È stata molto più di una “pasquinata”. La pasquinata, dice l'Enciclopedia Treccani, è la “denominazione delle satire per lo più brevi, in versi e in prosa, contro i papi e la Curia o contro persone o costumi giudicati degni di biasimo,scritte dapprima in latino, più tardi in italiano o in romanesco, che, dal secolo XVI e sino alla fine del potere temporale dei papi (secolo XIX), venivano attaccate al torso di Pasquino […]”. Per chi volesse sincerarsi del fatto che l’usanza sia ancora in uso basta recarsi nella piazza omonima, a due passi da Piazza Navona. In campo elettorale, dal biasimo, si è passati a una vera e propria rivolta contro l’establishment politico ed economico – vero o presunto – della città. Alcune brevi considerazioni a partire dai numeri; i quali, come spesso accade, parlano da soli.
1. Nulla è accaduto tra i primi sondaggi primaverili e il voto reale. Anzi, quest’ultimo ha rafforzato Virginia Raggi, data da sempre vincente al ballottaggio contro Roberto Giachetti, in un tipico schema “alla Parma”, con il candidato Pd più debole nella conta finale (un imprevisto riscatto per le società demoscopiche). Nel voto reale Virginia Raggi ha conquistato il 67,5%, ovvero 770 mila voti, 100 mila in più di quanti ne ottenne Ignazio Marino nel 2013. Il dato più interessante è la capacità attrattiva della Raggi tra primo e secondo turno: ha ottenuto 300 mila voti in più, contro i 50 mila nuovi elettori di Giachetti. I voti in libertà di Marchini, Meloni e Fassina, sommati, erano circa 450 mila: è chiaro a chi siano andati. Ultima nota: l’affluenza resta bassa, ha votato un romano su due; ma assistiamo comunque a un rimbalzo, seppure lieve, rispetto al drammatico astensionismo del 2013, quando al secondo turno votò poco più del 45%.
2. A Roma stiamo osservando un cambiamento dell'orientamento di voto strutturale? Esso ha a che fare con i cambiamenti strutturali della città? Probabilmente sì. A rincuorare il Partito democratico – che in queste elezioni ha dissipato un patrimonio di consensi anche negli insediamenti storici del centrosinistra – è l’apparente volatilità del voto. Questo non elimina un punto chiave: con la sconfitta in 13 dei 15 Municipi al voto, subisce un colpo durissimo l’unica classe dirigente di prossimità che il Pd possedeva, ovvero i suoi 15 presidenti di Municipio (il Pd vince solo nel centro storico e nel Municipio che comprende i Parioli, rafforzando l’immagine di un partito arroccato nei Soviet delle terrazze romane). E questo a fronte di una – già fragilissima – struttura organizzativa del partito, devastata dalla vicenda di Mafia Capitale. Un punto interessante: dopo Mafia Capitale, e l’arresto di alcuni consiglieri capitolini del Pd, è saltato il sistema di consenso delle preferenze di lista, il cui utilizzo in tre anni si è dimezzato. Chi studia i dati elettorali di Roma mostra come la città di nuovo insediamento (la periferia attorno e oltre il grande raccordo anulare) voti da tempo le liste che non appartengo al campo del centrosinistra, in modo eclatante in queste elezioni; ma per la prima volta il vero insediamento della sinistra (la "Periferia Storica": Tiburtino Sud, Pietralata, Garbatella…) mostra segni di defezione consistente nei confronti dei partiti del centrosinistra, in direzione del non voto e dei 5 Stelle. Le zone dove Pd e Lista civica di Giachetti sono andate meglio sono Trastevere con il 34%, Aventino e Celio con il 31%, Salario, Flaminio, Della Vittoria e centro storico con il 30% (tutti I e II Municipio, in zone del centro e borghesi); le zone dove il M5S va meglio sono Acilia Nord con 49%, S. Alessandro, Barcaccia, Decima e Ostia Antica con il 47%, tutte fuori dal Gra (i dati sono rielaborazioni di Federico Tomassi, del Laboratorio Roma del Centro per la Riforma dello Stato). Più ci si allontana dal centro, più il Pd perde mordente, come ha sempre sostenuto lo stesso Tomassi: interessante notare come il 5 Stelle abbia espugnato anche alcuni centri dell’hinterland romano – comunità che gravitano nettamente su Roma – come Genzano e Marino (altre storiche roccaforti rosse). Se aggiungiamo Pomezia, Civitavecchia, Anguillara, Nettuno… L’Area Metropolitana di Roma è nettamente a trazione 5 Stelle.
3. La comunicazione della campagna elettorale è stata ininfluente. Il candidato del Pd (arrivato al ballottaggio solo grazie a Berlusconi, e alla sua scelta di non appoggiare Giorgia Meloni) ha aspettato che dalla candidata 5 Stelle arrivasse il grande infortunio. Ciò non è avvenuto. Il frame degli ultimi 18 mesi del "la politica corrotta deve farsi da parte", costruito dai media, dai 5 Stelle – e in parte dalla stessa classe politica del Pd – è stato troppo forte per essere ribaltato da qualsiasi strategia di campagna elettorale. Questo voto rappresenta un tentativo di catarsi collettiva, la volontà di scrollarsi di dosso il recente, oscuro, passato: uno schema troppo forte per chiunque. Detto ciò, il Pd ha sbagliato la campagna elettorale: il tema delle Olimpiadi – sulle quali si è incentrata un parte consistente del messaggio di Giachetti durante il ballottaggio – è stato percepito come l'ennesima occasione di "magna magna”. Giachetti, accostato al rottamatore Renzi, non ha compreso che il popolo romano, di pancia, voleva rottamare tutto: anche i Malagò, i Montezemolo, i Caltagirone… L’antico potere economico romano, una parte di quell’establishment contro il quale si sono schierati gli elettori di Virginia Raggi. “L’ottimismo del sì" che la campagna di Giachetti ha cercato di vendere non appartiene oggi ai romani.
4. Sfide da far tremare i polsi attendono ora Virginia Raggi. Prima di tutto questioni che riguardano la tenuta finanziaria della città. I 13 miliardi di debito; la capacità di spesa sempre più ridotta del Comune, sempre più in emergenza sociale a fronte di una debolezza dei servizi offerti; la drammatica condizione delle municipalizzate, sia dal punto di vista dei conti che della qualità delle prestazioni (in primis l’Atac, l’azienda dei trasporti); l’irrisolta vicenda della gestione dei rifiuti – Roma è appesa a un filo, sempre sull’orlo di divenire un nuovo “caso Napoli” a seguito della chiusura della famigerata discarica di Malagrotta; le vertenze con i lavoratori comunali, in conflitto con il Commissario Tronca per riottenere, senza successo, il salario accessorio. E via proseguendo.
L’ultimo confronto elettorale tra Virginia Raggi e Roberto Giachetti, messo in scena da Sky, si era tenuto in un Campidoglio magnificente, per il colore serale del cielo sopra Roma e per la brezza che arrivava in cima al Colle (l’inizio di uno scirocco ancora blando). Appena lì sotto, però, i cumuli di spazzatura formatisi a seguito dello sciopero dei netturbini, che chiedono il rinnovo del contratto. Dopo la fiction della campagna elettorale, un assaggio di realtà per la nuova sindaca.
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