Chiunque conosca almeno superficialmente le biografie delle principali leader politiche contemporanee non può fare a meno di rilevare come anche il caso della nuova premier britannica Theresa May sembri rientrare in quello schema per il quale le donne spesso arrivano al potere in momenti di crisi, come se le condizioni difficili spalancassero loro finestre di opportunità che di solito restano chiuse o, nel migliore dei casi, semiaperte. Accadde qualcosa di simile a due delle più influenti donne di governo mai comparse sulla scena politica, Margaret Thatcher e Angela Merkel, entrambe scelte dal proprio partito in una fase di turbolenza. Nel primo caso, il partito conservatore inglese era guidato da un leader ormai considerato inadeguato, Edward Heath, che però nessuno dei più papabili successori osava sfidare apertamente; nel secondo, la Cdu tedesca era stata messa in difficoltà da scandali finanziari. Alla fine la successione fu decisa a favore di due donne, con non grande esperienza alle spalle, ma che avevano il vantaggio di rappresentare la novità e il cambiamento.
Di Theresa May non si può certo dire che sia una outsider, anzi è quel che definirebbe una politica di lungo corso. Le cronache riportano che aspirasse da tempo alla premiership, tuttavia è plausibile pensare che, per una come lei, con un curriculum rispettabile ma non eccezionale rispetto a quello di diversi altri suoi colleghi di partito, forse l’ascesa sarebbe stata meno facile se il governo Cameron non avesse subito la battuta d’arresto della Brexit aprendo così una fase di crisi. È inoltre piuttosto significativo che, tra i molti possibili aspiranti alla successione di Cameron, alla fine la sfida si profilasse tutta al femminile con Andrea Leadsom seconda più votata dopo May. Altrettanto in casa laburista, dove il segretario Jeremy Corbyn sta subendo una dura contestazione e tra i possibili sfidanti è uscito il nome di Angela Eagle. Indubbiamente, si tratta di un cambiamento del panorama: va sottolineato che la politica del Regno Unito è considerata non molto ospitale per le donne, poco valorizzate in posizioni di leadership e scarsamente presenti in Parlamento (nel 2015 c’è stato il record del 29%, ma a lungo la media delle deputate britanniche è stata ben sotto quella percentuale).
Di Theresa May non si può certo dire che sia una outsider, anzi è quel che definirebbe una politica di lungo corso
A proposito del fatto che le donne arrivino al potere in situazioni eccezionali attraverso meccanismi che apparentemente le premiano come potenziali risolutrici di problemi, la letteratura sulla leadership femminile mette in luce spesso la condizione di precarietà che a tutto ciò si accompagna. Alcuni studiosi hanno coniato la pregnante immagine del glass cliff (scogliera di cristallo) per descrivere un fenomeno generale - che va ben oltre il campo della politica - tale per cui le donne spesso arrivano ai vertici quando le cose non vanno bene; di fronte a compiti molto ardui, sono per forza più esposte al rischio del fallimento e ciò può finire col tradursi in un’ingiusta distorsione sul giudizio dato loro. Ma, oltre a denunciare, giustamente, queste insidie, è interessante chiederci perché accade in modo ricorrente che le donne, anziché avere sempre un equo accesso alla leadership come dovrebbe essere, siano chiamate ai vertici preferibilmente in circostanze straordinarie e soprattutto complicate. Le ragioni sono molteplici: innanzi tutto, come già sottolineato, c’è l’elemento della novità: spesso i partiti in crisi vogliono mandare il messaggio della «svolta» e scelgono di farla incarnare da una donna, dato che il potere femminile è ancora oggi percepito come qualcosa di fuori dall’ordinario. Se poi la crisi è dovuta a scandali, si osserva che le donne, essendo in molti casi outsider, vi risultano meno implicate; in generale, quindi, godono della fama di essere meno coinvolte nei giochi della politica e questo le rende un’opzione ideale quando il problema del partito è quello di rifarsi l’immagine.
Vi è poi l’archetipo che vede il femminile connesso al potere della cura e quindi alla capacità di sanare situazioni conflittuali e divisive
Vi è poi un altro elemento ben evidenziato da diversi casi fuori dall’Europa e legato all’archetipo che vede il femminile connesso al potere della cura e quindi alla capacità di sanare situazioni conflittuali e divisive. Insomma, è facile che la leadership femminile venga associata al modello «madre della nazione», che aggiusta le cose attraverso l’ascolto, la comprensione e la mediazione. Non dimentichiamo, però, che esiste anche un modello contrapposto di potere al femminile, quello della «regina guerriera», ben incarnato dall’unica donna che ha preceduto May a Downing Street, Margaret Thatcher, la «Lady di Ferro» rappresentata come la donna capace di assumersi le responsabilità di cui gli uomini intorno a lei non sapevano farsi carico e la cui battuta forse più famosa è «The lady’s not for turning».
Quale modello di leadership Theresa May esprimerà lo sapremo solo alla prova dei fatti. Come da lei stessa dichiarato, per sua scelta, May non è mai stata molto sotto i riflettori mediatici. Pertanto, da questo punto di vista, non è ancora uno di quei personaggi così familiari per cui si possono avanzare previsioni davvero attendibili sullo stile di leadership che adotterà. Quel che è, invece, evidente a tutti è che, poiché con il referendum sulla Ue il Paese si è praticamente spaccato in due, non è fuori luogo auspicare che la nuova leader sappia essere curatrice nel senso di ricomporre le tensioni interne: il suo discorso dopo l’investitura rivela che May è ben consapevole di tutto ciò.
Altrettanto, May dovrà mostrare determinazione, ma anche doti diplomatiche nel condurre la nazione britannica attraverso le negoziazioni della Brexit. «Brexit means brexit» è stata la sua dichiarazione in merito. Come ha scritto Chris Giles sul «Financial Times», resta da vedere come esattamente May intenderà il significato della Brexit.
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