Percorrendo le valli cuneesi con il suo magnetofono, negli anni Settanta Nuto Revelli raccoglieva le storie del «mondo dei vinti», di montanari e contadini spinti a lasciare i propri boschi e i propri modelli di vita per cercare condizioni migliori nelle fabbriche cittadine. Tuttavia, l'abbandono delle terre alte non è stato soltanto un processo di migrazione da territori ostili e inospitali, bensì anche un profondo sradicamento di comunità locali e modalità esistenziali, in nome delle logiche «cittadine» dell'industrializzazione del lavoro e della globalizzazione degli stili di vita.
Quarant'anni dopo, Maurizio Dematteis, con il suo volume Via dalla città. La rivincita della montagna (DeriveApprodi, 2017), attraversa le montagne piemontesi per raccontare le storie di coloro che hanno lasciato le città per cercare in montagna uno spazio in cui realizzare progetti di vita e di lavoro innovativi e alternativi. La fine della chimera di una crescita costante, la precarietà del lavoro soprattutto giovanile, la crisi economica e la disillusione culturale e sociale hanno spinto «alcuni pionieri» della cosiddetta «generazione perduta» dei nostri trenta-quarantenni a intraprendere a ritroso la via che aveva portato i padri e i nonni all'abbandono delle terre alte. Fenomeno ancora demograficamente circoscritto ma di grande interesse, il ritorno alla montagna ha il doppio effetto di aprire nuovi spazi di vita e di lavoro da un lato e, dall'altro, di ridare linfa a territori che sembravano ormai destinati per sempre alla marginalità.
Dematteis raggruppa le storie secondo le città – Torino, Milano, Genova, il triangolo industriale del miracolo economico italiano – da dove decine di persone sono migrate per stabilirsi nelle valli alpine. Comune denominatore di tali storie è il fatto che i nuovi montanari non perseguono una nostalgica «vita nei boschi» che rifiuta la modernità, bensì cercano uno sviluppo esistenziale e imprenditoriale, spesso alternativo ai modelli tradizionali, improntato alla valorizzazione delle risorse locali, alla green economy, all'ecosostenibilità, all'equilibrio con l'ambiente, alla creatività. Dall'agricoltura all'allevamento, dal settore alimentare a quello turistico e culturale, le nuove iniziative dei neo-montanari, o dei «ritornanti», sono laboratori di innovazione per sperimentare professioni che tengano conto delle specificità territoriali, senza cedere alle logiche livellatrici del profitto.
Mentre anche il turismo di massa, che ha portato in montagna i meccanismi della città costruendo caroselli sciistici, strade e seconde case, inizia a mostrare la corda, Dematteis narra come intorno alle nuove aziende dei suoi «eroi» talora rinascano borghi e case, i campi vengano nuovamente coltivati, i boschi finalmente curati, compaiano visitatori in cerca di svaghi non stereotipati. Ovviamente le scelte dei nuovi montanari sono irte di difficoltà e non sempre risultano vincenti; tuttavia in molti casi portano all'invenzione di relazioni sociali e professionali volte al miglioramento della qualità della vita, alla felicità – per usare un concetto non economico – puntando su forme di comunità e cooperazione che danno nuova vita alla montagna.
I ritratti disegnati da Dematteis con intelligenza narrativa illustrano questo interessante fenomeno che, nonostante i diversi ambiti di azione – che vanno dall'agricoltura al turismo, dalla produzione alimentare all'allevamento, dall'ospitalità ai servizi – ha un comune effetto: creare un'economia di montagna in cui la realizzazione di prospettive individuali, familiari e professionali porta alla costruzione di un «mondo nuovo» facendo rinascere la vita delle terre alte, invertendo le dinamiche di spopolamento e trovando in esse quel futuro che la crisi, o la «città», aveva loro sottratto. I segni di dinamiche analoghe a quelle raccontate da Dematteis per le valli delle Alpi occidentali iniziano a manifestarsi anche in altre zone di montagna, tanto che la stessa rivista del Cai, «Montagne360», dedica un lungo servizio ai «ritornanti» nell'Appennino tosco-emiliano, che inventano modelli di lavoro e di vita basati sull'idea della cooperativa di comunità, facendo rivivere in chiave moderna antiche forme di mutualismo e ripopolando la montagna dopo decenni di abbandono (cfr. Il valore rigenerato. Economia di montagna e cooperativa di comunità, «Montagne360», settembre 2017).
Se tali fenomeni siano «una delle tendenze socio-economiche più caratteristiche della post-modernità» (p. 22), come sostengono alcuni osservatori, è una questione aperta; di certo si tratta di esperimenti di grande interesse perché aprono possibilità di vita individuale post-moderne in terre con tradizioni millenarie.
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