I venti di crisi non sono finiti e le banche sono ancora al centro dell’attenzione, in una situazione veramente paradossale. Accusate prima di aver dato credito troppo facile, adesso, di non darne abbastanza. Prendiamo le banche italiane. Tutti hanno riconosciuto che la loro prudenza, coniugata con un sistema di vigilanza più efficace, ha contribuito ad attenuare le conseguenze dello tsunami di oltreoceano, ma nel passato avevano ricevuto non poche pressioni: qualcuno ha dimenticato gli articoli di giornale di qualche anno fa quando l’accusa era di eccessiva diffidenza per i mutui a chi aveva un lavoro precario e offriva poche garanzie, diffidenza successivamente rivelatasi provvidenziale. Negli Stati Uniti, come ha efficacemente riassunto in un intervista un proprietario di casa, succedeva in quel periodo l’esatto contrario: “all’epoca bastava essere vivo per avere un mutuo e forse te lo davano anche se eri morto”.
Ora, però, c’è un problema di difficilissima soluzione: la finanza, verso chi ha bisogno di una casa come chi gestisce un’impresa, soprattutto di piccole dimensioni, è il motore essenziale senza il quale la ripresa delle economie mondiali è destinata a slittare nella notte dei tempi; i rubinetti non possono restare chiusi, ma, paradossalmente, se esce troppa acqua il rischio è un allagamento in cui tutti, in primo luogo chi l’acqua la fornisce, annegano.
In sostanza, esiste oggettivamente il bisogno di consentire un diffuso ed equilibrato accesso al credito come presupposto non solo dello sviluppo, ma in questo momento della sopravvivenza del nostro apparto produttivo, e le banche se ne devono far carico. In un contesto così critico devono svolgere il loro mestiere di selezione e di valutazione del credito con lungimiranza, anche guardando un po’ oltre l’orizzonte e con qualche rischio in più. Ma far passare l’idea, come una vulgata demagogica oggi imperante vorrebbe, che esista una sorta di diritto a ricevere i soldi rappresenta una virus letale per l’economia e il mercato. Perché significa, e qui l’esperienza passata qualcosa ci dovrebbe insegnare, riportare l’orologio all’indietro, quando i rapporti di finanziamento tra banche e imprese erano spesso inquinati dalla politica.
È giusto che quando gli stati intervengono, così come si fa con i Tremonti Bond, si preoccupino oltre che dei bisogni di ricapitalizzazione della banche anche di ripristinare i flussi di finanziamento al sistema produttivo, ma se questo significa condizionare le scelte strategiche nell’allocazione del credito e ridurre l’autonomia delle banche nel fare il loro mestiere, si corre il pericolo di una surrettizia “ripubblicizzazione” sotto altre spoglie del sistema creditizio che non fa bene a nessuno.
Lo stato deve piuttosto impegnarsi sul terreno di una regolamentazione che garantisca sempre maggiore trasparenza, comparabilità dei prodotti, adeguata concorrenza e un sistema di tutele efficace, e anche le banche sfruttando gli spazi dell’autodisciplina possono raggiungere su questo terreno risultati importanti.
La settimana scorsa Obama ha presentato il piano di riforma della regolamentazione dei mercati finanziari che si chiama A New Foundation: fra le tante proposte forse la più innovativa è quella di creare una nuova agenzia per la protezione dei consumatori Consumer Financial Protection Agency, con ampi poteri di intervento. Naturalmente bisogna tener conto del particolare contesto statunitense, dove le maglie sono state finora non troppo larghe, ma del tutto sfilacciate. Da noi oggettivamente esistono livelli di tutela più elevati, che però non hanno impedito nel passato alcuni dolorosissimi salassi per le tasche dei cittadini. Muoversi su questo fronte è importante: ad esempio un recente documento di consultazione della Banca d’Italia sulla trasparenza e correttezza nell’offerta dei servizi bancari e finanziari nei confronti della clientela al dettaglio e delle piccole imprese, indica alcune iniziative, come la semplificazione delle informazioni o l’offerta di prodotti di base facilmente comprensibili, utili per ricostituire quel tessuto di fiducia e collaborazione con le banche, necessario per la ripresa. Forse sono queste strade che si prestano meno a battaglie politiche, destinate a finire rapidamente sulle pagine dei giornali, per distinguere tra chi è buono e chi è cattivo, ma a tutti noi servono molto di più.
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