Gli ispanici degli Stati Uniti (o latinos, intesi come gli americani di discendenza spagnola e/o latino-americana), un tradizionale bastione democratico, sono coinvolti in un progressivo cambiamento delle proprie lealtà elettorali e partitiche? Sorprendentemente, alle presidenziali del 2020, Trump, benché perdente, prese il 3% dei voti in più tra i latinos e di recente Mayra Flores, una ispanica “rossa” (cioè repubblicana, nella cromia partitica statunitense), ha vinto inaspettatamente un seggio al Congresso nel Texas meridionale. È possibile quindi che gli ispanici si stiano allontanando dai “blu”, spostandosi a destra? Questa domanda è al centro degli studi dei partiti e degli analisti politici in vista del voto di medio termine del prossimo 8 novembre, dato che gli elettori ispanici sono determinanti per il risultato del cosiddetto southern rim – gli Stati meridionali dall’Atlantico alla California – e, soprattutto se giovani e/o di recente immigrazione, sono “persuadibili”, cioè il loro voto è dato più dai temi ritenuti rilevanti piuttosto che da una solida lealtà al partito dell’asinello.
Secondo il Pew Research Center, che ha condotto profonde ricerche su questa minoranza, gli ispanici statunitensi hanno raggiunto i 62,5 milioni nel 2021 (un americano ogni cinque), rispetto ai 50,5 nel 2010: l’aumento più rapido tra i gruppi etno-razziali dopo gli asiatici. Nel 2014, in California, gli ispanici hanno superato i bianchi non-ispanici (una discutibile categoria che ripete il vecchio pregiudizio razziale che i latinos non sono “bianchi”) come primo gruppo etnico-razziale e lo stesso è avvenuto in Texas nel 2021: entrambi tra i “dieci grandi” Stati decisivi per gli equilibri elettorali.
Trattati erroneamente come gruppo unico, gli ispanici hanno in realtà origini nazionali molto diverse: quella messicana ammonta al 60% (37,2 milioni); la portoricana è la seconda con 5,8 milioni; mentre quelle originarie di una varietà di nazioni centro-americane hanno tutte un milione o più a testa di membri – tra cui spicca per la specificità delle sue preferenze politiche quella cubana in Florida. Diversamente dagli anni più recenti, l’aumento della popolazione ispanica è dovuto adesso soprattutto a nuove nascite sul suolo statunitense rispetto all’arrivo di nuovi immigrati. E l’81% degli ispanici sono cittadini americani.
L’origine nazionale, la fascia generazionale ed economica e la religione (i non pochi evangelici sono più conservatori della maggioranza cattolica) sono tra i fattori che influenzano l’orientamento politico del voto ispanico. In linea di massima l’immigrazione recente, quindi la persistente sensibilità alle vicende del Paese d’origine, il basso tasso di istruzione, il perdurante uso dello spagnolo, la vita in “barrios” etnico-razziali generano una forte identità nazional-ispanica che riguarda la metà abbondante dell’intera minoranza, che contribuisce a fare degli Stati Uniti una società multiculturale e nutre un diverso comportamento politico rispetto alla maggioranza della popolazione del Paese. In materia di controllo delle armi, ad esempio, gli ispanici sono per oltre due terzi favorevoli a maggiori restrizioni, dunque non condividono il diritto individuale ad armarsi sostenuto da larghe fasce conservatrici di bianchi non-ispanici, né le oscillazioni d’opinione a seconda della prossimità nel tempo delle stragi nelle scuole.
D’altra parte gli ispanici, razzialmente articolati in bianchi, neri e brown, sono stati storicamente emarginati nel lavoro, nella casa, nell’istruzione, dal pregiudizio delle “minoranze non assimilabili” che percorre tutta la storia immigratoria degli Stati Uniti. Nel 2008 un saggio di Samuel Huntington sostenne che gli immigrati messicani non sarebbero mai entrati nel corpo identitario della nazione, i cui valori e istituzioni fondanti erano stati disegnati in origine e per sempre da coloni di cultura pubblica e privata anglosassone e di lingua inglese.
L’origine nazionale, la fascia generazionale ed economica e la religione (i non pochi evangelici sono più conservatori della maggioranza cattolica) sono tra i fattori che influenzano l’orientamento politico dei 32 milioni di potenziali votanti ispanici
A una maggiore omologazione nazionale tendono invece ispanici di vecchia immigrazione, parlanti inglese, più influenzati dalla politica nazionale del Paese e/o da quella del proprio Stato di residenza. La differenza è nutrita anche da fattori economici: benché la media salariale ispanica sia ancora inferiore a quella della maggioranza bianca, c’è un significativo gap di benessere tra quelli di vecchia data nati negli Stati Uniti e quelli di nuova immigrazione. Tuttavia, vi sono casi speciali: la solida tradizione anticastrista rende i cubani della Florida più filo-repubblicani, mentre i portoricani sono tutti cittadini americani anche all’origine, per di più coinvolti nell’annosa controversia sulla richiesta di indipendenza dagli Stati Uniti, oppure di incorporazione come vero e proprio Stato americano.
Tra i temi cardine per decidere il voto di novembre, l’economia è citata dall’80% degli elettori ispanici, seguita al 70% circa dalla tutela sanitaria, poi dall’educazione e dalla criminalità. Questi argomenti sono decisivi per quasi tutti gli ispanici, ma su altri temi, come controllo delle armi, ambientalismo, immigrazione e aborto, le opinioni variano: sono queste le divergenze che avrebbero risvegliato “il gigante dormiente” democratico e messo in moto la sua nuova mobilità politico-elettorale. Il tasso di popolarità di Biden presso i votanti ispanici è vicino al (basso) dato nazionale, con il 45% circa di approvazione. Allo stesso tempo la larga maggioranza dei votanti (73%, un dato un po' più alto di quello nazionale del 66%) è contraria al fatto che Trump resti una figura pubblica di rilevanza nazionale.
Un’autorevole rilevazione d’opinione dell’ente "New York Times"/Siena College del settembre scorso ha rilevato che, malgrado qualche perdita, la presa dei democratici sul voto ispanico continua. Sette latinos su dieci sottoscrivono l’affermazione: “Il partito democratico si dà da fare per conquistare il voto ispanico”. Sono convinti che sia il partito della classe operaia e affermano che su temi come controllo delle armi, ambiente e immigrazione gli ispanici si sentono più vicini alle opinioni del partito dell’asinello, che pure li aveva trascurati a lungo, considerandoli come un unico “blocco latino” con voto a favore garantito. Come nell’elettorato nazionale, anche tra questi ultimi le donne sono più progressiste dei maschi in materia di immigrazione, diseguaglianza economica, servizi sociali, accesso all’aborto e parrebbe che possano compensare eventuali perdite dei “blu” tra gli uomini. La rilevazione citata sostiene che quello repubblicano continua a essere visto come un partito estremista e delle élite e che la sua speranza di recuperare voti grazie a temi socio-culturali e alla questione della criminalità non si materializzerà. La previsione elettorale per novembre darebbe quindi i democratici al 56%, contro il 32% ai repubblicani.
Ma abbondano anche le opinioni che vedono i democratici in perdita rispetto al sostegno precedente alle presidenziali del 2020. Il noto sito di sondaggi elettorali FiveThirtyEight sottolinea che allora tre ispanici su cinque avevano votato per Biden, cioè meno dei due su tre che avevano scelto Hillary Clinton nel 2016. Accanto alla solida tradizione secondo cui alle votazioni intermedie il partito presidenziale perde, anche tra gli ispanici vale la tendenza nazionale che vede l’elettorato repubblicano più mobilitato, aggiunto al fatto che al midterm del 2018 il tasso ispanico di partecipazione al voto è stato minore della media nazionale.
Benché la predominanza democratica tra gli elettori giovani (18-29 anni) sia ampia, maggiori punti interrogativi ci sono sul voto dei giovani maschi meridionali e rurali, spesso afflitti da radicali insicurezze economiche
Malgrado gli ottimisti democratici, i terreni di incertezza rimangono molteplici. Tra quelli che de-enfatizzano l’identità latina, c’è un maggior equilibrio partitico, anche se sul cambiamento climatico ispanici “rossi” e “blu” la pensano molto diversamente. Benché la predominanza democratica tra gli elettori giovani (18-29 anni) sia ampia, maggiori punti interrogativi ci sono sul voto dei giovani maschi meridionali e rurali, spesso afflitti da radicali insicurezze economiche. Il "New York Times" a settembre ha riportato il caso del ventiquattrenne Anthony Saiz di Tucson, Arizona, tecnico dei media, che ha dovuto accettare un secondo lavoro da pizzaiolo e si è trasferito in un appartamento più piccolo per cavarsela. Così come i suoi genitori, si sente democratico, ma sotto Biden il costo della vita è talmente aumentato che Saiz rivaluta i risultati economici di Trump e pensa di votare “rosso” alle intermedie. Oltretutto, come per altre minoranze, la salute e il reddito degli ispanici sono stati duramente danneggiati dal Covid ed essi sono convintissimi che gli Stati Uniti hanno affrontato la pandemia peggio dei principali Paesi sviluppati.
Il tentativo dei repubblicani di giovarsi di questi fattori per veder crescere il voto ispanico in loro favore potrebbe tuttavia essere vanificato dalla centralità del tema dell’aborto nella campagna elettorale, fortemente mobilitato dalla recente sentenza abrogativa della Corte suprema: il 61% degli ispanici è favorevole in quasi tutti i casi. Contro l’opinione che il tradizionalismo familiare e l’affiliazione cattolica rendono gli ispanici tiepidi o contrari all’aborto, la sua citazione come determinante cardine del proprio voto è cresciuta dal 42% in marzo al 57% in agosto, e “i politici blu” battono insistentemente su questo tasto per incrementare il tasso di voto dei democratici latinos, soprattutto donne.
La previsione dei risultati delle intermedie è incertissima. Fino a un paio di mesi fa sembrava che i repubblicani dovessero stravincere, poi si è registrata una ripresa dei democratici che potrebbero (forse) mantenere la maggioranza al Senato. Adesso nuove notizie sulla persistente inflazione paiono favorire di nuovo il partito dell’elefante. Il voto degli ispanici è importante per decidere i posti di senatore e governatore in diversi Stati in bilico nel Sud del Paese. Se lo spostamento verso i repubblicani si accentuasse, allora contrasterebbe con la speranza demografica dei democratici che la rapida crescita dei gruppi diversi dai bianchi non-ispanici aumenti ancor più la loro prevalenza numerica già attuale.
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