La settimana scorsa William Nordhaus, economista della Yale University, ha ricevuto il premio Nobel per l’economia – insieme a Paul Romer di Stanford University. Negli stessi giorni, l’Intergovernmental Panel on Climate Change ha diffuso una relazione tecnica in cui si mostra che puntare al limite previsto dagli accordi di Parigi, 2°C di aumento rispetto al 1990, non sarebbe sufficiente a evitare danni anche gravi. Bisognerebbe porsi l’obiettivo di arrivare a 1,5°C: mezzo grado in più causerebbe, fra l’altro, lo scioglimento completo della calotta glaciale artica durante l’estate o la sostanziale scomparsa della barriera corallina.
Nordhaus ha dedicato quasi tutta la sua produzione alla valutazione economica dei costi necessari a ridurre l’impatto delle emissioni sul clima e a un’analisi costi/benefici delle politiche di abbattimento. Per questo, il premio Nobel può essere l’occasione per attirare ancora di più l’attenzione su questi temi. Dal punto di vista economico, le emissioni di gas a effetto serra sono un’esternalità – cioè un costo sociale non conteggiato nel prezzo richiesto ai consumatori. Chi produce e consuma non paga per i danni a terzi derivanti dalle emissioni di gas serra. Un primo passo per limitare il cambiamento climatico sarebbe allora riportare questo costo all’interno del prezzo dei beni che causano emissioni. Questo frenerebbe i consumi e incentiverebbe il ricorso a tecnologie che non producono emissioni. Lo si può fare in almeno due maniere: imponendo tasse (una tassa sulla benzina, per esempio); oppure mettendo limiti alle emissioni e sviluppando poi un mercato di permessi di emissione (il cosiddetto cap and trade) – come previsto dall’accordo di Kyoto. Secondo Nordhaus una tassa globale sulle emissioni sarebbe più efficiente del cap and trade. Tramite un sistema chiamato Dice (Dynamic Integrated Model of Climate and the Economy), Nordhaus ha calcolato che contenere il cambiamento climatico futuro fra i 2 e i 3°C in più rispetto ai livelli del 1990 sarebbe economicamente efficiente – cioè avrebbe costi largamente compensati dai guadagni futuri (il costo calcolato sarebbe l’1 e il 2% del reddito mondiale per anno).
Nordhaus consiglia un incremento lento e graduale degli investimenti per finanziare il contenimento delle emissioni e giustifica questa tesi innanzitutto alla luce di considerazioni di fattibilità e realismo (i consumatori debbono adattarsi progressivamente, è inutile pretendere troppo). Ma la sua argomentazione principale – che lo ha contrapposto a Nicholas Stern, un altro economista che molto ha riflettuto su questi temi – fa leva sul tasso di sconto. Secondo Nordhaus il ritorno degli investimenti fatti oggi per finanziare misure di abbattimento delle emissioni che porteranno benefici futuri dev’essere scontato in maniera cospicua, per tenere conto dei costi di opportunità di non investire quel denaro in progetti alternativi con ritorni a breve termine. L’uso di un tasso di sconto cospicuo implica un giudizio etico: i guadagni e i costi, cioè il consumo di chi vive oggi, valgono di più di quelli di chi vivrà nel futuro – assumendo certezza (cioè indipendentemente dalla probabilità maggiore o minore degli eventi futuri). Nordhaus non solo applica un tasso di sconto, ma applica tassi di sconto alti – corrispondenti a quelli comunemente usati nei mercati reali.
Per molti, applicare un tasso di sconto in casi del genere è iniquo. Perché il benessere delle generazioni future dovrebbe valere di meno di quello degli individui presenti? Sostenerlo significa privilegiare le generazioni presenti a scapito delle generazioni future. Si dovrebbe rimanere imparziali fra le differenti generazioni: il momento del tempo in cui le vittime dei danni del cambiamento climatico vivranno non ha rilevanza, dal punto di vista etico. Ovviamente, se fosse così, bisognerebbe fare forti investimenti subito e diminuirli nel tempo, man mano che i loro frutti arrivano – esattamente i contrario del suggerimento di Nordhaus.
Per Nordhaus questo modo di vedere è paternalista: i consumatori reali non mettono sullo stesso piano il proprio benessere e quello delle generazioni future; non si può imporre loro un ideale di imparzialità intergenerazionale. Per di più, le generazioni future saranno sicuramente più ricche di quelle presenti. Possiamo investire di meno sul futuro perché i costi futuri saranno più sopportabili. Immaginate, dice Nordhaus, di considerare quanto investire per i nostri figli, nipoti e bisnipoti. Sarebbe assurdo preoccuparsi allo stesso modo per tutti loro: bisogna investire di più per i nostri figli, che poi investiranno per i loro figli, e questi ultimi lo faranno per i propri. Preoccuparsi in maniera eguale di tutti i nostri discendenti significa caricarsi del peso di un’ansia inutile. E come si può scontare l’ansia per il futuro, così si può scontare il ritorno degli investimenti che produrranno frutto nel futuro più lontano.
Dal punto di vista empirico, quest’argomentazione non tiene conto del fatto che le scelte di politica industriamo che abbiamo fatto ed ereditato potrebbero aver comportato danni enormi alle generazioni future – danni che non saranno affatto più sopportabili per loro di quanto non sarebbero stati per noi. Le generazioni future potrebbero non essere più ricche di noi, perché potrebbero vivere in un ambiente deturpato in maniere che impongono costi superiori a quelli che dovremmo sopportare noi per tramandare loro un ambiente meno danneggiato.
Dal punto di vista etico, anche se le generazioni future fossero più ricche, potrebbero dover sopportare costi che non avrebbero sopportato se noi non avessimo agito come abbiamo fatto. La giustizia impone di assumersi responsabilità congrue o proporzionali ai danni inflitti. Scontare il ritorno degli investimenti necessari a finanziare la mitigazione del cambiamento climatico sarebbe come sentirsi meno colpevoli per il danno inflitto, se la vittima fosse più forte o maggiormente benestante di noi.
Il Nobel a Nordhaus può aiutare ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sul cambiamento climatico e la necessità di fronteggiarlo. Ma si dovrebbe evitare di seguire Nordhaus quando si appiattisce sull’egoismo dei consumatori presenti a scapito delle generazioni future.
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