Cinque miliardi di euro all’anno per bloccare l’immigrazione in Europa, questa è stata la richiesta di Gheddafi all'Unione europea. Non si tratta di discutere se il prezzo sia o meno esoso. Tanto più che non vi è dubbio che solo forti investimenti per sostenere lo sviluppo nei Paesi di emigrazione possono creare le condizioni affinché vi siano alternative all’emigrazione per coloro che legittimamente desiderano una vita migliore, per sé e per i propri figli. La questione riguarda piuttosto due problemi distinti: il realismo della proposta e i mezzi utilizzati per mantenerla. In realtà si tratta di un bluff, perché la maggior parte dei flussi migratori non proviene più dal continente africano, di cui la Libia si pone come “guardiana dei cancelli”. Nonostante gli sbarchi sulle nostre coste meridionali facciano periodicamente notizia, è ormai ampiamente noto che la maggior parte dei migranti proviene da altre parti del mondo e non arriva via mare sulle coste, bensì via terra, o in aereo, spesso grazie a un visto turistico. Ciò che Gheddafi offre quindi è di contenere un flusso già ridotto e che coinvolge spesso i più disperati, in fuga non solo o non tanto dalla miseria, ma da guerre civili e tribali. Non a caso tra loro sono concentrati i richiedenti asilo (che per definizione andrebbero accolti).

Quanto ai mezzi per tener fede alla propria promessa, come verrebbero utilizzati i cinque miliardi? Ammettiamo pure, cosa non facile data la storia passata e presente di questo dittatore, che voglia investirli nello sviluppo della Libia e per aumentare il benessere dei cittadini libici. Ma ciò non servirebbe a cambiare le condizioni nei Paesi da cui proviene la maggior parte dei migranti africani, per i quali si sospetta che Gheddaffi abbia in mente solo la costruzione di qualche prigione in più e l’aumento delle forze di polizia.

Qui sta il nodo più grosso, un problema su cui l’Italia e il suo governo chiudono sistematicamente gli occhi. Quel poco o tanto di successo dell’accordo italo-libico sul controllo delle frontiere e dei flussi migratori clandestini si poggia su un uso spietato della repressione in terra libica, su imprigionamenti in condizioni disumane e degradanti, che per le donne significano anche violenze e stupri da parte di compagni di prigionia e carcerieri. È un “controllo” che avviene nella completa assenza di garanzia e rispetto dei diritti umani, di cui l’Italia è doppiamente complice: perché finge di ignorarlo allorché finanzia prigioni e pattugliamenti di frontiera e perché vi spedisce direttamente coloro che riescono a sfuggire alle maglie dei controlli, inclusi coloro che avrebbero diritto a essere presi in considerazione come rifugiati e richiedenti asilo.

La questione quindi non è se cedere o meno al ricatto di Gheddafi: o soldi o immigrati. La questione è quanto è disposta a pagare l’Europa, in termini di tradimento dei diritti umani e civili, quegli stessi di cui va fiera e che sbandiera come fondamento della propria identità, per difendere, poco e male, le proprie frontiere. Il rischio non è solo e soprattutto che i flussi migratori continueranno ad avvenire senza controllo, ma che la civiltà così fieramente difesa verrà irrimediabilmente erosa dall’interno, dal cinismo di una difesa dei diritti umani in un solo Paese, e solo per i propri cittadini.