Quale sarà il futuro dello stabilimento Fiat Chrysler di Pomigliano d’Arco? Dopo aver tenuto banco nelle cronache sindacali di alcuni anni fa (quando ancora il sindacato faceva notizia…), su una delle fabbriche più controverse della storia d’Italia era calato il silenzio. D’improvviso l’attenzione dell’opinione pubblica si è riaccesa quando Sergio Marchionne, parlando al Salone dell’auto di Ginevra, ha adombrato la possibilità che Pomigliano cambi la sua missione produttiva e torni a essere destinata alla realizzazione di vetture col marchio Alfa Romeo. Così, in un certo senso, la fabbrica napoletana sarebbe restituita alle sue origini, quando apparteneva all’Alfa e all’Iri, prima di cadere in un prolungato cono d’ombra da cui uscì soltanto nel momento in cui la Fiat decise di allocarvi la produzione della Panda.
Ciò avvenne quando il Lingotto stabilì che rilanciare l’impianto e riorganizzarlo da cima a fondo sarebbe stato possibile a patto di destinarlo alla lavorazione della Panda, prodotta in precedenza presso lo stabilimento di Tychy, in Polonia, in modo da assicurare i volumi necessari, pur con una redditività molto modesta. Ora Marchionne prospetta un nuovo rovesciamento dei ruoli produttivi: la Polonia, così, dovrebbe recuperare la Panda e Pomigliano una nuova vettura Alfa Romeo.
Quali le ragioni di questa mossa? La strategia di dislocazione degli impegni produttivi di Fca prevede che agli stabilimenti italiani tocchi la fascia dei prodotti premium, quella individuata dal binomio Alfa Romeo-Maserati, per cui si è avanzata di recente l’ipotesi della formazione di una società autonoma. Naturalmente si continueranno a produrre anche vetture col marchio Jeep (l’anno scorso a Melfi si sono prodotte in quantità considerevoli le Renegade, molte delle quali hanno poi preso la via degli Stati Uniti), se non interverranno questioni doganali a causa delle propensioni protezionistiche dell’amministrazione Trump.
È evidente, tuttavia, che per Fca ha poco senso realizzare in Italia auto del segmento più basso del mercato come la Panda, che generano margini troppo risicati. A Ginevra Marchionne ha detto che l’utile conseguito dalla Panda è pari a un decimo di quello fornito da una Jeep. Se è così, non c’è dubbio che conviene perseguire politiche di focalizzazione del prodotto che garantiscano margini consistenti, pur mediante volumi produttivi contenuti. Si tratta, peraltro, di una strategia che accomuna varie case produttrici, risolute a concentrare i loro sforzi sui segmenti di mercato più profittevoli. Inoltre, ciò risponde anche a una valorizzazione dei prodotti e dei brand, all’interno del portafoglio di Fca, che hanno una caratterizzazione specificamente italiana e che traggono un beneficio anche d’immagine dal fatto di essere realizzati nel nostro Paese.
Questa logica di lungo termine, ovviamente, può creare problemi di gestione dell’impianto di Pomigliano nel breve. Occorrerà infatti procedere a una conversione delle linee produttive e orientare l’impiego dei lavoratori in ragione della nuova missione produttiva dello stabilimento, un’operazione che può evidentemente comportare il ricorso agli ammortizzatori sociali. Un altro problema è costituito dal temporaneo distacco di una quota dei lavoratori di Pomigliano alle linee di Cassino. Ma sono problemi superabili in vista di un rafforzamento della struttura produttiva italiana tale da favorire, in prospettiva, il suo incorporamento all’interno di un altro perimetro di gruppo.
A ben vedere, il nodo irrisolto di ogni ragionamento sul futuro della produzione automobilistica italiana dipende dalla piega che prenderà il destino di Fiat Chrysler. Il passaggio della Opel a Psa contribuisce a rendere più urgente una soluzione per Fca, a cui Marchionne vorrebbe probabilmente legare l’ultima fase della sua direzione del gruppo automobilistico. Non sono tanti i soggetti che potrebbero incorporare Fca. L’ipotesi General Motors, su cui Marchionne ha lavorato a lungo, non ha mai assunto vera concretezza, per il secco rifiuto di Mary Barra di prenderla in considerazione. Ecco perché a Ginevra Marchionne ha voluto segnalare una disponibilità nei confronti di Volkswagen, che però ha subito smentito anch’essa ogni interesse in tal senso. In questo momento, non rientra nei piani né di General Motors né di Volkswagen dare adito a un progetto di incorporazione che appare loro troppo complicato e costoso. Sanno di avere il coltello dalla parte del manico e pensano forse che avrebbero da guadagnare piuttosto da uno smembramento di Fca. Proprio la soluzione che Marchionne ricusa, almeno – ha aggiunto – fino a quando ci sarà lui sul ponte di comando di Fca: ciò che appunto non esclude che possa essere praticata in un domani nemmeno troppo lontano.
Per le fabbriche italiane quel che conta è mettere in sicurezza una struttura produttiva in grado di preservare il proprio assetto per un periodo di tempo prevedibile. Un obiettivo che si potrà ottenere più facilmente quanto più esse saranno focalizzate su prodotti capaci di generare reddito anche con volumi complessivi non elevati.
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