Da quando la cosiddetta «crisi migratoria» è esplosa in Europa in tutta la sua drammaticità, si sono susseguiti proposte e suggerimenti per arginarne gli effetti, almeno sul fronte della gestione dei flussi, con i riflettori puntati sul tema della solidarietà tra Paesi membri per quanto riguarda l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati. Le modifiche agli accordi di Dublino, la controversa intesa tra Unione europea e Turchia, la gestione delle frontiere esterne, nuove proposte come il «migration act» presentato dal governo Renzi sono solo alcuni dei livelli sui cui si sta giocando la partita che vede messo in discussione il futuro stesso dell’Unione europea. Ma poiché qualsiasi ipotesi non può prescindere dai dati, ci sembra utile fare il punto sulle richieste d’asilo e sui ricollocamenti.
Per misurare l’impatto di questa fase emergenziale, il primo dato significativo è quello relativo alle richieste d’asilo: se nel 2014 si è quasi raggiunto il record del 1992 (periodo della guerra nei Balcani), nel 2015 il numero è addirittura raddoppiato. La Germania si conferma il primo Paese per numero di domande, con circa un terzo del totale europeo e un valore più che raddoppiato nell’ultimo anno. Aumentano tutti i Paesi Ue, ma l’impatto è più forte in Paesi che fino al 2014 non erano ancora interessati dal fenomeno: in Ungheria le richieste sono quadruplicate, triplicate in Austria e addirittura decuplicate in Finlandia.
Evidentemente l’emergenza tocca sempre più Paesi e assume una dimensione che ora non è più gestibile solo a livello nazionale, ammesso che lo sia mai stata.
Le politiche europee di gestione dei flussi migratori si basano su principi di responsabilità e solidarietà tra tutti i Paesi membri. In particolare, negli ultimi anni i principali paradigmi sono stati l'approccio “hotspot”, lo schema di ricollocamento e il rimpatrio immediato – volontario o forzato – di chi non ha diritto alla protezione internazionale. Questi principi, pur riscontrando un largo consenso a livello teorico, incontrano diversi problemi di gestione pratica e di consenso tra gli Stati membri.
In un contesto di cambiamenti così repentini, sembra ormai lontana l’Agenda Juncker sull’immigrazione, proposta dalla Commissione Europea nel maggio 2015. Più o meno a un anno di distanza, l’Unione Europea ha raggiunto un accordo con la Turchia. Infine, il 4 maggio 2016 è stata presentata dalla Commissione europea una proposta di riforma del sistema europeo comune di asilo, introducendo un sistema di distribuzione delle domande di asilo tra gli Stati membri, più equo, più efficiente e più sostenibile. Le proposte della Commissione comprendono anche la trasformazione dell’attuale Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) in una vera e propria agenzia dell’Unione europea per l’asilo e il rafforzamento di Eurodac, la banca dati delle impronte digitali dell’Ue.
I ricollocamenti, forse l’azione più simbolica tra quelle previste dalla Commissione (in quanto coinvolge direttamente tutti gli stati membri secondo i principi di solidarietà e responsabilità), sono l’emblema delle difficoltà europee nella gestione dei flussi migratori.
Già nel periodo immediatamente successivo all’approvazione dell’Agenda, i Paesi Ue faticarono molto ad accordarsi sul meccanismo di ricollocamento. Mentre la proposta iniziale si basava su quote “fisse” basate su parametri oggettivi (quali il Pil, il numero di abitanti, i tassi di disoccupazione e la presenza di richiedenti asilo), si giunse nel settembre 2015 a un sistema di quote “volontarie” stabilite dagli stati stessi.
A circa sei mesi dall’avvio, il programma è molto lontano dagli obiettivi stabiliti: rispetto all’obiettivo finale di 35 mila persone (da raggiungere entro settembre 2017), dall’Italia ne sono partite appena 530 (1,5%), così come dalla Grecia (615 su 63 mila, ovvero l’1%).
Se non si riuscirà a migliorare la gestione dei ricollocamenti, non soltanto il peso dell’emergenza continuerà a gravare quasi esclusivamente su Italia e Grecia, ma l’intero approccio strategico immaginato a Bruxelles risulterà indebolito e si alimenteranno i contrasti tra gli Stati Membri come è accaduto sulla vicenda del Brennero. In questo momento, su questi temi e sulle ultime proposte di riforma del sistema di asilo, l’Unione europea gioca una partita importante non solo per la gestione dell’emergenza, ma anche per la tenuta stessa delle proprie istituzioni: solidarietà e responsabilità, ora più che mai, dovrebbero essere i principi alla base delle decisioni politiche.
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