La tempesta che ha investito il Pd a livello nazionale non ha trovato un argine neppure nelle «regioni rosse» dell’Italia di mezzo (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche), una volta considerate fortezze inespugnabili della sinistra. Come è noto, queste zone sono espressione di una subcultura politica territoriale che affonda le radici nel primo processo di mobilitazione di massa d’inizio secolo (C. Trigilia, Grandi partiti e piccole imprese, Il Mulino, 1986). Una mobilitazione che segnò l’affermazione di un forte movimento socialista, con la nascita di vitali esperienze amministrative a livello municipale e di un insediamento organizzativo di particolare consistenza, la cui eredità è stata successivamente raccolta dal Partito comunista. Questi territori hanno dimostrato una straordinaria continuità politica anche dopo il crollo della Prima Repubblica confermando, elezione dopo elezione, la maggioranza ai partiti eredi del Pci e alle coalizioni da essi guidate.
Nelle regioni rosse è accaduto qualcosa di diverso rispetto a quanto osservato nell’altra subcultura territoriale – quella bianca del Nord Est – dove la caduta del Muro di Berlino e lo scandalo di Tangentopoli indussero gli elettori a ritirare la delega alla Dc e a votare un nuovo partito-movimento come la Lega Nord. Nelle zone rosse, invece, nonostante la crisi del comunismo internazionale, il declino della subcultura ha assunto una forma meno traumatica e repentina, quella di uno «scongelamento» che ha reso più mobili i comportamenti elettorali e più aperta la competizione.
Questo processo di scongelamento aveva delle precondizioni politico- organizzative nella secolarizzazione delle ideologie, nella crisi del partito di massa, nella scomparsa del Pci e nella fine del collateralismo delle organizzazioni degli interessi. Così come possedeva delle precondizioni sociali legate al mutamento della struttura produttiva e di classe, e alle trasformazioni culturali e generazionali che hanno ridisegnato il volto dell’Italia di mezzo, rendendo gli elettori più sensibili e reattivi nei confronti dell’«offerta politica».
Seppure in un nuovo scenario, nel «cuore rosso» d’Italia i partiti della sinistra sono riusciti a non perdere consensi per un lungo periodo di tempo. I motivi di questa tenuta – oltre che nelle vicende politiche che hanno caratterizzato l’avvento della Seconda Repubblica (F. Ramella, Cuore rosso?, Donzelli, 2005) – vanno ricercati anche in un originale processo di modernizzazione bilanciata che poggia su due assi portanti.
[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 2/18, pp. 258-265, è acquistabile qui]
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