Un’economia dai piedi d’argilla. Sullo sfondo della difficile transizione politica egiziana e dello scontro politico-istituzionale che coinvolge il Consiglio supremo di Difesa e il neo-presidente Mohammed Mursi, la situazione economica dell’Egitto si sta aggravando e il pericolo di un default finanziario sembra essere sempre più concreto.
Al di là del conflitto sociale, infatti, il Paese nordafricano si trova in una congiuntura economica difficile. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale (Fmi), i principali indicatori dell'economia egiziana mostrano dati molto preoccupanti: nel 2011 si è registrato un marcato rallentamento del Pil all'1,2% (a fronte di una crescita media del 5% dei Paesi del Medioriente e Nord Africa); l’inflazione ha raggiunto circa il 13%; il tasso di disoccupazione è salito al 12% e quello giovanile si attesta al 25% (ma stime ufficiose danno percentuali più elevate); il deficit di bilancio ha toccato i 22,5 miliardi di dollari; le riserve valutarie sono precipitate dai 36,2 miliardi di dollari del dicembre 2010 ai circa 15,2 del 2012; il 40% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà fissata dalla Banca mondiale a 2 dollari giornalieri; infine, il debito estero ha superato i 35 miliardi di dollari, con un incremento del 3,6% rispetto all’anno precedente.
A ciò si deve aggiungere il fatto che il giugno scorso le agenzie statunitensi Fitch e Moody's hanno tagliato il rating del Paese da BB- a B+, sottolineando come il downgrading dell'Egitto dipenda non solo dalla persistente debolezza macroeconomica e dalle crescenti pressioni di spesa e finanziamento del bilancio, ma anche dal perdurare dell’instabilità politica, che rende il Paese poco attraente agli investitori stranieri (gli Ide in Egitto sono crollati al 18,9% del Pil nel solo 2011). Banca mondiale e Fmi hanno infatti precisato come la stabilità politica sia la condizione imprescindibile per sanare la grave crisi economica e per favorire un ritorno degli investimenti privati nel Paese.
Proprio al fine di sostenere una rapida ripresa dei consumi interni e, più in generale, dell'economia nazionale, la comunità internazionale ha fornito aiuti e prestiti a lungo termine, ma dietro condizioni precise: per usufruire del maxi-prestito da 3,2 miliardi di dollari del Fmi, il nuovo esecutivo, oltre al rafforzamento delle istituzioni democratiche, dovrà garantire un forte piano di riforme economiche (in particolare progetti di governance, inclusione sociale ed economica, modernizzazione e liberalizzazione dei sistemi economici). Medesime condizioni sono state previste anche da Ue, Bce e Banca europea per la ricostruzione, oltre che da singoli Paesi come Arabia Saudita, Qatar e Usa, pronti a erogare unilateralmente finanziamenti per evidenti motivi strategici. Alla luce di ciò, il Cairo sta dunque studiando quali misure siano più adatte a combattere le croniche criticità nazionali (soprattutto disoccupazione e corruzione dilagante) e a rilanciare la crescita economica del Paese.
Nel concreto, il governo dovrà risolvere le situazioni ritenute più critiche, come il finanziamento dell’approvvigionamento energetico e alimentare (l’Egitto è dipendente dall’estero per il 40% del fabbisogno energetico e più del 60% di quello alimentare) e il pagamento degli stipendi – recentemente aumentati del 15% – dei 6 milioni di dipendenti pubblici. Ma il compito più arduo per il presidente Mursi sarà quello di ridurre la presenza e il controllo dei militari sulla scena politica e sociale.
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