Nella sua edizione del 10 ottobre, The Economist dedica la copertina e l’editoriale all’Europa (Wake Europe up !) rappresentata da una bella addormentata che potrebbe essere risvegliata da Tony Blair, uno dei candidati più forti per la carica di presidente del Consiglio europeo, anzi – per il settimanale britannico – l’unico in grado di competere contro gli “usual Europygmies” e di premere per le riforme di cui l’Europa ha bisogno.
Al tema dell’elezione del Presidente del Consiglio europeo sono stati dedicati due editoriali del Corriere della Sera (Mario Monti) e del Sole 24 Ore (Giuliano Amato) l’uno e l’altro implicitamente critici sulla candidatura di Tony Blair. E’ sceso ufficialmente in pista il primo ministro lussemburghese Jean-Claude Juncker e si è invece chiamata fuori dalla gara l’ex presidente irlandese Mary Robinson.
Quando Tony Blair prese il bastone del comando alla testa del Consiglio europeo nel luglio 2005 e pronunciò un vibrante discorso per una nuova Europa nell’emiciclo di Strasburgo, un’ondata di ottimismo si diffuse in tutto il continente. Finalmente l’Europa delle burocrazie sarebbe stata consegnata agli archivi storici di Firenze ed il primo ministro britannico – novello Churchill – avrebbe portato aria nuova a Bruxelles. Più mercato e più competizione avrebbero rilanciato l’economia europea, la costosa politica agricola comune sarebbe stata radicalmente riformata, la flessibilità e la mobilità del mercato del lavoro avrebbero ridotto drasticamente il numero dei disoccupati e l’Unione europea avrebbe ritrovato la sua collocazione nel mondo a fianco dell’alleato americano esportando pace e democrazia laddove esse erano misconosciute. Editorialisti ed opinion makers erano concordi, anche in Italia, nel prevedere che una nuova fase dell’integrazione europea era finalmente iniziata e che un luminoso avvenire si stava aprendo per l’Europa unificata appena un anno prima.
Smentendo i suoi frettolosi corifei, Tony Blair gestì invece la presidenza del Consiglio europeo come aveva gestito la sua precoce vita politica nazionale. Frangar non flectar, diceva lo stoico Seneca, che avrebbe avuto difficoltà a consacrare uno dei suoi dieci Dialoghi al giovane Blair. Inizialmente seguace di una soft left, il giovane Blair si era poi schierato con la corrente socialista dei labour per ottenere una constituency e garantirsi l’elezione alla House of Commons. In quell’occasione (1983), il trentenne Blair partecipò attivamente alla campagna per l’uscita del Regno Unito dalle Comunità europee ed a quella pacifista per il disarmo nucleare unilaterale. Come è noto, egli è stato poi l’ispiratore della c.d. terza via che molti adepti ha trovato anche in terra italiana. Dal punto di vista europeo, Tony Blair caratterizzò la sua prima presidenza del Consiglio europeo (1998) con la promessa dell’adesione del Regno Unito all’Euro promuovendo un piano economico-monetario (national changeover plan) e annunciando un referendum alla fine della sua prima legislatura (2003-2004). Così non è stato e l’idea di convocare un referendum sull’Euro cominciò a perdere terreno già nel giugno 1998 quando il Sun di Murdoch aveva lanciato una campagna contro l’Euro e Blair aveva temuto di fare la fine di Kinnock, la cui carriera politica fu proprio stroncata dalla stampa popolare britannica. La seconda presidenza europea di Blair (2005) si è conclusa con la conferma del peso eccessivo della PAC e con l’inadeguato livello di spese necessarie per lo sviluppo dell’economia europea come l’ambiente, l’innovazione tecnologica e la ricerca.
Blair aveva firmato a Roma la costituzione europea il 29 ottobre 2004 ed aveva ottenuto che da essa fosse eliminato tutto ciò che avrebbe disturbato l’euroscetticismo britannico. Nonostante questi risultati, il trattato-costituzionale non è stato ratificato dal Regno Unito e Blair ha chiesto ed ottenuto dalla cancelleria Merkel di annullarlo e di sostituirlo con le più modeste riforme del Trattato di Lisbona.
Durante l’acuirsi delle tensioni in Medio Oriente nell’autunno 2008 si sono perse le tracce di Tony Blair, inviato-ombra del cosiddetto “Quartetto” (USA, UE, ONU, Russia) e surclassato dall’esposizione mediatica di Nicolas Sarkozy.
A casa nostra, e al di là degli editoriali di Monti e Amato, solo Il Foglio con una lettera di Silvio Berlusconi ed il Sole 24 Ore con Adriana Cerretelli e Andrea Romano si sono schierati con Tony Blair. Il Sole 24 Ore ha cercato di vendere la candidatura di Blair scrivendo che egli sarebbe “una garanzia in termini di marketing” perché ha un volto noto, una reputazione solida ed una statura politica indiscussa. Non è solo questione di marketing ma anche di scelte politiche, in particolare sull’Europa che vogliamo in termini di risorse finanziarie, di contenuto delle politiche comuni e di relazioni esterne per non parlare dell’alternativa non risolta da Lisbona fra il rilancio della prospettiva federale o il ritorno indietro all’Europa delle apparenti sovranità nazionali. Indicando simili priorità, i governi del Benelux hanno di fatto messo il veto sulla candidatura di Tony Blair in attesa che l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ci dica se avremo un presidente del Consiglio europeo (e per che fare).
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