Mentre il dibattito sul se e quando l'Intelligenza artificiale supererà quella umana diventa sempre più fantasioso, quella tecnologia, dietro le quinte, ci sta per superare nel suo insaziabile appetito di energia.
L’energia pro capite utilizzata oggi nelle società sviluppate è circa duecento volte più grande di quella che serve al nostro organismo per vivere. Con quel fattore duecento, che proviene in larga misura dai combustibili fossili, accendiamo la luce, andiamo in macchina, costruiamo le case, facciamo funzionare le sale operatorie, produciamo i medicinali e tutto il resto. Rinunciare a quell’energia equivale a rinunciare non solo a quel che facciamo e abbiamo ma anche, in un certo senso, a quel che siamo. Il problema energetico e climatico è di difficile soluzione proprio per questa ragione ed è il tema che qui vogliamo discutere in relazione all’IA.
Circa cinque anni fa, quando l’Intelligenza artificiale ci aveva già impressionati con il riconoscimento delle immagini, le traduzioni di testi e altre sue meraviglie, i più accreditati think thank di ricerca e analisi avevano previsto che, coi dati di crescita osservati, nel 2050 questa tecnologia avrebbe consumato la metà dell’energia che abbiamo a disposizione. Quella previsione, lontana e con grandi margini di incertezza, era stata frettolosamente ignorata, esorcizzata e liquidata con indifferenza. Dietro le quinte, tuttavia, la rivoluzione IA continuava inesorabile la sua scalata. In rapida successione i passi necessari a costruire l’IA generativa dei large language models venivano realizzati nei laboratori fino al sensazionale taglio del traguardo, ChatGpt, di fine 2022. Da allora OpenAI, la società proprietaria della chat e le altre in concorrenza stanno crescendo a ritmi impressionanti. Con un bacino attuale di centinaia di milioni di utenti, gli investitori si mettono in fila per salire in quel treno. Poco importa che quelle chat abbiano, per ora, capacità logiche risibili e che non sappiano far bene di conto, chi siamo noi per giudicare?
La rivoluzione in corso non è solo rumors and hypes, perché c’è un fatto rilevante: da lavori tecnici, testati e riprodotti da diversi laboratori, è emerso un dato: big is better! Cioè se costruiamo macchine più grandi e diamo loro più dati da digerire queste saranno, a loro modo, proporzionalmente più intelligenti, almeno nei limiti dei test. Ma quanto grande sarà la macchina che ognuno di loro vuole possedere per primo ed eventualmente produrre in serie? Difficile dirlo ma in queste condizioni di competizione c’è una dimensione simbolica ma significativa, un totem: quella del cervello umano, una macchina cioè che abbia un numero di sinapsi (parametri sinaptici) pari al nostro. Fornendole una montagna di dati questa ci dirà cose strabilianti e poco importa se sarà o meno intelligenza come la nostra. Anzi, quasi certamente sarà diversissima ma di sicuro utilissima e molto, molto redditizia.
La rivoluzione in corso non è solo rumors and hypes, perché c’è un fatto rilevante: da lavori tecnici, testati e riprodotti da diversi laboratori, è emerso un dato: big is better!
Tutto bellissimo? Non esattamente. La cattiva notizia è che lo spauracchio del 2050 viene anticipato al 2030, perché la fisica ci presenta il conto: l’ordine di grandezza della potenza energetica che serve a una macchina simile è dell’ordine delle centinaia di milioni di watt (il consumo del cervello umano è di trenta watt). Il cervellone infatti non si contenterà di una fase di pre-apprendimento seguita da una di raffinamento come le macchine attuali. Sarà invece in continuo apprendimento e continua interazione. È impossibile prendere quell’energia dalla rete commerciale, serve una sorgente dedicata. Quale? Per esempio un Smr (Small modular reactor), le piccole centrali modulari a energia nucleare. Fantasie? Il contrario: i giganti del digitale negli ultimi sei mesi hanno firmato accordi proprio con aziende che producono energia nucleare, quella all’antica, a fissione. Stanno persino facendo investimenti, piccoli, più simbolici e pubblicitari che sostanziali, sulla fusione nucleare. Nvidia inoltre, la società leader nella produzione delle Gpu, i mattoncini fondamentali con cui si costruiscono queste macchine, dopo aver presentato di recente il suo nuovo campione, il Blackwell, ha raggiunto le compagnie più grandi del mondo.
La rivoluzione dell’Intelligenza artificiale è, quanto la prima rivoluzione industriale, di tipo pre-scientifico, nel senso che è inseguita dalla scienza. Quest’ultimo non è un fatto ovvio e va rimarcato. A cavallo tra Settecento e Ottocento si costruivano i motori a vapore, ma nessuno sapeva dire perché il motore di Berlino faceva più strada di quello di Parigi a parità di carbone usato. Dopo una gestazione di 40 anni, è stata la Termodinamica coi suoi principi a rispondere a quelle domande, raggiungere la tecnologia e superarla suggerendo nuovi spettacolari sviluppi che hanno trasformato il nostro mondo e la nostra società in quello che è. Oggi, analogamente ad allora, sappiamo costruire macchine intelligenti senza conoscere i principi su cui il loro funzionamento è basato. In sostanza ci serve la termodinamica dell’apprendimento automatico.
La natura pre-scientifica della prima rivoluzione industriale ha avuto conseguenze peculiari. Essa ha aumentato significativamente il Pil complessivo ma ha anche dimezzato quello generato per unità di energia. Per esempio, prima della rivoluzione industriale il Regno Unito produceva l'equivalente di venti centesimi di dollaro per ogni kWh utilizzato che in piena rivoluzione erano scesi a dieci. Le cause principali di quel crollo sono state una tecnologia non ottimizzata dalla scienza, la sua vertiginosa velocità di crescita e la lentezza nella costruzione di infrastrutture.
L’IA seguirà un destino simile? Certamente è destinata a generare una crescita economica senza precedenti, fino a cinque volte quella che il mondo occidentale ha vissuto nel Dopoguerra. Questo la rende inarrestabile perché possiamo proibirla ma poi, fiorendo altrove, a noi resterebbe solo la scelta tra diventare colonia o terzo mondo. Più difficile è stimare il Pil prodotto per unità di energia nel futuro. Se dovesse seguire una traiettoria simile alla prima rivoluzione le conseguenze arriverebbero a catena. La domanda di energia aumenterebbe pericolosamente e renderebbe impossibili gli sforzi per combattere il cambiamento climatico attraverso la tecnologia verde che ha costi elevati. Il passo successivo sarebbe la perdita di controllo sul prezzo dell’energia e la pressione a bruciare di tutto pur di produrla, l’incubo di ogni governo e persona sana.
Questi rischi sono proprio inevitabili? Qual è la strategia migliore per mitigarli? Per ora non abbiamo una ricetta ma solo buoni ingredienti. In primis, dobbiamo trasformare questa tecnologia in scienza e per farlo serve fare ricerca con investimenti massicci e sforzi globali in sviluppo.
L’Europa ha scarse possibilità di colmare il divario tecnologico col resto del mondo, ma è il candidato migliore per guidare lo sforzo scientifico necessario a reinventare una sua tecnologia IA che sia tanto a misura d’uomo quanto di pianeta
Sappiamo che l’Europa ha scarse possibilità di colmare il divario tecnologico col resto del mondo, ma è il candidato migliore, con il più alto capitale di cultura e competenza del mondo, per guidare lo sforzo scientifico necessario a reinventare una sua tecnologia IA che sia tanto a misura d’uomo quanto di pianeta. Per coordinare gli sforzi il nostro continente si deve dotare di un Centro europeo di ricerca sull’Intelligenza artificiale, che avrebbe il pregio di avere costi modesti rispetto ai vantaggi che porterebbe quali le collaborazioni tra università, centri di ricerca, start-up, industrie e l’intera società.
Per concludere, non c’è considerazione più illuminante di quella che si trova nel documento della Consulta scientifica del cortile dei gentili: il concatenarsi di singole azioni fatte in buona fede, razionali e moralmente accettabili può talvolta condurre a risultati che nel loro insieme risultano dannosi. È stato così con gli effetti dell’inquinamento e del cambiamento climatico indotti dalla prima rivoluzione industriale. Dovremmo imparare dai nostri errori, trarne un insegnamento prezioso e agire di conseguenza con la rivoluzione in corso costruendo insieme le regole giuste, quelle alte, senza imporre vincoli che imbrigliano le azioni concrete e la crescita e diventano inutili nel poco tempo che impiega la tecnologia a diventare obsoleta.
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