In Austria le ultime elezioni regionali – svoltesi in Stiria il 24 novembre scorso – hanno prodotto un significativo cambiamento del panorama politico locale, con il partito di estrema destra FpÖ salito al 35% e diventato partito di maggioranza relativa. Il guadagno in termini percentuali del partito è stato di poco superiore al 17% e si inserisce in una tendenza positiva a livello locale. In ottobre, infatti, in Voralberg la FpÖ aveva guadagnato 13 punti diventando, con il 28% dei voti, il secondo partito della regione.

Il risultato in Stiria è però particolarmente significativo per tre ragioni: innanzitutto è la prima volta che il partito ottiene la maggioranza in una regione diversa dalla Carinzia, dove la aveva ottenuta in passato; in secondo luogo la dimensione della crescita è sorprendente; in terzo luogo l’esito del voto sembra confermare una tendenza più generale di ascesa del partito a livello federale. Secondo un sondaggio Insa del 4 dicembre, la FpÖ sarebbe al 34% a livello federale, con un incremento di più di 5 punti rispetto alle recenti elezioni politiche, e rafforzerebbe dunque la sua posizione di primo partito ottenuta alle ultime elezioni. Di fronte al risultato in Stiria il commentatore politico del giornale austriaco “Der Standard”, Hans Rauscher, ha parlato di una svolta a destra per il proprio Paese, invitando i partiti a concludere rapidamente le trattative per la formazione di un governo tripartito e a prendersi carico delle criticità della società austriaca (costo della vita, sanità, crisi industriale e migrazione) da cui l’estrema destra trae vantaggio. Secondo diversi osservatori, l’Austria sembra soffrire di una crescente polarizzazione tra gruppi che traggono profitto dalla globalizzazione e gruppi che ne sono danneggiati, spesso secondo una linea di frattura urbano-rurale: una polarizzazione che i partiti tradizionali non sembrano in grado di sanare.

La superiorità morale della democrazia va costruita giorno per giorno con i fatti e non assunta come una teleologia della storia

Fra i temi maggiormente sensibili per i gruppi degli scontenti, quello delle migrazioni risulta essere di sicuro successo per ogni partito populista. Sotto questo profilo ha certamente ragione lo scienziato politico Cas Mudde, uno dei maggiori esperti di populismo, quando ha rilevato – tempo fa sul “Guardian” – che applicare le ricette della destra da parte dei partiti di democrazia liberale non porta vantaggi a queste formazioni. Commentando sullo stesso giornale i risultati delle elezioni politiche nazionali in ottobre assieme a Gabriele Greilinger, Mudde aveva rilevato come la politica di cooptazione della FpÖ come junior partner nella maggioranza di governo nazionale, o locale come in Voralberg, da parte del partito conservatore (Övp) avesse contribuito non solo a normalizzare la presenza dell’estrema destra nelle istituzioni, ma anche a rendere accettabili i temi della FpÖ all’elettorato tradizionale del partito conservatore. Infatti, secondo un sondaggio preelettorale di inizio settembre dell’agenzia Ogm, il 48% degli elettori dichiarati della Övp avrebbe gradito un governo con l’estrema destra più di un’alleanza con i socialdemocratici (34%).

Se l’argomento che considera controproducente imitare le soluzioni della destra appare convincente e sostenuto da prove empiriche – perché si dovrebbe del resto scegliere l’imitazione e non l’originale? –, qual è la strada alternativa? Per Rauscher la via non può essere quella di negare il problema. Parlando proprio dell’immigrazione il giornalista austriaco ha ribadito come inaccettabile l’idea di “mandare via gli stranieri”, ma ha anche invitato i democratici a smettere di negare l’esistenza del problema e a cercare invece nuove soluzioni.

Vi sono due modi di affrontare un classico dilemma delle democrazie liberali: cosa fare di fronte a partiti considerati antisistema rispetto ai valori?

Le due posizioni qui descritte espongono altrettanti modi di affrontare un classico dilemma delle democrazie liberali: che cosa fare di fronte a partiti considerati antisistema rispetto ai valori? Possiamo dire che vi sono due possibili risposte: escludere il dialogo con gli elettori e/o vietare i partiti estremisti, oppure cercare di riconquistare i voti perduti.

Escludere i partiti spesso non è una soluzione percorribile, anche quando – come in Germania – la Costituzione lo consentirebbe. I partiti disciolti si riorganizzerebbero e il loro divieto ne rafforzerebbe l’aurea di contrapposizione all’establishment e, in caso di fallimento della procedura, ne rafforzerebbe probabilmente il peso elettorale. Oppure si possono dare per persi i loro elettori, cooptandone magari i partiti in posizione minoritaria nel governo, confidando nello svuotamento del bacino elettorale nel corso del tempo, con il rischio però di vederne crescere le fila.

L’altra strada è quella di prendere in carico i problemi e le paure dei gruppi di elettori scontenti e offrire soluzioni alternative a quelle dell’estrema destra. Si tratta di una via assai difficile da percorrere, perché prima di tutto occorre superare il pregiudizio di astratta superiorità morale che i politici democratici ostentano e dialogare con quei gruppi di popolazioni che si percepiscono come svantaggiati e/o inascoltati e con cui il dialogo non è sempre facile – ma fare politica non era anche questo? Intendiamoci, chi scrive crede alla superiorità morale della democrazia, ma è una superiorità che va costruita giorno per giorno con i fatti e non assunta come una teleologia della storia. Inoltre la politica non può essere costruita solo su valori astratti, ma deve legare tali valori agli interessi dei gruppi di popolazione, altrimenti risulta una politica elitaria destinata a fornire alimento ai pregiudizi dell’estrema destra. Per certi aspetti, l’Austria potrebbe dunque essere il laboratorio di una nuova via della democrazia liberale o la sanzione della sua crisi.