Questo articolo fa parte dello speciale Un Piano per il Paese
Sono giorni decisivi per il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. Entro la pausa estiva, infatti, il governo presenterà il Disegno di legge delega per la riforma del settore prevista dal Pnrr. Sarà la prima riforma di questo ambito del Welfare mai realizzata in Italia. La necessità d’introdurla è discussa, a livello tecnico e politico, da quasi trent'anni. Intanto, i Paesi vicini a noi l’hanno già attuata – dall’Austria nel 1993 alla Spagna nel 2006, dalla Germania nel 1995 alla Francia nel 2002 – e ovunque ha modificato in profondità le politiche di assistenza agli anziani, rafforzandole notevolmente.
Nonostante gli anziani siano stati le principali vittime della pandemia, la versione del Pnrr resa nota – nel gennaio 2021 – dal governo Conte II non conteneva la riforma. Questa carenza è stata colmata nel Piano definitivo, licenziato a fine aprile dal nuovo governo Draghi. Il Pnrr prevede, infatti, la realizzazione della riforma e indica che si deve trattare di un intervento organico, riguardante l’insieme degli interventi – sociali e sanitari – rivolti agli anziani non autosufficienti.
Nel gennaio 2021, dopo aver constatato la debolezza del Piano del precedente esecutivo, una rete di soggetti sociali – che successivamente si formalizzerà nel Patto per un nuovo Welfare sulla non autosufficienza – ha deciso di elaborare una propria proposta per l’introduzione della riforma nel Pnrr. Tale rete, nelle settimane successive, ha svolto un intenso lavoro di pressione e di sensibilizzazione nei confronti del governo. In questo processo, tre elementi hanno contraddistinto l’azione delle istituzioni.
Primo, la capacità di ascoltare una richiesta proveniente dalla società civile, per poi valutarla positivamente e agire di conseguenza. Secondo, il superamento dei propri confini interni. Nella non autosufficienza, infatti, è decisivo l’accordo tra i ministeri del Welfare e della Salute, abitualmente non semplice da raggiungere: questa volta lo si è fatto. Terzo, il rafforzamento dei contenuti. Infatti, l’impianto riformatore disegnato nel Pnrr è più solido di quello suggerito dai proponenti.
Seppure il Pnrr attribuisca alla riforma un insieme di obiettivi condivisi dagli addetti ai lavori – come l’integrazione tra gli interventi, la semplificazione dell’accesso, lo sviluppo della domiciliarità e così via – a fare la differenza sarà la loro declinazione in pratica: per questa ragione, il testo del governo sarà decisivo. Il Disegno di legge delega deve definire l’impianto generale, poi seguiranno la discussione parlamentare, l’approvazione della legge delega da parte del Parlamento e la promulgazione dei decreti attuativi, che entreranno nel dettaglio. Siamo solo al primo atto, dunque, ma sbagliare l’entrata in scena significherebbe aver già condannato l’intero iter a un esito negativo.
Dopo l’approvazione del Pnrr, le realtà che si erano impegnate per la riforma hanno dato vita al Patto per un nuovo Welfare sulla non autosufficienza. Il Patto raggruppa 48 organizzazioni, la gran parte di quelle della società civile coinvolte nell’assistenza e nella tutela degli anziani non autosufficienti nel nostro Paese. Esse rappresentano gli anziani, i loro familiari, i pensionati, gli ordini professionali e i soggetti che offrono servizi. È la prima volta che nasce una realtà simile in Italia. Le organizzazioni del Patto hanno compiuto un percorso, partecipato e condiviso, di elaborazione di proposte per la riforma. Queste sono state rese note nel marzo scorso e, da allora, il Patto le sta promuovendo diffusamente nell’opinione pubblica e presso le istituzioni.
Le realtà che si erano impegnate per la riforma hanno dato vita al Patto per un nuovo Welfare sulla non autosufficienza. È la prima volta che in Italia nasce una realtà simile
Il filo rosso che accomuna le diverse proposte consiste nell’intenzione di affrontare le tre criticità strutturali del settore. Una consiste nella frammentazione delle risposte. Anziani e famiglie sono disorientati dallo spezzettamento delle misure pubbliche, oggi frammentate tra servizi sanitari, servizi sociali e trasferimenti monetari nazionali non coordinati tra loro, con una babele di diverse regole e procedure da seguire. Un simile contesto, evidentemente, non può che limitare in maniera strutturale la possibilità di fornire risposte appropriate alle esigenze della popolazione interessata.
Veniamo al secondo nodo: sovente, il Disegno stesso delle politiche pubbliche non promuove l’utilizzo del modello d’intervento necessario alla non autosufficienza, condiviso dalla comunità scientifica internazionale. È quello del care multidimensionale, che prevede risposte progettate a partire da uno sguardo complessivo sulla condizione dell’anziano, sui suoi molteplici fattori di fragilità, sul suo contesto di vita e di relazioni. La natura stessa della non autosufficienza, uno stato che coinvolge l’intera esistenza della persona, rende necessario ricorrere all’approccio multidimensionale, che comporta spesso di progettare le risposte combinando molteplici interventi. L’ultimo, ma non meno rilevante, problema strutturale riguarda il ridotto investimento nei servizi alla persona, la cui offerta risulta nettamente inadeguata per rispondere ai bisogni di anziani e famiglie.
Le proposte toccano ogni dimensione chiave del comparto: il percorso di anziani e familiari, la rete delle risposte fornite, l’assetto di programmazione e governance e il finanziamento. Nel loro insieme possono essere consultate qui. Di seguito se ne riprendono due, riguardanti l’impianto complessivo delle politiche e gli interventi domiciliari.
L’assistenza pubblica agli anziani non autosufficienti è oggi suddivisa, si è detto, in tre filiere istituzionali tra loro ben poco coordinate: le politiche sanitarie, quelle sociali e i trasferimenti monetari dell’Inps. Il Patto propone di collocarle complessivamente nel nuovo Sistema nazionale assistenza anziani (Sna). Lo Sna si fonda sulla realizzazione congiunta dell’insieme delle misure coinvolte grazie al loro governo condiviso da parte delle diverse istituzioni in campo, mantenendo le attuali titolarità amministrative di ognuna. Ogni snodo dello Sna è disegnato in modo da promuovere la massima unitarietà possibile: la programmazione, il monitoraggio, la gestione, la presa in carico e così via. In sintesi, si persegue il coordinamento sistematico di tutte le politiche e gli interventi per la non autosufficienza senza modificare le competenze istituzionali in essere.
È un cambiamento ambizioso, che mira a edificare finalmente un sistema integrato per la non autosufficienza. Ma anche realistico perché scarta complesse, e nei fatti impensabili, ipotesi di ingegneria istituzionale tese a trasferire le attuali competenze di sociale, sanità ed Inps a un unico – nuovo – settore delle politiche pubbliche, appositamente costituito.
Il vantaggio fondamentale consiste nell’offrire risposte unitarie e appropriate, superando l’odierna frammentazione degli interventi che disorienta le famiglie e limita in maniera strutturale la possibilità di rispondere adeguatamente alle esigenze della popolazione interessata. Inoltre, si rende la non autosufficienza riconoscibile dalle istituzioni e dalla politica, mentre il suo attuale spezzettamento impedisce di farlo. Istituire lo Sna, infatti, significa accreditare la non autosufficienza come uno specifico ambito del welfare, che – in quanto tale – ha un oggetto identificabile, chiari obiettivi e confini definiti (al pari di pensioni, povertà e così via).
Lo Sna offre risposte unitarie e supera la frammentazione degli interventi che disorienta le famiglie e limita la possibilità di rispondere adeguatamente alle esigenze degli interessati
Quali sono oggi le principali criticità dei servizi domiciliari? Questi sono «spezzettati» tra comuni e Asl, offrono solo alcune tra le prestazioni necessarie e vengono forniti per periodi troppo brevi. Dunque, si prevede di assicurare risposte unitarie: si tratta cioè di interventi erogati in modo integrato da comuni e Asl (cosa che oggi avviene solo per un utente su dieci) e offrire un appropriato mix di prestazioni: attualmente l’assistenza domiciliare si concentra perlopiù sugli interventi infermieristici e riabilitativi, che sono utili ma non bastano. Pertanto, li si vuole affiancare con quelli di aiuto all’anziano nelle attività fondamentali della vita quotidiana e di supporto a familiari e badanti, così da costruire pacchetti appropriati di risposte e fornire assistenza per il tempo necessario: l’Adi delle Asl, il servizio domiciliare pubblico più diffuso, si limita – in prevalenza – a 2-3 mesi (ad esempio, quelli successivi a una dimissione ospedaliera). Si vuole, invece, garantire l’assistenza per il tempo effettivamente necessario, stabilendone la durata in base ai bisogni di anziani e familiari.
La cinquantina di organizzazioni del Patto ha trovato un accordo sulle proposte con più facilità di quanto il loro numero non facesse immaginare. L’esito conferma un’impressione diffusa da tempo: l’esistenza di un significativo grado di consenso tra gli addetti ai lavori in merito alla direzione da imboccare per il cambiamento. Le proposte, dunque, non sono particolarmente innovative rispetto al dibattito tecnico degli ultimi anni (in alcuni casi, degli ultimi decenni) su come riformare il settore. Sono fortemente innovative, invece, rispetto alla realtà del Welfare italiano perché ne comporterebbero una revisione profonda e un deciso passo in avanti. Detto altrimenti, le cose da fare per risollevare l’assistenza agli anziani nel nostro Paese sono note: l’imminente Disegno di legge delega del governo sarà finalmente l’occasione per cominciare a farle?
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