La proposta messa a punto dal presidente dell’Inps Tito Boeri un documento corposo, molto ben argomentato, corredato da un articolato di legge – ha molte finalità: introdurre una misura di contrasto alla povertà riservata a residenti con più di 55 anni (SIA55), attuare riforme del sistema pensionistico finalizzate a una maggiore corrispondenza delle pensioni in essere rispetto a quelle che sarebbero maturate sulla base del sistema contributivo, realizzare forme di flessibilità in uscita, correggere situazioni anomale (vitalizi, pensioni sindacali). Il piano indica risparmi di spesa e altre forme di entrata, che possono «complessivamente» rendere sostenibile finanziariamente il progetto nel breve e nel medio periodo, oltre ad analizzarne gli effetti distributivi.
La proposta ha ricevuto commenti su piani diversi e, a quanto pare, è stata politicamente scartata. I commenti meno convincenti sono quelli di opportunità politica: «Lasci lavorare il Parlamento», «Boeri non è il ministro del Lavoro», avanzate ad esempio da Cesare Damiano e Giuliano Cazzola. Altri hanno contestato l’equità (sarebbe ingiusto ammettere possibilità di riduzioni di livelli pensionistici inferiori a 3.000 euro lordi), la violazione dei diritti acquisiti, o infine e definitivamente l’opportunità politica (rischi di perdita di consenso, avanzati dal premier acchiappa-tutto). Al progetto si possono fornire suggerimenti costruttivi e anche avanzare critiche, ma non queste.
Nel caso del SIA55, una critica molto pertinente (avanzata da Chiara Saraceno) verte sul carattere accentuatamente categoriale (limitato a lavoratori con più di 55 anni). È vero che esistono vincoli di bilancio, ma ci sono ormai studi molto dettagliati, realizzati in questi anni (Reis, Irs/Capp), che documentano come sia possibile, con risorse non superiori a quelle utilizzate nella proposta Boeri, avviare provvedimenti di reddito minimo selettivi non categoriali (non limitati cioè a specifici segmenti di popolazione: disoccupati, anziani, nuclei con minori ecc.).
Aggiungerei qui un suggerimento, di metodo: dal punto di vista del sistema, sarebbe opportuno mantenere separate le due parti del piano, con una articolazione distinta delle fonti di finanziamento delle proposte delle due aree (SIA55 e sistema pensionistico). Una cosa è proporre una misura di contrasto alla povertà (e trovare i corrispondenti, appropriati finanziamenti); altra cosa è riformare il sistema pensionistico, rendendolo coerente con indirizzi assunti in passato, che mi paiono ancora prevalenti. Ciò è particolarmente vero per la riforma Dini, che per sua natura tende a porre su binari distinti le fonti fiscali (imposte dirette e indirette) da quelle di tipo contributivo.
Per il finanziamento di un SIA (senza «55»), sarebbe opportuno attingere alla capacità contributiva generale dei cittadini o, ma solo come second best, al perimetro delle risorse che attualmente siano impegnate in analoghi obiettivi di contrasto alla povertà (ad esempio: pensioni sociali, pensioni integrate al minimo).
Diverso è il ragionamento per la parte riguardante la riforma del sistema pensionistico. In questo caso è del tutto legittimo, visto che nel 1995 si è attuata una riforma (Dini) centrata su un modello a ripartizione di tipo contributivo, introdurre elementi che, seppure tardivamente, correggano le lentezze di attuazione di quella riforma, consentendo una revisione delle pensioni in essere in casi in cui lo scostamento tra pensione e pensione ricalcolata sulla base del contributivo sia troppo elevato. I patti intergenerazionali che sottendono alla logica dei sistemi pensionistici non possono essere vincolati a una nozione troppo stretta di diritto acquisito, dato che i sistemi pensionistici fatalmente sono influenzati dalle dinamiche di medio lungo periodo della demografia e della produttività. Se i correttivi non li fa la legge, vi saranno comunque effetti perversi, prodotti dal mercato. Si può discutere sulla misura del correttivo (e quella del piano Boeri mi sembra prudente), ma non della sua legittimità giuridica e politica. Anche pensioni non elevate, se percepite da soggetti che vivono in nuclei famigliari con condizione economica elevata (misurate dall’Isee) possano essere ridotte.
Per nettezza di ragionamento lascerei invece fuori dal discorso i contributi di solidarietà a carico delle cd. pensioni d’oro. Se c’è un problema di redistribuzione dei redditi, la via maestra per attuarla non è intervenire su particolari segmenti di reddito (le pensioni) ma semmai sul principale strumento redistributivo esistente del nostro sistema fiscale, vale a dire l’Irpef, rendendo più progressiva la struttura dell’imposta, con revisioni verso l’alto delle aliquote degli scaglioni più elevati o agendo su altri strumenti (detrazioni, deduzioni e soprattutto allargamenti della base imponibile).
La proposta Boeri contiene quindi molti importanti elementi su cui riflettere, ma forse potrebbe avere più ascolto se si tenessero distinti i piani, in particolare dal lato del finanziamento. I sistemi fiscali, checché se ne pensi, hanno una loro logica, che va rispettata. Ciò vale per la tassazione della casa e anche per il coordinamento tra imposta progressiva, programmi per l’assistenza e sistemi pensionistici. Se non lo si fa, si corre il rischio di lasciare spazio a voci e a critiche pretestuose.
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