Lo scorso ottobre a Sanremo Jurij Ševčuk, leader della storica band rock russa Ddt, è stato insignito del Premio Tenco, il più importante riconoscimento del Club Tenco nell’ambito della Rassegna della canzone d’autore. Per ragioni contingenti Jurij non è potuto essere presente a Sanremo, ma ha inviato un emozionante videomessaggio che è stato trasmesso durante la conferenza stampa e incluso nel programma speciale dedicato al Tenco 2022, andato in onda su Rai 1 a gennaio.

Prima di Ševčuk, questo importante riconoscimento è stato assegnato nel 1985 e nel 1993 a personalità di spicco dell’universo musicale russo come Bulat Okudžava e Vladimir Vysockij (unico caso di un conferimento postumo nella storia del premio). Fu proprio il Tenco (ritirato dalla moglie Marina Vlady) a far conoscere in Italia Vysockij grazie a un libro e a un doppio disco a cui parteciparono alcuni dei più noti nomi della canzone italiana (Il volo di Volodja).

A margine del conferimento del premio, ho avuto la possibilità di conversare con Jurij Ševčuk nell’intervista che propongo di seguito in traduzione.

MARTINA NAPOLITANO Recentemente Lei ha ricevuto il Premio Tenco in Italia. In passato, per quanto riguarda gli artisti russi, sono stati premiati Bulat Okudžava (1985), Vladimir Vysockij (1993, postumo) e Žanna Bičevskaja (1989, nella categoria “Operatore culturale”). Cosa significa questo premio per Lei? Che significato assume ora, in un momento in cui – come Lei ha affermato nel videomessaggio di ringraziamento inviato al premio Tenco – “muoiono le persone e soffre la cultura”, in un momento in cui i vostri concerti in Russia vengono cancellati? Come può un musicista restare tale quando non ha la possibilità di esibirsi davanti al suo pubblico?

JURIJ ŠEVČUK Mi permetta di ringraziare ancora una volta Lei e il comitato organizzatore del premio Tenco per l’interesse rivolto alla mia modesta persona. In questi tempi per noi tragici, i vostri messaggi cordiali, calorosi rincuorano e aiutano a continuare a lavorare!

Sono molto felice che prima di me questo premio sia stato assegnato a poeti-cantautori russi di spicco come V. Vysockij e B. Okudžava. Sono gli idoli della mia giovinezza! Se c’è qualche cosa che mi hanno insegnato è ad accogliere calorosamente l’altro, ad accogliere la persona semplice, con la sua vita difficile, con gli alti e i bassi del suo destino, a comprendere la sua verità e la sua ricerca di significati.

Io e il mio gruppo siamo stati privati del diritto di esibirci in Russia a causa della nostra posizione di pace. A loro tempo anche a Vysockij e Okudžava cancellarono concerti. In questo i nostri destini sono simili. Erano delle persone oneste e cantavano ciò che pensavano a prescindere da attacchi e persecuzioni. La mia generazione ha raccolto dalle loro mani questo testimone di amore e comprensione; sono l’amore e la comprensione la principale medicina contro la xenofobia.

MN La Sua affermazione al concerto tenutosi a Ufa nella primavera del 2022 è diventata, si può dire, una citazione da manuale (“La patria, amici, non è il culo del presidente che va costantemente leccato, baciato. La patria è quella povera nonnina che alla stazione vende patate. Questa è la patria”). Proprio la patria viene nominata spesso nelle canzoni dei Ddt (compresa l’ultima, Patria, torna a casa!, Rodina, vernis’ domoj!). Mi pare che per Lei, per la Sua produzione artistica si tratti di un concetto chiave, come se cercasse sempre di trovare una definizione più precisa per questo concetto. La patria, rodina, è dopotutto un mostro, urodina, come cantava nella canzone Edu ja na rodinu (Me ne torno in patria, 1989)? Che cosa, o chi, è diventata la patria oggi?

JŠ Tutti noi amiamo il nostro Paese, noi siamo dei patrioti. Ora però qui da noi si contrappongono in maniera decisa due modi di vedere il patriottismo e il futuro a esso legato.

L’uno, quello filogovernativo, grida alla gente dagli schermi televisivi propagandistici: “siate patrioti della vostra patria, ch’essa deve essere forte! Sostenete l’operazione militare speciale, colpite gli ‘ucro-nazisti’, difendente il mondo russo su tutta la terra, restituiteci i nostri territori e confini storici, la Russia non ha alleati, ha soltanto un esercito e una flotta, noi siamo circondati da nemici e via dicendo” (è chiaro che cosa ricordano questi slogan).

L’altro modo [di vedere il patriottismo], quello a cui mi attengo io stesso, dice: “russi, sorridete al mondo, siate più buoni, non incolpate delle vostre sventure gli altri popoli, concentratevi sul vostro Paese, abbiamo una moltitudine di problemi e dobbiamo lavorare molto. Milioni di cittadini vivono sulla soglia della povertà, la nostra industria è sottosviluppata, l’economia è debole, i tribunali sono corrotti, le libertà civili vengono represse, le autorità puniscono qualsiasi forma di dissenso… Viene annientata l’atmosfera creativa nel Paese ed è questa, a mio avviso, la ragione principale delle nostre disgrazie”.

Per loro il patriottismo è guerra, distruzione. Il nostro patriottismo è costruttivo e creativo.

Ciò che ora sta avvenendo in Ucraina è una tragedia; è una sofferenza profondissima. Non so cosa verrà domani, ma ho voglia di credere che presto ci rimetteremo sulla strada giusta, su una strada umana. E come ha detto un nostro saggio, è necessario preservare i propri principi a prescindere dal fatto che si nutra o meno speranza.

Ciò che ora sta avvenendo in Ucraina è una tragedia; è una sofferenza profondissima. Non so cosa verrà domani, ma ho voglia di credere che presto ci rimetteremo sulla strada giusta, su una strada umana

Ora mi trovo in dacia, in campagna, cade una neve soffice, vaporosa. Rifletto su tante cose, scrivo canzoni, che è l’unica cosa che mi riesce bene. Sì, non ci sono concerti, sono privato del contatto diretto con il pubblico, del dialogo con esso. La cosa essenziale ora, tuttavia, è pensare in libertà e non temere di parlarne, anche se soltanto su Internet. Insomma, stiamo lavorando.

MN State registrando delle nuove canzoni, eppure non sono previsti concerti. Per chi le state registrando? Queste canzoni esprimono una qualche speranza per il futuro? Qual è la Sua speranza?

JŠ Sono fiero dei miei ascoltatori. Sono davvero milioni. Da noi loro si aspettano delle nuove idee, dei messaggi sulle cose che contano.

Tra l’altro, lo scorso anno dovevamo fare un grande tour negli stadi con un nuovo programma, era dal 2019 che ci stavamo preparando seriamente.

Eppure, quando hanno cancellato i nostri concerti, la maggior parte delle persone non ha chiesto un rimborso del biglietto; mi scrivono: “Jura, noi crediamo che nel Paese la situazione si farà più rosea, ci vedremo e senza dubbio canteremo assieme!”.

MN Le canzoni dei Ddt si ascoltano dagli anni Ottanta. Lei non ha mai smesso di esibirsi, registrare canzoni, evolversi, a prescindere dalle circostanze. Quale periodo Le sembra, con il senno di poi, essere stato il più complesso, rischioso, pesante per chi ha consacrato la propria vita all’arte e, in particolare, alla musica?

JŠ Il nostro gruppo esiste da tanto tempo, musicisti sono arrivati e se ne sono andati, ma con me hanno sempre suonato ragazzi in gamba, brillanti con il loro strumento, che hanno saputo aggiungere al nostro rock energia e drive. Gli stili sono cambiati, abbiamo provato varie forme musicali, abbiamo cercato cose nuove per noi stessi. I Ddt hanno iniziato come R&B, poi sono venuti l’industrial, l’hard rock, l’indie, il progressive, il folk, ecc. La cosa che però non è cambiata è che al centro c’era la persona.

Nei testi poetici ho sempre voluto parlare dell’individuo che abita il nostro Paese. Raccontare alle persone storie su se stessi, cercare le cose essenziali, senza le quali è impossibile esistere. Da qui vengono le tante canzoni-appelli alla patria.

Nei testi poetici ho sempre voluto parlare dell’individuo che abita il nostro Paese. Raccontare alle persone storie su se stessi, cercare le cose essenziali, senza le quali è impossibile esistere

Anche la canzone recente che Lei ha citato contiene un invito: “Patria, torna a casa”. Questa esortazione è cruciale oggi.

Ogni tempo è complesso, ma non tutti i tempi sono tragici. Anche in passato, in Urss, eravamo proibiti. Le autorità temevano le canzoni che parlavano di libertà. Ma ora… è una vera e propria tragedia, dal sapore di Armageddon.

Tante sono state nella nostra vita le guerre, i conflitti, noi abbiamo esortato la società a essere umana, abbiamo organizzato concerti, aiutato gli sfollati, ci siamo esibiti negli asili, nelle caserme, nelle prigioni, negli ospedali… Alcuni mi domandano con scherno: “E che cosa avete ottenuto? Ora ci sono di nuovo cattiveria, sofferenza, odio, morte. Non avete risolto nulla con le vostre canzonette sul bene e sulla pace”.

Io rispondo: “Come fate a dirlo? Forse, se non l’avessimo fatto, tutto sarebbe stato anche peggio. Almeno noi abbiamo cercato di spingere il presente verso la luce”.

MN Lei ha osservato i cambiamenti della Sua società, ha visto cosa è accaduto nel corso dei decenni, non ha chiuso gli occhi davanti agli eventi più criminali (come le guerre in Cecenia, la guerra in Georgia o nel Donbass, ad esempio). Si aspettava l’invasione del 24 febbraio 2022?

JŠ Scambiando gli auguri di capodanno il 31 dicembre 2021 avevo parlato molto di pace e dell’auspicio che non scoppiasse la guerra… sentivo l’abisso incombente…

MN Nella canzone uscita a dicembre Staja (letteralmente: stuolo, frotta, stormo) si ricorda anche chi ha lasciato il Paese. Come giudica l’emigrazione, quella della persona semplice e quella dell’artista, del musicista? Può uno scrittore, musicista, pittore, attore russo vivere fuori dalla sua patria?

JŠ Molte persone hanno lasciato il Paese dopo il 22 febbraio. Artisti, musicisti, registi eccezionali, grandi attori, specialisti dell’informatica, scienziati, molti intellettuali del nostro Paese. Penso che abbiano abbandonato la Russia non perché non amano la patria, ma perché per loro era diventato impossibile viverci, respirare e lavorare. Li capisco tutti. La cantante Zemfira ora è a Parigi, [il leader della band Akvarium, tra i principali artisti del panorama rock tardo-sovietico e contemporaneo] Boris Grebenščikov a Londra, [la cantante e attrice] Alla Pugačëva in Israele… Io però non voglio andarmene, perché qui deve rimanere qualcuno, qualcuno deve condividere il destino con la nostra gente e temo che in emigrazione non saprei creare qualcosa che abbia un senso. Lontano dalla patria perdi i legami umani, empirici con essa. Ti stacchi dall’urgenza dolorosa del presente. Se però, dopo aver creato delle circostanze insostenibili, ti cacciano, cosa vuoi fare, verrò da voi. Sono però un ospite pesante, temo che la nostalgia mi consumerà… Ricorda il film Nostalghia di A. Tarkovskij?

MN Che rapporto ha con gli altri musicisti russi? C’è tra loro qualcuno a cui guardare come a un Suo erede? E come vede Lei coloro che oggi si esibiscono sostenendo il governo?

JŠ In Russia ci sono molti ragazzi di talento, musicisti, poeti, non basterebbe il tempo per parlare di tutti loro.

I tour nel Paese continuano. C’è una serie di cantanti che tifano per la guerra, che sono Za (a favore). Sono coccolati dalle autorità e guadagnano bene. Nell’elenco di chi è privato del diritto di esibirsi ci sono una quarantina di nomi di varie band rock, di rapper, ecc. Ci sono però anche quelli a cui questo non è proibito: tengono concerti, a Pietroburgo ci sono le locandine. Questi artisti semplicemente si esibiscono senza definire la propria posizione civica. Purtroppo, molti di loro non hanno idea di che cosa sia, conoscono solo le posizioni sessuali.

Non li accuso. Ognuno di loro va avanti come può.

 

[Questa intervista di Martina Napolitano è pubblicata in contemporanea anche su Meridiano 13].