Se non avete idea di cosa sia un Mews, sarà difficile riuscire a trovare Noretta e John. Perché questo termine, tipicamente inglese, si riferisce ai passaggi privati celati dietro ai palazzi aristocratici del XVIII e XIX secolo, che allora davano alloggio alle scuderie. Oggi si presentano come vicoli tra i più affascinanti dei quartieri signorili di Londra, ove le stalle sono da tempo convertite in eleganti appartamenti: se non sapete come cercare, camminerete a lungo prima di scovarli.
Il numero 8 del Mews adiacente a Chester Square è un luogo della musica magico e segreto: in un angolo appartato di Belgrave, verde e quieto tanto che i pochi passi da Victoria Station sembrano chilometri percorsi nella campagna, Noretta Conci e John Leech vivono l’incantesimo di una vita unicamente felice dal 1967. Qui le orchidee fioriscono anche d’inverno, spuntano in coppia da una selva di piante officinali, e l’alloro regalato da Claudio Abbado per i cinquant’anni di Noretta cresce con l’entusiasmo d’un giovinetto. C’è un microclima speciale in questo cortile, l’aria buona di un tempo intimo, riparato, dove la porta d’ingresso è piccina, ma spalanca un mondo grande, fabbricato con incredibile semplicità.
I capelli raccolti e la camicetta bianca sbuffata alle maniche di chi non dimentica le proprie origini trentine, il naso appuntito nell’allenamento di un fiuto musicale fuori dal comune, lo sguardo acuminato che è guglia di un pensiero velocissimo, Noretta accoglie quotidianamente musicisti celebri o sconosciuti, offrendo a tutti lo stesso abbraccio forte e franco. Più in alto di lei, un passo sempre dietro, John è lì, pronto a far sentire l’ospite signore, porgendo la parola con un’amabilità espressa in quattro lingue squisitamente conversate, con una trasparenza difficilmente eguagliata oltre al cielo dei suoi azzurri occhi del nord.
Questi due ragazzi di ottantuno e ottantasette anni coltivano l’animo senza età di chi si ama da cinquanta, e da ventuno dedica la vita ai giovani musicisti. Noretta nacque per fare la pianista nella bella Casa Torre Conci a Trento, allieva di Giorgio Vidusso prima, di Arturo Benedetti Michelangeli poi. Ma quando incontrò il suo John nel castello da fiaba di Cles, decise di seguirlo in Africa e poi di trasferirsi a Londra, al numero 8, dove ora mi trovo. Il cuore nobile di Mr. Leech non ha mai dimenticato il sacrificio sorridente della sua dama e, per il sessantesimo compleanno di lei, offrì in dono la nascita del Keyboard Charitable Trust, ormai riconosciuta come la più autorevole fondazione per il sostegno dei pianisti di talento.
Valico la soglia, con un passo accedo al regno delle fantasie culinarie: sul tavolo Sheraton accanto al grandmother clock appartenuto al babbo di John, Noretta ha sfornato per genie di musicisti il coronation chicken con la variante d’un cucchiaio di marmellata all’albicocca, e il poulet aux trente gousses d’ail, cui aggiunge un generoso bicchiere di cognac. A Lorin Maazel e all’adorabile moglie Dietlinde Turban ha servito con grande successo il suo famoso vitello tonnato, Evgeny Kissin invece, ospite fisso del Mews per tre anni, va pazzo per il mascarpone che amalgama con marsala Florio e un goccio di rum. La chocolate cake senza farina è la prediletta da Antonio Pappano; per far felice Alfred Brendel basta impiattare un Mohnkuchen caldo ai semi di papavero, mentre l’amico di una vita Claudio Abbado pare apprezzi particolarmente la croccante glassatura della torta di mele impastata con le britanniche Cox. O meglio, con le golden della Val di Non.
Impossibile non rimanere sedotti dai coniugi Leech, tanto che mecenati, direttori artistici, famosi musicisti e semplici ammiratori hanno allacciato per loro una catena di oltre sessanta prestigiose sale in undici Paesi, capaci di supportare centoquaranta pianisti in un circuito da settanta concerti l’anno, la maggior parte dei quali seguiti personalmente da John e Noretta in un tour che sfiancherebbe chiunque, eccetto loro.
Quattordici gradini sono lo spazio che separa i profumi dai suoni: saliamo dove secoli fa dimorava il fieno e ora abita la musica. Poltrone tante e colorate, fiori ovunque sotto i lucernari, argenti antichi e una coppia di leggii doppi in ciliegio del tardo Settecento. Al centro un pianoforte Steinway cui nessuno dava un penny, ma che “ho trovato come si trova un marito”, confida Noretta: “dopo averne provati duecento, è arrivato il colpo di fulmine!”. Uno strumento che è stato percorso da centinaia di mani eccezionali, da quelle degli allievi storici Leslie Howard, Andreas Haefliger, Marcelo Bratke, “ma voglio citare anche un genio purissimo rimasto nell’ombra: Danny Segal”, sino agli ultimi fenomenali “bimbi” sostenuti dal Trust: i due Alessandro, Romanovsky e Taverna.
È un salotto fatato, ma Noretta si schernisce: “sembra un negozio di mobili, diceva la mia mammetta!”. I cd sono accatastati in pile che la Conci ordina con anacronistico scrupolo, perché a tutti sia accordato lo stesso diritto di ascolto. Ma in qualche dove, forse nella cassapanca della mammetta, forse solo lo sguardo vigile di Giuseppe Verdi ritratto dal thailandese Sumet Jumsai lo sa, si nasconde un regalo unico sotto le mentite spoglie di anonima cassetta, sorpresa ordita a quattro mani per un compleanno di tanto tempo fa. Nella bobina è impressa la registrazione domestica di un brano soltanto, il Rondeau op. 138 di Schubert, il cui sottotitolo, segnato in partitura dall’autore, reca la dicitura Notre amitié est invariabile. E a suonarlo per Noretta Conci furono gli amici Claudio e Maurizio.
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