Uno "stage" contro il radicalismo. Il Tribunale di Mulhouse, città della bassa Alsazia, ha proposto una novità nella prevenzione al fondamentalismo islamico di stampo terroristico. Se funziona, verrà applicata a tutto il Paese.Si tratta di un programma giudiziario per "salvare" dal radicalismo coloro che sono stati condannati per reati legati all'islamismo radicale (fatta eccezione per gli atti terroristici, la cui competenza è del Tribunale di Parigi). La notizia è stata diffusa da un leak del quotidiano "Le Parisien" e ha obbligato Jean-François Thony, procuratore generale di Colmar e ideatore del progetto, a dare maggiori spiegazioni. Si tratterà di "programmi di déradicalisation personalizzati sul profilo di chi entra a far parte del percorso" – ha spiegato – che inizieranno verso la fine di settembre.

Gli "stage" avranno una durata di 2/3 mesi, saranno costituiti da squadre formate da medici, psicologici e operatori sociali e si svolgeranno in quattro fasi: in primo luogo verrà effettuata una diagnosi della situazione sociale, familiare e psicologica del soggetto, in collaborazione con la famiglia. Successivamente si cercherà di ricreare i legami tra la persone e il tessuto sociale per "far emergere la personalità profonda dell'individuo" attraverso esperienze diversificate, dalle sessioni di scalate in montagna alla psicoboxe, fino ad arrivare a periodi di allontanamento, se necessario. Il discorso radicale verrà affrontato con le vittime di terrorismo e con persone che sono uscite da gruppi terroristici; verranno anche proposti laboratori sulla manipolazione della mente attraverso i social network. Un'ultima fase, infine, agirà sul reinserimento sociale attraverso la ricerca di una casa e/o un lavoro.

Lo Stato interviene, quindi, per bloccare chi sta per diventare un terrorista: il programma è destinato a chi ha ricevuto dei richiami o chi si trova all'interno di un dispositivo di controllo penale legato al radicalismo islamico. I reati presi in considerazione saranno quelli legati all'apologia di terrorismo, alle manifestazioni nello spazio pubblico di odio o diffamazione razziale, e alla sottrazione di minore con l'aggravante di discriminazione.

Interessante è anche la duttilità di questo meccanismo: potrà essere un complemento o un sostituto di pena, essere richiesto come condizione pre-processuale o come sostituzione alla libertà vigilata: sarà il giudice a decidere chi può o meno entrare nel programma. Il progetto francese si ispira, senza citarla, alla Danimarca, dove programmi di questo tipo esistono già circa da un anno: nel Paese scandinavo però si tratta di un percorso rivolto a chi torna dal fronte, una misura presa prioritariamente per reintegrare chi voleva partire per la jihad in Siria o in Iraq. In Alsazia si tratta di un provvedimento giudiziario, controllato da un magistrato, nel quadro giudico che segue un fermo.

Ma perché ciò accade proprio in Alsazia? Tra le regioni francesi, l'Alsazia è una delle cinque maggiormente toccate dal fenomeno jihadista. Nel dicembre 2014 è stata creata una commissione d'inchiesta incaricata di indagare l'islamismo jihadista in modo da poter disegnare una mappa del fenomeno, numerica e geografica: i risultati di questa ricerca sono stati consegnati al presidente Hollande lo scorso giugno. A maggio del 2015 sono state recensite 1.704 persone, francesi o residenti in Francia, coinvolte in diversi modi nella filiera della jihad in Siria e Iraq: il numero è triplicato rispetto ai dati di gennaio 2015. Di questi, 157 arrivano dall'Alsazia e dal Basso Reno. Sempre secondo questo rapporto la Francia oggi sarebbe il primo Paese europeo per numero di persone partite per la jihad, seguito dall'Inghilterra, dalla Germania e dal Belgio. A settembre 2015, secondo i dati del ministero degli Interni, sarebbero invece 376 i francesi implicati direttamente nella jihad in Siria e in Iraq; di questi oltre 100 sarebbero morti al fronte, mentre, in generale, i francesi implicati nell'estremismo sarebbero 1.132. 

Ultimo punto, molto interessante: non viene posta (almeno formalmente, perché di fatto non si nomina altro che l'Islam) la questione religiosa. Gli stage di recupero, secondo la fonte intervistata da "Le Parisien", vorrebbero non attaccarsi, appunto, a questa componente: "La dimensione religiosa è stata volontariamente scartata: gli studi sulla questione mostrano che la deriva radicale di un individuo è paragonabile al un processo settario ed è con questo approccio che si è scelto di lavorare". Nell'équipe di esperti non saranno quindi presenti figure religiose.