Salvo ripeterci in maniera ossessiva che viviamo nel Paese più bello del mondo, sembriamo per lo più indifferenti al disastro che accompagna il nostro ambiente. Eppure la durezza della natura e le sue periodiche manifestazioni sono lì a monito delle nostre scelte sbagliate. Negli ultimi mesi gli episodi drammatici che si sono susseguiti hanno riportato per qualche giorno sulle prime pagine l'incuria, l'abbandono, la mancata manutenzione del nostro territorio. Il prezzo pagato è stato alto. In vite umane, innanzitutto, e non solo. Ciò nonostante tarda a realizzarsi una vera e propria presa di coscienza da parte dell'opinione pubblica di quanto la nostra precaria postmodernità agisca pericolosamente sul mondo che abbiamo ricevuto in dono e che, in un modo o nell'altro, lasceremo alle generazioni future.

Ma per quanto fragile possa essere l'ecosistema, non c'è dubbio alcuno che le nostre credenze lo sono ancora di più. Poco alla volta, cullandoci in alibi assai incerti, affidati alla potenza immaginifica della tecnologia, siamo stati in grado di rendere normali e accettabili stili di vita che sino a poche generazioni fa ci sarebbero apparsi insostenibili e grotteschi, mentre l'illusione di un benessere facile e poco costoso ci portava a un punto di non ritorno. Che senso possiamo trovare, ad esempio, nel passaggio delle cosiddette Grandi Navi dal bacino di San Marco? Quanto sono noti all'opinione pubblica i danni che queste portaerei del turismo di massa arrecano alle fondamenta di Venezia?

Dopo il disastro della "Concordia" è la volta dell'Isola del Giglio. Dell'importanza di questo pezzo di mare Mediterraneo si torna a parlare in queste ore a causa della tragedia che ha visto un mostro come la “Concordia” naufragare a poche centinaia di metri dalle coste dell'Isola. Chi frequenta quei luoghi e legge della tragedia rimane senza parole. Ma se non ci fosse stato questo ”incidente” nessuno avrebbe fatto scandalo di un monumento con una stazza simile (114.500 tonnellate) che sfiora Gorgona e il Giglio. Un mare di una bellezza straordinaria, ma molto delicato e adatto per lo più al diporto. Eppure, come hanno ricordato gli amministratori locali, non era certo la prima volta che navi da crociera di quelle dimensioni passavano dalla costa. Del resto, chi ha fatto caso a quanto è successo poche settimane fa, quando, proprio vicino all'isola di Gorgona, un cargo dell'armatore Grimaldi ha “perduto” più di 200 fusti di rifiuti altamente tossici?

Quasi nessuno. E quei fusti giacciono in fondo al mare senza che si sappia quando e se potranno essere recuperati. (Si tratta di 224 bidoni metallici, ognuno dei quali contiene 200 chili di monossido di cobalto e molibdeno. Secondo la Guardia Costiera di Livorno "il prodotto è contenuto all'interno di sacchi di plastica nera racchiusi in fusti metallici di colore azzurro della capacità di 200 litri. Il materiale diventa pericoloso a contatto con l'aria scaldandosi fino ad alte temperature e producendo fiammate bluastre e liberando polveri e gas tossici".)

Il 17 dicembre scorso, quel cargo era uscito in mare nonostante tutti i bollettini sconsigliassero la navigazione a qualsiasi tipo di imbarcazione. Per chi ha anche solo un minimo di esperienza, un mare forza 10 (vento a 130 km orari e onde alte più di otto metri) non lascia dubbi sul da farsi. La nave invece uscì e, appunto, perse tutto il suo carico tossico.

Ora è la volta della “Concordia”: un gigante assurdo riverso su un fianco con in pancia 2.380 tonnellate di gasolio.

In un Paese totalmente distratto dalla portata della questione ambientale, con un partito dei Verdi irrilevante, il cui peso politico è ormai vicino allo zero e i cui iscritti non fanno che litigare tra loro senza riuscire a mettere in pratica alcuna strategia, l'attenzione per i nostri fiumi, per le nostre montagne, per il nostro mare continua a esserci solo in caso di un nuovo disastro. Quando ormai resta ben poco da fare. Riusciremo, oltre la crisi finanziaria, a mutare questa nostra folle incoscienza, prima o poi?