Nel corso di questa estate 2019, diverse sono state le navi di Ong rimaste per giorni in stallo nel Mediterraneo in attesa di ottenere l’autorizzazione all’attracco e allo sbarco. Ogni volta si è assistito a un analogo susseguirsi di fatti: l’individuazione di un’imbarcazione in difficoltà, il salvataggio da parte degli operatori, la richiesta di un porto sicuro (Pos, Place of Safety), il diniego della possibilità di entrare in un porto italiano effettuato tramite social media da Matteo Salvini – titolare del Viminale fino alla fine di agosto –, le disposizioni effettive firmate dai ministri delle Infrastrutture e della Difesa, la lunga attesa a bordo fino alla soluzione, negoziata caso per caso.
Questo schema ripetuto viene percepito dall’opinione pubblica come un’emergenza, da alcuni addirittura come un “assedio”, attraverso un crescendo di generalizzazioni, interpretazioni superficiali, distorsioni, narrazioni tossiche, dietrologie. L’arrivo dei migranti è avvertito come un flusso indistinto, in cui si confondono i nomi delle navi e delle Ong, le origini delle persone e le cause delle loro fughe dai paesi di provenienza, in cui le storie dei singoli faticano a emergere, le normative vengono richiamate in modo approssimativo, dove ormai si dimenticano i naufragi, presentati sempre più con indifferenza. E in cui, progressivamente, attorno alle Ong è stato creato un clima di sospetto, se non di vera e propria criminalizzazione.
Annalisa Camilli, giornalista di “Internazionale”, segue da diversi anni le rotte dei migranti verso e attraverso l’Europa, salendo sulle navi di soccorso e raccontando la situazione che si vive a bordo, il lavoro degli operatori, le vicende delle persone tratte in salvo. A partire dall’osservazione diretta e attenta del fenomeno migratorio in atto, Camilli ha pubblicato il volume La legge del mare. Cronache dei soccorsi nel Mediterraneo, che ha il grande merito di fermare il flusso delle notizie quotidiane per mettere in fila gli avvenimenti, andando a tracciare attorno a essi il contesto storico e politico in cui si collocano. Questo periodo è infatti caratterizzato da un presentismo che impedisce di guardare a quello che sta accadendo in modo più ampio, a livello temporale e geografico, ma anche sociale, culturale, antropologico.
Per Camilli, è tra il 2015 e il 2017 che cambia radicalmente l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti sia delle persone che intraprendono l’attraversamento del Mediterraneo (oltre che altre rotte via terra), sia rispetto ai soccorritori, attorno ai quali viene montato un clima di discredito, fino alla criminalizzazione della solidarietà. Ripercorrendo gli ultimi anni di gestione del fenomeno migratorio nel Mediterraneo, l’autrice identifica l’anno di svolta nel 2017, caratterizzato a livello politico dagli accordi con la Libia e dalla stesura del codice di condotta per le Ong – entrambi voluti dal governo Gentiloni e dal ministero dell’Interno guidato da Marco Minniti – ma anche dalla definizione “taxi del mare” coniata da Luigi Di Maio, leader del M5S, per le navi delle Ong e l’inizio della narrazione dell’attraversamento del Mediterraneo sui barconi come “crociera”. A livello europeo, l’agenzia Frontex accusa le Ong di essere un pull factor, un fattore di attrazione per la partenza dei barconi (accusa già mossa all’operazione italiana Mare Nostrum). Sul piano giudiziario, tra la fine del 2016 e i primi mesi del 2017 il procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro, apre un fascicolo d’indagine su presunti contatti tra scafisti e Ong; infine, avviene il primo sequestro di una nave, la Iuventa dell’Ong tedesca Jugend Rettet, e il suo equipaggio è accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Dopo le elezioni del marzo 2018, la situazione diventa quella che conosciamo oggi: Camilli individua uno snodo fondamentale in un episodio di cui è stata testimone diretta a bordo della nave dell’Ong spagnola Proactiva Open Arms. Il 17 luglio, a 80 miglia dalla Libia, tra detriti galleggianti e un gommone sgonfio vengono individuati i cadaveri di una donna e di un bambino. Attaccata a una tavola c’è una donna ancora viva: Josefa, di origine camerunense, sotto shock. Mentre Open Arms cerca di ricostruire che cosa sia successo in base alla sua testimonianza, ipotizzando un intervento mal condotto da parte della guardia costiera libica, l’attenzione mediatica viene spostata sulle “unghie laccate” di Josefa. Si tratta di una vera e propria offensiva mediatica portata avanti da alcuni militanti dell’estrema destra sovranista, volta a far credere che i salvataggi siano tutti una montatura e distraendo l’opinione pubblica dal vero elemento di crucialità della vicenda, ovvero la possibile omissione di soccorso da parte della guardia costiera libica, cui è stato demandato il coordinamento delle operazioni, fino a pochi mesi prima di responsabilità della guardia costiera italiana. Questa mancanza, unita alla guerra in atto, alla documentata violazione dei diritti umani, al non riconoscimento di alcune convezioni marittime internazionali, mettevano radicalmente in discussione la Libia come possibile interlocutore oltre che come Place of Safety.
Invece, come Camilli sottolinea, l’attenzione dell’opinione pubblica viene incanalata su quel dettaglio come “prova” di una messa in scena volta a “truffare” gli italiani: quella innescata è una vera e propria strategia mirata a spezzare qualsiasi possibile empatia tra le persone che intraprendono pericolosissimi viaggi di fuga (di cui l’attraversamento del Mediterraneo costituisce solo l’ultima fase) e i cittadini italiani (ed europei). Tramite la diffusione di teorie cospirative, l’amplificazione del numero di sbarchi, la negazione delle condizioni di necessità, pericolo, oggettiva sofferenza – fisica e psichica – dei migranti, viene praticato un ribaltamento: gli italiani, gli europei, incapaci di sentire “il dolore degli altri” – riprendendo Sontag – percepiscono al contrario se stessi come vittime. Vittime di un assedio, del travasamento della popolazione di un continente, di un progetto di destabilizzazione economica, addirittura di un piano di sostituzione etnica.
È in questo quadro che vanno collocate le strategie di propaganda politica della destra, interessata più a mantenere lo statu quo piuttosto che a riformare effettivamente il regolamento di Dublino. E in questo contesto di delegittimazione si pone anche il caso della nave Diciotti della guardia costiera italiana, assimilata a una nave umanitaria privata, con un carico di persone “illegali” a detta dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini e tuttavia invece per la maggior parte eritrei, di conseguenza potenziali richiedenti asilo per la peculiare situazione del paese di provenienza. Camilli nel volume analizza le diverse fasi della vicenda dell’agosto 2018, fino al suo portato politico, destinato a rimanere inscritto nella storia d’Italia.
Iniziando a dare una prospettiva storica a questo aspetto del fenomeno migratorio, nel volume Camilli ricostruisce per quali motivi le Ong sono arrivate nel Mediterraneo. A seguito del tragico naufragio del 3 ottobre 2013 viene varata dal governo italiano l’operazione Mare Nostrum, tuttavia chiusa per costi eccessivi l’anno seguente e sostituita dalla più modesta missione europea Triton. Dopo il naufragio del 18 aprile 2015 si apre alla presenza di navi umanitarie private che, coordinate dalla guardia costiera italiana, possano dare supporto e aiuto alle operazioni, sopperendo alle mancanze strutturali delle missioni Ue, incapaci di coprire, per insufficienza di mezzi, le esigenze di ricerca e soccorso.
Con l’esternalizzazione del controllo del tratto di mare alla guardia costiera libica si è generato in parallelo l’attacco alle Ong, colpevoli di denunciare le violazioni libiche e di conseguenza la pilatesca scelta politica italiana ed europea, lasciando che siano altri a controllare i confini con pratiche che infrangono i diritti umani. Come abbiamo visto, queste denunce sono state ribaltate contro le Ong stesse, accusate di speculare sulle vite dei migranti. Tuttavia, nonostante i tentativi di criminalizzazione politica e mediatica, le diverse inchieste sono state di volta in volta archiviate dai giudici.
In pochi anni si è generata una deumanizzazione delle persone migranti e una criminalizzazione di chi compie nei loro confronti atti di solidarietà. La domanda che rimane aperta dopo l’analisi dei diversi aspetti di questo fenomeno è se questo processo sia reversibile. Intanto le Ong, contrariamente alle accuse mosse contro di loro, chiedono a gran voce all’Unione europea la creazione di corridoi umanitari che permettano un attraversamento legale e non emergenziale del Mediterraneo. Fino a quando questo non avverrà, la necessità di salvare le vite dei migranti si porrà non solo come imperativo etico, ma come obbligo legale determinato dalle convenzioni marittime internazionali (Convenzione Solas del 1974, Convenzione Sar del 1979, Convenzione Cnudum o Unclos del 1982, ratificate negli anni anche dall’Italia): le leggi del mare.
Riproduzione riservata