Lo scorso 17 marzo il ventunenne Robert Aaron Long ha ucciso ad Atlanta ben otto persone, sei delle quali erano donne asiatiche. Sebbene la motivazione razziale non sembra essere stata la ragione scatenante dell’ennesimo mass shooting accaduto negli Stati Uniti, l’eccidio ha posto nell’occhio del ciclone la crescita esponenziale nel Paese di un forte sentimento anti-asiatico.
Intenta a monitorare i crimini d’odio commessi proprio a danno delle persone di origine asiatica, la coalizione no profit Stop Aapi Hate in un anno di pandemia ha registrato ben 3.800 incidenti. Solo nel 2021 ne sono stati contati 503 e hanno riguardato in particolare violenze verbali (circa il 68%), oppure la deliberata non considerazione delle persone; a questi si aggiungono veri e propri assalti fisici, ma anche la violazione dei diritti civili, che riguarda spesso discriminazioni sul posto di lavoro oppure il rifiuto di prestazione di un servizio come, ad esempio, l’accesso a un mezzo di trasporto. Comuni sono poi ovviamente i reati commessi in rete.
Fra gli asiatici americani che hanno subito una qualche forma di vessazione vi sono soprattutto cinesi (42% del totale), seguiti da coreani, vietnamiti e filippini. Questi incidenti si sono verificati in tutto il Paese, anche se spiccano la California e New York, Stato dove la polizia nel 2020 ha registrato un aumento dei casi di hate crimes contro gli asiatici del 1900 %. Alle ingiurie si sono poi talvolta associati crimini violenti, come la morte nel febbraio 2021 a San Francisco di un ottantaquattrenne di origini thailandesi avvenuta in seguito all’aggressione di un giovane. Destinatarie delle discriminazioni sono soprattutto le donne asiatiche, stante – a parere di vari osservatori – il perpetuarsi di pregiudizi che le etichettano come «remissive» e «docili», oppure «ipersessualizzate». Si tratta di stereotipi di lunga durata se si pensa che già nel 1875 la Page Law aveva bloccato l’ingresso negli Stati Uniti alle immigrate cinesi con l’accusa che queste fossero potenziali prostitute che avrebbero attentato alla «moralità» della società bianca anglosassone.
Come si spiegano oggi queste correnti d’odio contro questo gruppo etnico? Secondo lo studio di un gruppo di ricercatori della University of California (pubblicato sulla rivista «Health Education & Behavior») dopo un decennio di sostanziale calo degli hate crimes commessi a danno degli asiatici americani, nel corso della pandemia il massiccio utilizzo dell’ex presidente Donald J. Trump e dei media conservatori di espressioni quali China virus, Wuhan virus e persino Kung Flu hanno avuto un peso rilevante nel surriscaldare gli animi. Per alcuni attivisti per la difesa dei diritti civili i tweet di Trump in particolare avrebbero contributo a cristallizzare l’idea che gli asiatici negli Stati Uniti sono «perennemente stranieri», incentivando così gli atti di violenza nei loro confronti.
Del resto la storica Erika Lee ha sottolineato a un comitato della Camera dei rappresentanti come quelli avvenuti nello scorso anno sono soltanto gli ultimi eventi di una storia di violenze anti-asiatiche avvenute in un Paese che a lungo li ha ritenuti «diversi razzialmente» e «inassimilabili». Già nel 1854 la Corte suprema della California sentenziò che i cinesi non potevano essere considerati «bianchi», privandoli così del diritto di testimoniare in procedimenti penali, cosa che li espose anche a violenze fisiche. E, infatti, nel 1871 una folla di 500 persone attaccò i cinesi residenti a Los Angeles e ne impiccò 17, dando vita al peggior linciaggio di massa della storia statunitense. Nel 1885 minatori bianchi di Rock Springs, in Wyoming, uccisero almeno 28 lavoratori cinesi facendo scempio dei loro corpi, il tutto per timore che gli asiatici fossero di intralcio agli insediamenti bianchi dell’Ovest. Due mesi dopo a Tacoma, nello stato di Washington, migliaia di uomini armati cacciarono dalla città fra gli 800 e i 900 cinesi.
Anche nel corso del Novecento non sono mancate le violenze. Nel 1930 migliaia di bianchi terrorizzarono gli agricoltori filippini di Watsonville, California, mentre in seguito all’attacco giapponese a Pearl Harbor (7 dicembre 1941) centinaia di migliaia di giapponesi americani di prima e seconda generazione furono internati in massa con l’accusa di essere quinte colonne dell’Impero nipponico. Del resto, durante il conflitto proprio il pregiudizio razziale giocò un ruolo fondamentale nella decisione di sperimentare la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. Neppure i rifugiati vietnamiti della guerra in Indocina furono esentati negli anni Settanta dalle violenze di un rinato Ku Klux Klan che, dopo il ritiro delle truppe statunitensi da Saigon, sembrò quasi voler continuare in patria la lotta contro i vietcong comunisti. Il suprematismo bianco ha mietuto vittime anche nel 2012, quando alcuni frequentatori del tempio Sikh di Oak Creek (in Wisconsin) furono freddati da un terrorista di destra.
La violenza è stata quindi corollario a un sentimento anti-asiatico un po’ su tutto il territorio nazionale che si è manifestato nel tempo in modalità diverse. Approvato nel 1882 il Chinese Exclusion Act venne reiterato fino al 1943 e bloccò l’ingresso nel Paese agli immigrati provenienti dalla Cina (a cui si aggiunsero poi gli altri popoli asiatici), mentre la legge di naturalizzazione del 1870 impedì agli asiatici l’acquisizione della cittadinanza americana fino al 1952. Ciò che avviene oggi è quindi il riflesso di una storia di lungo corso, sebbene dagli anni Ottanta del Novecento gli asiatici siano stati spesso indicati come una sorta di comunità «modello» per gli alti livelli di scolarizzazione e di reddito e per i bassi tassi di criminalità. Si tratta di un’etichetta che non è particolarmente amata dagli asiatici americani, 4 su 10 dei quali – secondo un sondaggio del Pew Research Center – dall’inizio della pandemia starebbero vivendo una fase di forte disagio, al punto che il 31% ha dichiarato di essere stato fatto oggetto di insulti razzisti.
Nel suo programma elettorale, il presidente Joe Biden ha parlato dell’importanza di combattere gli hate crimes a cui sono spesso sottoposti gli americani di origine asiatica. Dopo il suo insediamento alla Casa Bianca per dare concretezza alle promesse fatte il neo presidente ha firmato un memorandum con l’obiettivo di dare delle direttive al Dipartimento di giustizia per affrontare adeguatamente gli incidenti che riguardino persone di origine asiatica. Inoltre, dopo i fatti di Atlanta, Biden ha duramente criticato la xenofobia anti-asiatica, dichiarando che questa «it is wrong, it is un-American and it must stop». La sua vicepresidente Kamala Harris (figlia di una donna indiana) ha aggiunto che tale discriminazione è particolarmente perniciosa perché al pregiudizio razziale si associa spesso quello di genere.
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