L’annuncio di un Sinodo sulla sinodalità in Vaticano preceduto da vari sinodi locali ha mosso i cattolici di molti Paesi. In Francia, l’idea di un Sinodo era venuta già un anno fa da un gruppo di intellettuali riuniti da Michel Camdessus, ex direttore del Fondo monetario internazionale ed ex membro del Pontificio consiglio della giustizia e della pace. A distanza di un anno, è opportuno chiedersi in che stato si trovi il cattolicesimo francese in preparazione al Sinodo ormai prossimo (l’apertura in ogni diocesi è fissata per il 17 ottobre).
Anzitutto, questo Sinodo è indubbiamente la modalità di governo che il papa ha in mente. L’assunto di base è che la sinodalità sia «costitutiva della Chiesa» e indichi «il cammino fatto insieme dal popolo di Dio», come afferma un documento della Commissione teologica internazionale (Cti). E tuttavia: non è una tappa verso la democrazia, ma un modo di governare basato sul discernimento comunitario in vista di «consenso e unanimità». La scommessa del papa non è stravolgere il sistema piramidale e monarchico istituito nel Medioevo, ma renderlo meno monarchico, sinodale, invertendo la piramide affinché il vertice ritrovi il fondamento, la vita che sta alla base grazie al dialogo.

Ora, questo processo sinodale attuato spesso dopo il concilio Vaticano II (1962-1965) è tutt’altro che perfetto. Altrettanto spesso lo abbiamo visto ridursi a semplici intenzioni o addirittura a operazioni di ritocco istituzionale per offrire un volto più fraterno e dialogante della Chiesa. Senza ricorrere al diritto canonico, infatti, la sinodalità non potrà risolvere il problema o meglio il sistema di potere che attanaglia il cattolicesimo. In Francia, alcuni sinodi diocesani si sono già tenuti e hanno mostrato come l’impresa, al di là dei suoi aspetti positivi in senso comunitario, può essere gravosa in termini di tempo e di energia e produrre effetti a lungo termine ancor più negativi se i documenti finali dovessero essere deludenti, al di sotto delle stime e delle attese, anche a causa delle successive operazioni redazionali. E soprattutto perché l’arrivo di un nuovo vescovo può bloccare le riforme intraprese. Ma l’intuizione di papa Francesco rimane valida: un Sinodo dei vescovi resta la soluzione migliore allo stato attuale del diritto e ogni millimetro guadagnato vale l’impegno profuso. L’esempio di Amoris laetitia, il documento frutto del doppio Sinodo sulla famiglia (2014-2015), dimostra che nonostante le enormi resistenze i millimetri guadagnati possono ben risolvere certe situazioni pastorali (in quel caso, la possibilità per le coppie divorziate risposate di accostarsi all’eucaristia).

La Chiesa di Francia sta per intraprendere l’avventura del Sinodo sulla sinodalità avendo molto da guadagnare, se si legge una diagnosi seria come quella proposta in Transformer l’Église catholique su impulso di Camdessus. Il principio di subordinazione è giustamente indicato come l’elemento centrale del sistema cattolico, che fa di ogni vescovo l’amministratore, più o meno zelante, di una «succursale gestita secondo regole uniformi». Ma come uscire da «modelli di governo scolpiti, senza sufficiente discernimento, su quelli delle monarchie assolute»? La storia del Vaticano II mostra che il movimento di riforma venne dal basso, dagli stessi vescovi che si rifiutarono di essere le pedine di un gioco il cui esito era già stato stabilito dalla Curia. Ma ci volle la coesione di un nucleo e il coraggio di alcuni per affrontare e rivedere il sistema.

 

La Chiesa di Francia ha molto da guadagnare da un Sinodo, specie se si legge una diagnosi come quella impostata da Michel Camdessus, dalla quale risalta la centralità del principio di subordinazione, cioè di un modello scolpito su quelli delle monarchie assolute

 

La sinodalità non può non essere il risultato di un equilibrio di forze tra soggetti capaci di discutere e quindi di opporsi a opinioni divergenti. Sulla scena cattolica francese, viene regolarmente portato l’esempio della Chiesa in Germania, dove il Comitato centrale dei cattolici tedeschi (Zdk) rappresenta un partner reale dell’episcopato. Insieme, hanno strutturato un sinodo nazionale e hanno mostrato di essere capaci di lavorare alla pari, ma ciò è eredità di una lunga cultura di dialogo e soprattutto di un laicato organizzato e forte, riconosciuto e rispettato quale vero partner, cosa che non avviene nella Chiesa di Francia.

In Francia, il laicato è erede di una storia mista di monarchie, rivoluzioni, spirito dei lumi, leggi laiche, Azione cattolica... Essere cattolico in Francia non è facile e, a differenza degli omologhi tedeschi, i laici francesi non hanno una rappresentanza ufficiale, autonoma e indipendente che sia un reale vis-à-vis delle autorità ecclesiastiche. Ci sono attori che emergono nel panorama ecclesiale come le Semaines sociales o la Conférence catholique des baptisés de France (Ccbf), ma niente di paragonabile alla Zdk tedesca. Si è sperato per un po’ che il giovanissimo collettivo Promesses d’Église – nato nel 2019 per capire «come scuotere la Chiesa» – fosse un interlocutore capace di esprimere il suo peso davanti ai vescovi nel processo sinodale che sta per iniziare, ma non sembra questo il suo obiettivo.

Di fatto, non esiste un serio e riconosciuto contropotere laico nella Chiesa di Francia, per la mancanza di una struttura indipendente capace di rappresentare la diversità di tutti i battezzati e non di alcuni. La crisi di abusi ha mostrato quanto sia problematica questa debolezza. Il Sinodo sulla sinodalità potrà cambiare le cose? Per scrivere questo articolo ho sentito alcuni laici sul campo, persone impegnate e investite di lavoro pastorale: chi si occupa dei funerali in una zona rurale, un diacono della regione di Parigi, l’amministratore di un’iniziativa apostolica, il referente pastorale di un ambiente scolastico… Quasi tutte queste persone sono a conoscenza del Sinodo attraverso la stampa, il loro parroco (soprattutto in zona rurale) o i membri della loro comunità. Sanno che si stanno organizzando o pianificando degli incontri, ma non si sentono direttamente coinvolte a causa della mancanza di un invito esplicito. Questi cattolici ferventi, impegnati e missionari sono infatti Chiesa-al-di-fuori, in cammino nel quotidiano dell’apostolato, là dove si celebrano funerali in chiese semivuote, dove si sposano giovani che non si vedranno più a messa, dove si sposano divorziati, donne che abortiscono, moribondi che chiedono il suicidio assistito, omosessuali... Questa Chiesa è sempre stata en marche. E non chiede molto se non di essere rispettata e talvolta ascoltata. Il processo sinodale si preoccuperà di giungere fino a queste persone?

 

Di fatto non esiste un serio e riconosciuto contropotere laico nella Chiesa di Francia, il quale sia capace di rappresentare tutti i battezzati e non solo alcuni. Il Sinodo potrà cambiare le cose? C’è una Chiesa che è sempre stata sul campo e che non chiede molto se non di essere rispettata e ascoltata

 

La loro reazione indica che il ribaltamento della piramide non esiste ancora e che il vertice continua a trovarsi in alto e la base in basso. Questa Chiesa dei semplici e di persone comuni non si aspetta molto dal Sinodo, che ai loro occhi resta un affare da grandi elettori, l’élite. Ammetto la mia sorpresa di fronte a risposte apparentemente così negative, ma in esse, contro ogni previsione, ho visto segnali positivi. Probabilmente il processo di consultazione non raggiungerà il cuore della base e si limiterà alle opinioni illuminate di pochi eletti, cooptati in funzione del loro grado di integrazione alla piramide. Ma altri protagonisti saranno coinvolti nel processo sinodale reso pubblico dalla sua promulgazione da parte del papa e trasmesso dai media. E sarà necessario contare sui sinodi nazionali già in corso in Germania e altrove, che potrebbero influenzare le traiettorie.  

A conclusione, il medesimo documento della Cti afferma che «risulta essenziale la partecipazione dei fedeli laici» e che occorre superare «una mentalità clericale che rischia di tenerli ai margini della vita ecclesiale». La Chiesa di Francia rimane profondamente clericale ed è quindi un formidabile «biotopo ecclesiale» in cui osservare in che modo la sinodalità germinerà o meno. È chiaro che questo sarà un argomento di discussione popolare tra quei cattolici (élite?) che frequentano i circoli teologici o gli organismi di governo. Grazie al Sinodo dei vescovi si consulterà, celebrerà, scriverà, dichiarerà... ma è probabile che la semina avvenga più silenziosamente in basso, nelle periferie della Chiesa. Certo, la speranza poggia in parte sul Sinodo stesso, specie grazie a Chiese nazionali più deliberative (come quella tedesca), ma anche alla presenza a Roma di personalità della Chiesa di Francia, come Nathalie Becquart (ora sottosegretaria e prima donna con diritto di voto al Sinodo) e Christoph Theobald. Loro e altri esperti sono una garanzia che la parola silenziosa o la speranza dei più piccoli non sia completamente dimenticata.

 

[Traduzione di Antonio Ballarò]