Hanno qualcosa in comune gli attacchi speculativi ai Paesi deboli dell’area euro e lo scandalo Murdoch? Forse sì; forse entrambi sono manifestazioni di un unico processo, che molti chiamano declino dell’Occidente. Il declino della cultura occidentale è iniziato negli anni Ottanta, quando l’economia ha cominciato a lasciare il posto alla finanza: alla produzione di soldi per mezzo di soldi. Gli imprenditori occidentali hanno cioè smesso di produrre beni durevoli e cominciato a speculare in borsa: investimento che, a breve termine, è sembrato molto più redditizio.
È apparso allora il Casinokapitalismus, che ha arricchito poche persone producendo invece, per tutti gli altri, fallimenti su fallimenti: l’ultimo dei quali con la grande crisi dei mercati immobiliari. In compenso, il capitalismo finanziario è riuscito a cambiare i nostri valori: non più progresso, lavoro, produzione, ma rapido arricchimento, consumo e, per dimenticarsi più facilmente del futuro, tanto intrattenimento. Gli imperi mediatici di tycoon della comunicazione come Rupert Murdoch e Silvio Berlusconi, così, hanno finito per soppiantare le grandi corporation industriali anche come punti di riferimento della politica.
In questo scorcio d’estate, alcuni di questi nodi stanno venendo al pettine. La speculazione, dopo i Paesi minori dell’area euro, ha cominciato ad attaccare i Paesi maggiori. Ora tocca all’Italia, percepita come politicamente allo sbando; e in effetti è vero che ormai si affida, come unica credenziale di serietà, a un tributarista lombardo, il prof. Giulio Tremonti. Ma soprattutto monta ogni giorno di più, nei Paesi anglosassoni, lo scandalo Murdoch: fra arresti e suicidi di collaboratori, dimissioni dei capi di Scotland Yard e gravi imbarazzi per il leader conservatore inglese David Cameron.
Quest’ultima vicenda ha fatto tracciare a commentatori autorevoli, come Alexander Stille, un parallelo con le vicende del nostro Paese: come se fosse la prova provata che il berlusconismo non è un’anomalia italiana, ma un fenomeno di dimensioni planetarie. È proprio così? Sì e no: fra caso Murdoch e caso Berlusconi vi sono sì somiglianze, ma anche differenze. Le somiglianze riguardano le strategie mediatiche: entrambi hanno puntato a colpo sicuro sull’ingaglioffimento dell’intrattenimento e sulla faziosità dell’informazione: intuendo che – in un mondo nel quale basta un pettegolezzo a far crollare la borsa – si tratta ormai delle armi più efficaci.
Le differenze, però, sono enormi: e non solo perché sull’impero dell’australiano non tramonta mai il sole, mentre il tentativo di estendere quello dell’italiano – in Francia e Spagna, purché se magna – è stato ignominiosamente respinto. Il fatto è che Murdoch non ha mai preteso di controllare direttamente il potere politico; si è limitato a sostenere i leader conservatori inglesi e statunitensi, più Tony Blair: l’etica pubblica protestante non gli avrebbe permesso di più. Berlusconi, invece, ha voluto governare in proprio, come sinora era potuto avvenire solo in qualche repubblica bananiera: evidentemente, la nostra etica pubblica glielo consente. Gli italiani tollerano da vent’anni un conflitto d’interessi molto più enorme dell’impero di Fox e di Sky; ci si sono talmente affezionati, anzi, da preferire di non credere più ai telegiornali, piuttosto che dover assistere, come gli anglosassoni, non si dice a suicidi, ma a pure e semplici dimissioni.
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