Sono nato e ho vissuto la prima infanzia con la guerra, la Seconda guerra mondiale; non mi sarei aspettato di passare gli ultimi anni ancora con la guerra. Quella guerra, tuttavia, mi lasciò la speranza, perché il fascismo era finito e dopo, in seguito a una spirale difficile, ma in ascesa, ecco la ricostruzione e il boom economico della mia giovinezza. C’era, sì, la Guerra fredda, gli odi erano profondi e i pericoli grandi. La crisi dei missili a Cuba fece scorrere tremori lungo la schiena a noi ventenni che temevamo di essere richiamati e buttati in qualche altra ventura come la campagna di Russia, senza pensare che la guerra sarebbe stata una guerra atomica che avrebbe distrutto velocemente ogni cosa, altroché campagna di Russia. La deterrenza reciproca, però, tenne e tutto passò. Dopo si riprese a veder rosa, con l’arrivo della società dei consumi. Nel 1963 comprai la mia prima auto, una Seicento usata verde clorofilla, arrivarono i supermercati anche a Bologna, girai per l’Europa e andai negli Stati Uniti. Gli odi erano sempre là, ma contenuti e meno invasivi.
Il mondo continuava a essere pericoloso. Ci fu la guerra in Vietnam e gli Stati Uniti la persero; ma il sistema americano, con gli Stati Uniti come pivot dell’ordine mondiale, resse e soprattutto resse l’idea che eravamo noi – cattolici, liberali, socialisti o comunisti del mondo bianco – a possedere le chiavi del pensiero e della storia umani. Lo sviluppo poteva essere capitalista o comunista, laico o religioso; ma sempre affondava le sue radici nella Bibbia e nel cristianesimo, cattolico o riformato, in Platone e in Aristotele e nei loro lontani ma legittimi eredi, l’Illuminismo e Marx. Si riteneva che le difficoltà fossero tante; ma che alla fine la nostra cultura, in una delle sue forme, avrebbe prevalso e liberato l’umanità, perché i suoi valori erano universali.
Quando la mia amica africanista Annamaria Gentili mi parlava dell’Africa con tutta la sua passione e la sua razionale competenza scientifica, la ascoltavo con attenzione e interesse, ma senza seguirla fino in fondo. Parlava di un mondo che mi era lontano e che, nonostante ogni mio sforzo intellettuale e politico, restava in qualche modo tale, un mondo ai margini. Un mondo che, col tempo, ci avrebbe pensato il progresso a portare nella civiltà, la nostra.
Dovetti arrivare a James Baldwin, il grande scrittore afroamericano del Novecento, per essere trafitto dal colpo di lancia che scagliava contro i liberal bianchi che volevano per i neri le loro stesse libertà e diritti. Non capisce the man, l’uomo bianco, scrive Baldwin, di star facendo quello che i bianchi hanno sempre fatto, stabilire loro quel che i neri vogliono e negare che i neri abbiano una loro volontà, che intendano esprimerla a modo loro, con un pensiero loro che può non essere come quello dei bianchi. Baldwin non era un Black Panther e neppure un Black Muslim seguace di Malcolm X; ma colpiva duro e poneva un interrogativo fondamentale. Un interrogativo che si allargava alla grande maggioranza del mondo che non era occidentale, non intendeva diventarlo o voleva diventarlo in parte e a modo proprio. Una maggioranza a cui, paradossalmente, proprio il capitalismo occidentale nel suo globalizzarsi stava a poco a poco fornendo gli strumenti per emanciparsi dal dominio dell’Occidente.
Oggi davvero l’Occidente non egemonizza più un mondo che è plurale tranne per quanto riguarda la sua ossatura economica e tecnico-scientifica
Ed eccoci a oggi, in cui davvero l’Occidente non egemonizza più un mondo che è plurale tranne che per quanto riguarda la sua ossatura economica e tecnico-scientifica, gli unici elementi occidentali ad avere sul serio conquistato l’umanità. Economia e scienza sono neutrali, si dice, soggette a leggi oggettive. È vero, incidono in modo oggettivo sulle società umane, le avvolgono con una logica loro; ma costruiscono navi senza timone, dove andare glielo dicono la cultura e la politica. Ed ecco il dilemma, che rileviamo ogni giorno. So nulla di Hamas e non intendo spiegare quel che fa, che intende fare e perché lo fa; ma una cosa la so. I membri di Hamas ritengono di fare la volontà di Dio e sono convinti che Dio vuole che Gerusalemme e tutto il territorio ora contaminato dalla presenza di Israele torni all’Islam. Israele è un corpo estraneo, infedele e nemico in Palestina. Morire per cancellarlo non è morte, è martirio che assicura la vita eterna. Un viluppo di idee e di azioni che a noi occidentali fa orrore, eppure le troviamo anche nelle nostre radici. Ricordiamo i martiri cristiani che i romani deridevano per la loro fame di morte nella certezza di un premio che, essendo oltre la vita, per i romani era una stupidaggine. I primi cristiani non andavano a uccidere gente come fanno i radicali islamici, certo che no; ma dopo la vittoria di Costantino i pagani presero a soffrire aggressioni e persecuzioni crescenti e dopo i decreti teodosiani del 391-92, che vietavano i culti antichi, i pagani e i loro templi vennero aggrediti e distrutti con sacra, radicale violenza.
Che tragedia per noi che ancora crediamo nella libertà, pur se non siamo in grado di definirla in modo accettabile a tutti, e crediamo che la libertà abiti fra noi, magari in una casuccia dove piove dentro, ma è qui. La libertà, quella universale. Dobbiamo arrenderci allo scontro di civiltà, lo scontro con chi vive lontano da quella casuccia? E sono giganti che ci guardano in cagnesco. Mica si scherza. Dobbiamo accedere all’idea di una serie di sfere di influenza fra civiltà distanti e avverse? E allora? E il mare che si aprì davanti a Mosè e agli ebrei e travolse il faraone e tutti gli egiziani? È l’inizio della nostra storia, una storia di liberazione che è la madre della libertà ed è una storia universale.
Che facciamo di tutta la nostra storia? Io non lo so. So come tutti che stiamo lottando fra noi perché nel mondo occidentale tanti hanno finalmente raggiunto il punto in cui credono che l’universalismo dei valori non consista nel darne una definizione definitiva, ma una sempre in fieri in conversazione con gli altri, nel riconoscere la presenza dell’altro, nell’ammettere che non siamo un compendio conclusivo e necessitato – ciascuno di noi dentro a un’armatura – del vero. E so che tanti altri la pensano in modo esattamente opposto e, dal momento che paiono perdere terreno, si sentono minacciati, esclusi, potenzialmente uccisi. Non bastasse questo fondamentale scontro all’interno dell’Occidente, ora il mondo non occidentale, la maggioranza dell’umanità, avanza con successo visioni del mondo che negano e combattono quella occidentale: culture altrettanto storicamente radicate e altrettanto meditate della nostra.
L’universalismo dei valori non consiste nel darne una definizione definitiva, ma una sempre in fieri in conversazione con gli altri
Non ho alcuna proposta per risolvere la questione, sono soltanto uno storico, per di più sdrucito e male in arnese, però mi sento di dire un paio di cose da storico dalla lunga vita. Guardiamo alla fuga degli ebrei dall’Egitto. Sì, è una storia fondante per la nostra cultura in quanto è il modello di ogni storia di liberazione; ma è anche una storia legata al sangue, il sangue degli egiziani persecutori, poi il sangue degli stessi ebrei uccisi da Mosè in quanto adoratori del Vitello d’oro. Non si sfugge all’assassinio mentre si va verso la libertà e la verità. E se si guarda agli inizi, la storia dell’umanità comincia con la tragedia di Caino e Abele. Lì comincia e lì finisce perché muoiono entrambi e Adamo deve concepire un nuovo figlio, Set, per ridar vita all’umanità. La storia umana è tutta un fracassare e raccogliere i cocci. E la nostra storia di occidentali, quella vicina a noi, è una storia di fatti meravigliosi uniti a conquiste e uccisioni e continue sostituzioni etniche. Gli Stati Uniti hanno dato vita a una continentale sostituzione etnica dall’Atlantico al Pacifico, di una sostituzione etnica ci parlano la storia del Canada e dell’Australia e l’Algeria francese è la storia di un tentativo di sostituzione etnica finito male.
Quel che voglio dire è che se intendiamo affermare ancora davanti a tutti, all’interno e all’esterno, i nostri autentici e mai definitivi valori occorre che prima smettiamo di rifiutare la cosa più ovvia: che sono sempre stati avvinghiati al sangue. Lo saranno ancora, senza dubbio; ma se intendiamo difenderne il valore diminuendo quel sangue dobbiamo per prima cosa ammettere il loro essere parziali, il loro avere una storia e un presente non santi. Ci serve una sessione di autocoscienza, non brandire la spada di re Artù o quella dei Templari. Lo abbiamo fatto così a lungo e il risultato è che siamo circondati da spade che, la storia è ironica, abbiamo affilato con il nostro capitalismo.
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