Con l’ennesima tragedia di migranti annegati nel canale di Sicilia si ripropone il tema, delicatissimo, del rapporto del nostro Paese con l’Unione europea. Rilevare l’inefficienza di Bruxelles sulla questione del governo dei flussi migratori che dalle zone di guerra limitrofe si riversano sul nostro continente è come sparare sulla Croce Rossa. Peraltro, nel contesto attuale aspettarsi che l’Unione sia in grado di rispondere seriamente a questa emergenza è piuttosto difficile.
Lo scatenarsi di pulsioni populiste di fronte al timore sempre più generalizzato che siano irreversibilmente finiti i famosi anni biblici delle vacche grasse è osservabile ovunque. In Italia non siamo affatto immuni da questo contagio, anzi dobbiamo sopportarlo in diretta, perché è sulle nostre sponde che si dirige la gran parte dei flussi migratori.
La domanda allora è: ma noi siamo in grado di reggere questa pressione, innanzitutto dal punto di vista psicologico? Il dubbio è notevole, non solo perché si tratta dei tipici fenomeni dai contorni oscuri e con la caratteristica di far presagire capovolgimenti epocali,ma perché abbiamo un sistema politico in gravi difficoltà nel produrre un potere di governo. Parliamo ovviamente di qualcosa di più della semplice esistenza di un “esecutivo”. Con un linguaggio tradizionale si dovrebbe dire che di fronte a eventi tragici (e il grande esodo di popolazioni verso l’Europa lo è) è necessaria una “solidarietà nazionale”. Solo questa può rendere il Paese autorevole a livello internazionale e può trasmettere fiducia all’interno dei propri confini.
Ci sembra difficile vedere nella situazione attuale le caratteristiche di una, sia pur blanda, “solidarietà nazionale”. Non è tanto questione dello sciacallaggio dei populismi, siano quello di Salvini o quello di Di Battista: sono fenomeni inevitabili in sé, il problema è solo quello di confinarli in un ambito circoscritto. Il tema vero è la debacle dei tradizionali partiti di governo, sia del Pd che di FI, cioè delle due componenti che si sono succedute alla guida dell’esecutivo negli ultimi vent’anni.
Entrambi i partiti sono avviluppati in lotte di fazione che impediscono ai loro gruppi dirigenti di elaborare una seria politica condivisa verso l’Unione europea. Le due situazioni sono certo differenti fra loro. Forza Italia in questo momento non ha neppure un vero vertice politico, essendo Berlusconi un fantasma che appare e scompare senza incidere (il suo annuncio di disponibilità a collaborare col governo è passato quasi inosservato), mentre il suo gruppo dirigente è ridotto ad alcuni pretoriani impegnati più che altro a evitare di essere travolti dalla crisi generale.
Nel Partito democratico una leadership c’è, ed è anche forte, ma è costretta continuamente a una politica muscolare per affermare la sua primazia contro una minoranza il cui unico scopo sembra essere quello di azzoppare il premier-segretario. Mentre, infatti, incombe la tragedia dell’immigrazione, c’è alle porte un delicato dossier con la Grecia, siamo testimoni di uno sconvolgimento endemico sulle sponde africane e mediorientali del Mediterraneo, sembra che il destino della democrazia sia legato a tecnicalità della legge elettorale come capilista bloccati e spazio da dare alle preferenze.
Davvero si pensa che uno spettacolo del genere possa metterci in grado di farci ascoltare in Europa e nel mondo?
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