Consiglio dei ministri che dovrebbero rappresentare il perno organizzativo degli interventi di costruzione della capacità amministrativa. Inoltre, se è vero che fino a oggi abbiamo conseguito tutti gli obiettivi previsti dal Pnrr, è anche vero che molti traguardi costituivano semplici adempimenti procedurali (milestones). Invece obiettivi ben più ardui da raggiungere, relativi al conseguimento dei risultati (targets), sono concentrati negli anni a venire.

In particolare, una parte cospicua degli interventi (circa 74,7 miliardi di euro) è previsto sia realizzata a favore del Meridione le cui amministrazioni dispongono di una minore capacità amministrativa e che dovranno a breve cimentarsi contemporaneamente con l’impegno di spendere i 48 miliardi di euro dei Fondi strutturali europei e gli oltre 58 miliardi del Fondo per lo sviluppo e la coesione. In sostanza, gli obiettivi previsti dal Pnrr sono comunque a forte rischio di carente attuazione in assenza di misure integrative o di una non marginale dilazione delle scadenze che sembra però difficile da ottenere se si considera che i Paesi frugali del nord Europa non esiterebbero ad approfittare dell’occasione per sottolineare la scarsa credibilità degli impegni assunti dal nostro Paese.

Il pensionamento di sempre più ingenti scaglioni di dipendenti pubblici aprirà considerevoli e irrazionali buchi negli organici delle amministrazioni nel corso dei prossimi anni

Il secondo scenario è quello di moltiplicare gli investimenti sull’assistenza tecnica e il ricorso a soluzioni derogatorie per cui le strutture straordinarie introdotte dal Pnrr si troverebbero di fatto a sostituirsi alle amministrazioni che non fossero in grado di realizzare in tempo i propri compiti. In questo modo però avremmo una forte compressione della capacità amministrativa ordinaria che difficilmente sarà bilanciata dai processi di cambiamento attivati spontaneamente dalle singole amministrazioni per effetto dell’autonomia accordata dal governo Draghi con riguardo alla costruzione di capacità amministrativa strutturale. L’esperienza degli anni passati sembra invece suggerire che le singole amministrazioni saranno inclini a utilizzare i contratti decentrati e la loro autonomia organizzativa più per operare un innalzamento del livello di inquadramento e stipendiale dei propri dipendenti che per fare innovazione ed efficienza. Inoltre, non si può trascurare il fatto che il pensionamento di sempre più ingenti scaglioni di dipendenti pubblici aprirà considerevoli e irrazionali buchi negli organici delle amministrazioni nel corso dei prossimi anni.

Sarà molto difficile tappare queste falle reclutando (ammesso che gli stretti vincoli di bilancio a cui siamo soggetti lo consentano) centinaia di migliaia di nuove risorse umane perché gran parte dei concorsi (se escludiamo le forme manifeste o surrettizie di regolarizzazione dei lavoratori precari che abbondano specie nel settore scolastico) saranno vinti da coloro che già operano nelle Pubbliche amministrazioni. Non è infatti pensabile che ci sia al momento una offerta di nuove risorse umane qualificate di questa entità, come evidenziato dai concorsi destinati a puntellare la capacità amministrativa delle amministrazioni meridionali che già adesso non hanno un numero sufficiente di candidati. Si dovrebbe anche considerare il fatto che il ricorso ad assunzioni di massa specie con procedure semplificate se anche non fosse sostanzialmente infattibile sarebbe comunque deleterio: avremmo personale di livello scadente che non assicurerà il miglioramento del servizio.

Nel terzo scenario, quello auspicabile, la strategia di riforma muove dall’assunto che il blocco del turn over perpetrato per un periodo così prolungato ha determinato un punto di non ritorno. In questa prospettiva, il successo dell'attuazione del Pnrr deve farsi carico anche di sostenere lo slancio per una effettiva riforma amministrativa di sistema. Per far questo è necessario che si parta, tenendo ben presenti le opportunità di trasformazione fornite dall’innovazione tecnologica, dall’individuazione e dall’allocazione delle funzioni pubbliche e si passi poi alla definizione di nuovi disegni organizzativi per superare la attuale ingovernabile situazione di frammentazione amministrativa. Inoltre, occorre procedere a una seria riforma della dirigenza pubblica su cui il governo Draghi si è limitato ad ampliare la possibilità di ricorrere a incarichi fiduciari.

Occorre in sostanza fare di necessità virtù, sfruttando le ondate di pensionamenti che si annunciano per i prossimi anni come occasione per avere una pubblica amministrazione numericamente più ridotta ma più qualificata e digitalizzata. Una riforma di questo tipo richiede però di essere sostenuta da una leadership politica che abbia una chiara visione del processo di cambiamento e ne mantenga saldamente la guida nel tempo. Lo scenario ideale vedrebbe la riforma amministrativa godere del sostegno bipartisan che la sottraesse al sistema delle spoglie. Invece la dinamica del sistema politico va verso una accentuazione della polarizzazione e dello scontro. Inoltre, la concezione alla base di questo terzo scenario è l’esatto contrario degli interventi estemporanei e propagandistici che hanno rappresentato negli anni passati il trait d’union dell’azione di governo nei confronti delle pubbliche amministrazioni delle forze populiste che nel corso del tempo stanno progressivamente aumentando il proprio consenso elettorale.