Spesso la finanza è considerata materia riservata a esperti, tranne poi accorgersi – l’esempio classico è quello della grande crisi nel primo decennio di questo secolo – che le sue dinamiche possono in realtà incidere (anche con dolorose conseguenze) sulla vita di tutti i giorni, costringendoci comunque a farci i conti. È quello che dobbiamo fare adesso, guardando al futuro dopo le elezioni europee e al quadro politico che si è delineato, come ci indicano sia il rapporto Letta (le cui proposte si possono leggere anche nel volume, Molto più di un mercato, appena pubblicato dal Mulino) sia le linee generali preannunciate dal prossimo rapporto Draghi.
La questione è semplice e banale: se (ma appunto non poco dipenderà dalle maggioranze che si formeranno al Parlamento europeo) al centro dell’agenda politica torneranno serie strategie di investimento verso la transizione ecologica e digitale, ci sarà bisogno di molte risorse, che sarebbe pia illusione pensare di mobilitare solo e soltanto facendo ricorso ai fondi pubblici. Bisognerà, quindi, creare un solido e integrato mercato dei capitali europeo affinché risparmi e investimenti si indirizzino verso questi settori. In altri termini, come ci racconta il rapporto Letta, “Enhancing financial integration within Single Market is more than an objective in itself, it has become a prerequisite to achieve the broader goals of the Eu”. Che nella citata edizione italiana aggiunge:
"c’è bisogno di mobilitatori dell’integrazione finanziaria europea che siano esterni al settore finanziario, concentrandosi su obiettivi che riguardano il futuro dei cittadini piuttosto che la finanza stessa. Sostenere strutturalmente la transizione è, in questo senso, un dovere di sistema. Si tratta di un aspetto cruciale, soprattutto perché senza le risorse private che emergeranno dalla creazione di una forte e autentica Unione del Risparmio e degli Investimenti, sarà estremamente difficile risolvere le divisioni interne agli Stati membri riguardo all’allocazione delle risorse pubbliche nazionali ed europee necessarie a coprire i costi della transizione."
Semplice la questione, molto più difficile affrontarla, perché la creazione di una Capital Markets Union è il miglior esempio della distanza tra i buoni propositi e la dura realtà dei rapporti di potere. Infatti (lo descrive molto bene uno studio di Nicolas Veròn intitolato proprio Capital Markets Union: Ten Years Later), è da dieci anni che le diverse Commissioni nel frattempo succedutesi lanciano ambiziosi programmi, caduti spesso nell’oblio o solo in piccola parte attuati. Insomma, per farla breve, big on rethoric, small on policy.
il vero snodo sulla strada della creazione di un mercato dei capitali in grado di rilanciare investimenti privati che altrimenti se ne vanno in altre aree del mondo è la creazione di un apparato di regole comuni
Anche l’ultima, allo scadere del suo mandato, l’ha rilanciata e nel rapporto Letta sono contenute molte e innovative proposte per riprendere il cammino di quella da lui ribattezzata Saving and Investment Union. Ma il vero snodo sulla strada della creazione di un mercato dei capitali in grado di rilanciare investimenti privati che altrimenti se ne vanno in altre aree del mondo è la creazione di un apparato di regole comuni, semplici e soprattutto governate da un’unica autorità di vigilanza che prevenga la frammentazione di sistemi di controllo inevitabilmente destinati a interpretare quelle regole a uso e consumo degli interessi nazionali. Sempre la storia degli ultimi dieci anni dimostra, per quanto riguarda le banche, che la vera Unione bancaria si è realizzata solo quando si sono attribuite competenze di vigilanza direttamente alla Bce con la creazione del Single Supervisory Mechanism e successivamente del Single Resolution Mechanism. Sicuramente mancano ancora dei tasselli per completarla, ma è innegabile che si tratti di uno dei più grandi sforzi di revisione dell’architettura istituzionale dei mercati mai realizzato in un’area regionale del mondo. Uno sforzo però (anche qui consigliabile la lettura di un recente paper di Lorenzo Bini Smaghi, The Political Economy of The Capital Market Union) maturato sulla spinta delle conseguenze della crisi finanziaria di inizio secolo e soprattutto per la paura che potesse propagarsi all’area dell’euro.
Il vero snodo sulla strada della creazione di un mercato dei capitali in grado di rilanciare investimenti privati è la creazione di un apparato di regole comuni, semplici e governate da un’unica autorità di vigilanza
Le poche voci del deserto che negli anni precedenti si erano levate a favore di questo modello istituzionale avevano sempre incontrato la forte resistenza dei singoli Paesi, restii a perdere la propria giurisdizione, e soltanto la paura ha comportato una forte accelerazione del processo di unificazione. D’altronde una costante della storia è che le crisi hanno sempre rappresentato una straordinaria sveglia per legislatori sonnolenti.
Il rapporto Letta è consapevole di queste dinamiche e infatti mette al centro delle sue proposte l’integrazione dei poteri di supervisione attraverso un graduale ma significativo incremento delle competenza dell’Autorità di controllo sui mercati finanziari l’European Securities and Markets Authority (Esma) e una revisione della sua governance ispirata al modello Bce, passaggi che dovrebbero realizzarsi, secondo il crono-programma, entro il 2026. C’è solo da chiedersi se le forze politiche saranno in grado di impegnarsi per una così ambiziosa riforma con un evidente riequilibrio dei poteri in ambito comunitario, superando le prevedibili resistenze nazionali di chi quei poteri farà di tutto per non perdere; il timore è che si debba ancora una volta aspettare che si diffonda un po’ di sana paura sui mercati.
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