Nell’Europa della disoccupazione esiste un serbatoio di lavoro grande e poco esplorato. Posizioni a elevato valore aggiunto, con buone prospettive, salari competitivi e potenzialmente in grado di generare esternalità economico-sociali di rilievo. Si tratta di lavori poco battuti dalla pubblicistica e dal dibattito pubblico. Tra questi, ad esempio, analista big data, esperto di digital security, specialista in e-commerce, progettista di interazione, disegnatore Cad 3d. Ma soprattutto si tratta di lavori per cui si registra una mancanza cronica di candidati. I dati sono chiari: secondo la Commissione europea tra il 2016 e il 2020 potrebbero essere fino a 825.000, a livello continentale, le posizioni digitali scoperte per mancanza di personale. Confindustria porta la stima fino a quota un milione e mezzo di posti in Europa, mentre i dati di Union-Camere/ministero del Lavoro raccontano di 76.000 impieghi che restano non assegnati per mancanza di professionisti qualificati solo in Italia. Perché il vuoto appena descritto?
In estrema sintesi perché esiste uno spazio non coperto, e spesso neppure percepito, al centro del triangolo che unisce lavoratori, aziende e istituzioni formative. I candidati non vedono gli sbocchi nell’economia digitale. Le aziende faticano a trovare figure adeguate e molte tra loro, non percependo i possibili ritorni, sono restie a remunerare adeguatamente i professionisti internet. Le istituzioni faticano a vedere e ad aggredire efficacemente il vuoto. Mentre al centro del triangolo coloro che già operano nel comparto – perlopiù lavoratori autonomi – mancano di visibilità sociale e delle istituzioni previdenziali, finanziarie e sociali necessarie per mantenersi e prosperare. La Commissione europea considera l’economia di internet una leva fondamentale per la crescita dell’intero continente e pone tra le sue priorità ufficiali la costituzione del cosiddetto «Mercato unico digitale» (Digital Single Market, Dsm). La previsione della Commissione è che il Dsm possa portare alla «creazione di centinaia di migliaia di nuovi lavori» e «contribuire all’economia comunitaria per 415 miliardi di euro l’anno».
[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 6/16, pp. 1060-1068, è acquistabile qui]
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