Con il corpo e la voce spezzati. Sebbene la polizia abbia disperso con gas lacrimogeni e cannoni ad acqua il movimento di protesta che da più di due settimane occupava il parco Gezi per impedirne la distruzione, la resistenza popolare si è nel frattempo estesa ad altre parti della città e a nuovi centri della Turchia, prendendo in alcuni casi gli aspetti di una vera e propria rivolta popolare.
Dopo un paio d’ore dall’inizio dell’operazione di sgombero attuata il 15 giugno, un comunicato stampa del governatore di Istanbul, Hüseyin Avni Mutlu, affermava che la polizia non aveva attaccato il parco, anzi, le persone avevano deciso spontaneamente di porre termine all’occupazione, liberando la piazza. Con la falsa retorica propria del partito di Erdogan (il Partito della giustizia e lo sviluppo, Akp), questi ha poi dichiarato che gli unici scontri registrati erano quelli con gruppi marginali di manifestanti e che la polizia aveva oramai assunto il controllo dell’ordine pubblico, indicando nei media stranieri la prima causa di una disinformazione sistematica volta a mettere in crisi la Turchia.
Ogni parola di Hüseyin Avni Mutlu è stata rapidamente smentita dalle notizie che arrivavano direttamente dalla piazza, attraverso le numerose fonti indipendenti. E si è inoltre scoperto che quanto stava accadendo in Turchia era la messa in atto di una vera e propria soppressione del maggiore movimento di protesta dagli anni Settanta e di quella che, per alcuni politici dell’opposizione e giornalisti di testate non controllate dal governo, potrebbe essere addirittura la più ampia contestazione nella storia della Repubblica.
A parte la speculazione politica su quanto grande sia stata la rivolta e forte la resistenza, una cosa è certa: il movimento è stato fronteggiato con un grande spiegamento di forze di polizia, supportate in alcuni casi anche dall’esercito. Tutto questo ci dà l’idea dell’ampiezza dell'opposizione che hanno incontrato le forze dell'ordine durante le azioni di sgombero. La vastità della protesta dimostra anche che le manifestazioni di parco Gezi hanno trovato piena legittimazione all’interno della popolazione, mentre le menzogne, la disinformazione e la manipolazione delle notizie da parte del governo sono uno dei segnali che indicano il modo in cui il partito di Erdogan ha reagito. Nel suo discorso del 16 giugno lo stesso primo ministro ha voluto dimostrare la solidità del proprio elettorato e la popolarità di cui godrebbe all’interno del Paese. In realtà, egli cerca con il brutale uso della forza di sostenere la propria posizione e la politica di divisione della società in buoni e cattivi cittadini messa in piedi dal governo dopo l’occupazione del parco Gezi a inizio giugno.
Nonostante gli sforzi di Erdogan per mantenere intatto il proprio potere, ormai non si può più parlare dell’Akp come di una struttura omogenea, perché alcuni ministri sono pronti alle dimissioni dopo aver espresso, insieme ad altri influenti membri del partito, forti critiche sull’intervento del 15 giugno. Accanto alla dirigenza, anche gli elettori sono divisi. Se, per esempio, il conflitto in atto dovesse degenerare e sfociare in scontri ancora più sanguinosi, Erdogan è convinto che i suoi elettori – il cosiddetto “50% della Turchia” – darebbe forza e sostegno al governo. Ma tra le conseguenze negative dall’intervento del 15 giugno si è registrato un immediato calo di fiducia per Erdogan e la diffusione dell’idea che sia stato il governo a dichiarare guerra al popolo, e non il contrario. Ciò si deve, in primo luogo, alla brutalità dell’intervento con cui è stato sgomberato parco Gezi.
Nel frattempo l’opposizione chiede con grande insistenza le dimissioni di Erdogan, mentre dal movimento si fa sapere che la resistenza continuerà e che questo è stato solo l’inizio delle manifestazioni. La protesta si è infatti estesa alla parte anatolica di Istanbul, sebbene i tentativi dei manifestanti di attraversare il grande ponte che unisce i due continenti sono stati resi vani dai gas della polizia.
Tutta Istanbul sta diventando progressivamente una piazza che accoglie la dilagante contestazione e la resistenza, con il corpo e la voce spezzati dall’intervento della polizia, si riforma altrove, pronta a gridare a gran voce: “Sik sik bakalım bakalım, kaskini Cikar, copunu Birak deli kanli kim bakalım!” (Sparaci pure con il gas e l’acqua ma togliti il casco e posa il manganello. Lo vedremo allora chi è il più forte, chi è l’uomo). E ancora: “Ovunque Taksim, ovunque Resistenza!”.
Riproduzione riservata