Il Pakistan del grande esodo e la partita atomica. Continuano gli scontri tra forze di sicurezza pakistane e militanti talebani nei distretti di Swat e Lower Dir. Siamo nel Nord-Ovest del paese, lungo l’indefinito confine
che separa il Pakistan dal vicino Afghanistan, ad appena 130 chilometri dalla capitale Islamabad. Il paese, come ha sottolineato la stampa internazionale, è sull’orlo della guerra civile, con il numero delle vittime in rapido aumento da due settimane, da quando cioè l’offensiva dell’esercito è entrata nel vivo. All’origine delle operazioni belliche è stata l’incursione di nutriti reparti ribelli a sud dello Swat, fino alla città di Buner, posta ad appena 100 chilometri dalla capitale e dall’ingente arsenale atomico di cui dispone il governo pakistano. L’attacco delle forze di sicurezza si è fatto deciso solo dopo la ‘sveglia’ giunta perentoriamente dagli Stati Uniti, da mesi impegnati al di là del confine afgano per limitare l’azione dei talebani, che in Pakistan trovano le condizioni per riorganizzarsi e dedicarsi al proselitismo. La presenza dei militanti islamici a Nord-Ovest è aumentata al punto tale da originare una sorta di stato nello stato, regolato dalla sharia, concessa da Islamabad ai tribunali locali lo scorso febbraio.
Stando alle recenti dichiarazioni del ministro dell’Interno pakistano, Rehman Malik, più di 1000 guerriglieri sarebbero rimasti uccisi nelle operazioni, anche se le cifre sono indicative e non considerano l’incidenza delle vittime civili, falciate dai bombardamenti aerei e dall’artiglieria che più volte ha colpito villaggi nei quali si erano (o si sospettava che si fossero) rifugiate le milizie talebane. Così, mentre i militanti riparano più a nord per sottrarsi alle incursioni dei servizi di sicurezza, asserragliandosi nei pressi della città di Minora, lunghe carovane di profughi, pari ad almeno due terzi della popolazione locale, stanno fuggendo dalle violenze dello Swat, cercando riparo e sicurezza più a sud, nel distretto di Mardan. Secondo le stime dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati il numero dei profughi registrati dal 2 maggio a oggi è di poco inferiore al milione e mezzo, cui devono essere sommati i 553 mila registrati dall’agosto del 2008, per un totale che supera i 2 milioni. Reporter locali parlano di condizioni particolarmente difficili per gli sfollati, costretti oltretutto a fare i conti con il coprifuoco imposto dall’esercito – lo stesso che ha ordinato di evacuare l’area – e con l’aumento esponenziale delle tariffe dei mezzi di trasporto, che contribuisce ad ostacolare la fuga, o quantomeno ad allungarne i tempi. Per il fragile paese islamico si tratta del più grande esodo di massa dopo quello seguito alla partizione dall’India nell’agosto 1947, quando milioni di musulmani lasciarono il suolo indiano alla volta del neonato Pakistan.
Mentre il nord-ovest piomba nel caos, gli Stati Uniti si interrogano sull’affidabilità del governo presieduto da Asif Zardari, considerato da Washington un alleato indispensabile, benché ambiguo, nella lotta ad Al Qaeda. Il timore dei servizi di intelligence americani, rilanciato dalla stampa statunitense, riguarda in particolare la proliferazione nucleare in atto in Pakistan, molto probabilmente frutto di una distrazione degli ingenti fondi versati a Islamabad dal governo Usa per sostenere la lotta al terrorismo. L’evenienza che i talebani o altri gruppi estremisti possano impossessarsi dell’atomica non appare oggi una prospettiva eccessivamente remota. E i timori legati a questa eventualità hanno spinto gli Stati Uniti a creare un apposito commando, sito lungo il confine con l’Afghanistan, pronto ad intervenire per disattivare l’arsenale nucleare pakistano nel caso in cui cadesse in mani «nemiche». Nel frattempo, a vegliare sull’arsenale nucleare di Islamabad, pensano l’Nsa (l’Agenzia per lo spionaggio elettronico) e la Cia, monitorando via satellite gli spostamenti interni delle testate nucleari pakistane e delle rampe mobili di lancio. Al di là delle soluzioni di emergenza, si attende con ansia il discorso che il Obama terrà il 4 giugno al Cairo circa il riassetto del contesto mediorientale. In questa occasione il presidente americano, evidentemente, non potrà esimersi dall’enunciare le strategie di medio e lungo periodo definite dall’amministrazione Usa per stabilizzare un paese per lungo tempo considerato a Washington solido e affidabile e oggi sull'orlo di un collasso politico dalle conseguenze imprevedibili.
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