Istruire e educare: due verbi di cui si sente tanto parlare e che spesso vengono concepiti come funzioni scisse l’una dall’altra. Ma è davvero così?

In Università generativa (Il Mulino, 2024) – ultimo saggio di Andrea Prencipe, professore ordinario di Organizzazione e innovazione, già rettore dell’Università Luiss Guido Carli – si evidenzia come non si possa separare l’educazione dall’istruzione perché, così facendo, il rischio è un disastro educativo nel quale si pensa che basti qualche regola per formare i giovani. Il divorzio tra istruzione e educazione è uno dei mali peggiori dell’università, frutto del luogo comune secondo cui esisterebbe un’istruzione neutra. 

Insegnare è una branca della drammaturgia. È l’essere del professore che genera la conoscenza, perché apre la via al desiderio dello studente, che scorge nel docente una vita più viva e libera grazie alla cultura e al lavoro ben fatto, e la vuole anche per sé. Le nozioni più raffinate da sole non rendono umani, tutto dipende da come i professori si relazionano tra loro e con i ragazzi, perché, prima delle nozioni, sono le relazioni a essere generative dell’io e del sapere. Quali professori siamo tornati a ringraziare e per che cosa? Per la lezione sulle leggi della termodinamica e su Omero, o per come vivevano e offrivano la termodinamica e Omero proprio a noi?

Nel suo saggio, Prencipe promuove la partecipazione attiva dei giovani al sistema accademico, e incoraggia un atteggiamento positivo verso l’apprendimento, soffermandosi sulla necessità di imparare a imparare e a disimparare (cfr. Conclusioni), per impadronirsi della capacità di imparare qualcosa di nuovo in modo rapido, profondo e duraturo, e per favorire un processo di comprensione e approfondimento su sé stessi (educability), auspicando che esso possa essere applicato anche fuori dalle mura universitarie, quindi più in generale nei confronti della vita (engagement). 

Per Prencipe l’università generativa (si veda in particolare il capitolo VI) è un’istituzione che “parte da regole semplici e da un ascolto aperto”, che “crea e diffonde conoscenza, innovazione e impatto positivo”, anche per fare comprendere ai giovani che le regole non sono una fregatura ma limiti entro i quali la creatività non si disperde, come i versi per un poeta, la scala per un musicista, il marmo per uno scultore. È il dialogo con la realtà, l’umiltà di fronte al limite e l’obbedienza alle cose che permette all’immaginazione di vedervi infinite possibilità.

Dopo avere tracciato un’idea di futuro per l’università (cfr. Introduzione), e dopo aver applicato con lungimiranza la teoria della grammatica generativa di Noam Chomsky al contesto accademico, passando attraverso le relative sfide e opportunità (cap. I), le dinamiche demografiche (cap. II), la globalizzazione, la ricerca e l’innovazione (capp. III e IV), fino ad arrivare all’era dell’apprendimento digitale (cap. V), l’autore si interroga su quale sia la missione dell’università oggi, e individua almeno tre possibilità (cfr. capp. VI, VIII e IX). 

1. Interdisciplinarità, intesa come visione trasversale e collaborativa del sapere. È imprescindibile una preparazione che metta in comunicazione area umanistica, scientifica, economica e tecnologica. La formazione professionale diventa una giungla se non è frutto di un progetto coerente con le necessità del lavoro e del territorio. Oggi pensiamo a una persona in formazione come a una macchina su cui installare software sempre più aggiornati e veloci; invece, siamo più simili alle piante che con la loro energia intrinseca e specifica realizzano, senza fretta né ritardi, la bellezza a cui sono chiamate. E non lo fanno in competizione (competenza e competizione hanno la stessa radice e avranno quindi gli stessi frutti: tutti lottano per emergere ma sappiamo che ci riusciranno i già avvantaggiati), ma in collaborazione (lavorare insieme: ciascuno emerge per la sua unicità che lo rende necessario agli altri, di cui a sua volta ha bisogno). Finché l’università non avrà questa intelligenza, userà solo la lingua dell’utile e dell’efficienza (rendimento, crediti, competenze...) e non anche della vita (crescita, maturazione, cooperazione, vocazione...); i suoi “virgulti” spesso appassiranno prima della “maturità” invece di diventare belli come le magnolie che, persino nell’asfalto trafficato e inquinato, spingono a fermarsi, a respirare e a chiedersi perché e per chi siamo qui.

2. Internazionalizzazione, pensata come educazione alla diversità. Durante gli anni universitari i giovani elaborano la loro presa di posizione di fronte al mondo, possibile solo grazie alla scoperta, alla conoscenza e all'accettazione della propria unicità. Per essere originali bisogna essere originari, questo vuol dire che nel periodo di formazione è fondamentale che gli educatori per primi siano consapevoli della propria unicità. 

La crescente e ossessiva burocratizzazione del lavoro didattico distrae quasi quotidianamente il docente dai suoi compiti scientifici e didattici: per chi ama questo lavoro si tratta di vera e propria tortura

La crescente e ossessiva burocratizzazione del lavoro didattico distrae quasi quotidianamente il docente dai suoi compiti scientifici e didattici: per chi ama questo lavoro si tratta di vera e propria tortura della quale si fatica peraltro a cogliere i vantaggi. Mancano, specialmente negli atenei più grandi, momenti di “comunione” e “riflessione” comune: ognuno per conto proprio, altro che direzione verso un’unica meta (uni-versitas). D’altra parte, l’eccesso di offerta didattica fa mancare spazi e tempi per attività extracurricolari nelle quali il docente poteva (forse anni fa?) avvicinare gli studenti più motivati e appassionati. I discorsi sul rispetto delle diversità restano slogan, se nei fatti l’università trascura le differenze, perché non cura l’unicità. 

3. Innovazione, concepita come umanizzazione. L’università del futuro non richiederà di seguire percorsi, ma di generarli. E, davanti alla rivoluzione della cosiddetta intelligenza artificiale, la sfida per gli studenti e docenti sarà tenere le porte spalancate all’arte e all’umano. Vediamo un esempio. 

Recentemente, nell’ambito di un esperimento giuridico condotto negli Stati Uniti e in Italia, ChatGpt – potente macchina dati di Microsoft – è stata sottoposta all’esame di Procedura penale (materia fondamentale prevista nei corsi di laurea in Giurisprudenza), ma la chatbot non avrebbe raggiunto la sufficienza, perché non ancora adeguatamente addestrata in questa disciplina. Capace di sfornare in due secondi una verifica su Machiavelli in dieci domande, di riassumere un testo in quante parole voglio, questo formidabile strumento di sintesi dati non è però in grado di creare. Questa è la sua potenza, è una memoria straordinaria, e il suo limite, non è un’intelligenza, che è capacità creativa e non solo archivio da poter assemblare. L’atto creativo non è assemblaggio di mattoni “dati”, ma un loro aumento grazie a due potenze che unite fanno nuova vita e vita nuova: libertà e ispirazione. Come?

ChatGpt e simili realizzano in pochi istanti qualcosa “come” l’abbiamo già fatta in passato, straordinari e velocissimi imitatori inventano nei limiti dei “dati” conservati. Potranno scrivere una canzone come Yesterday e, verosimilmente, presto saranno anche in grado di superare dignitosamente l’esame di Procedura penale come uno studente modello: come, ma non di più. Immagazzinano materia, non la creano, per quello ci vuole energia umana. 

Che ne sarà degli esami universitari ora che i ragazzi potranno chiedere a una di queste macchine la soluzione ai quesiti... Questi esami diverranno superflui? No, soltanto se trasfiguriamo la sostituzione in un’occasione per potenziare il “compito” specificamente umano: creare. 

La Macchina dati rimpiazza uno studente generico ma non potrà mai sostituire me: la mia intelligenza (energia, recettiva e creativa) delle cose è unica

La Macchina dati rimpiazza uno studente generico ma non potrà mai sostituire me. Bisognerà chiedere all’alunna Bruna Capparelli di allenarsi nei fondamentali della logica (analisi e sintesi), attingendo a una materia che ChatGpt non avrà mai, la mia esperienza inedita del mondo, il mio esserci in modo irripetibile, oggi: la mia intelligenza (energia recettiva e creativa) delle cose è unica. L’esame e la scrittura diverranno così un test di impareggiabilità, il racconto di una relazione, perché l’atto creativo tipicamente umano è la risposta alle chiamate che il mondo fa solo a me. 

La Macchina dati ci obbligherà a dare ai giovani “compiti” propriamente “umani”. Pensare è atto creativo per eccellenza, il compito specifico dell’umano, se lo intendiamo come rapporto recettivo e creativo con il mondo, che ci offre la matassa della realtà da trasformare in filo: il filo logico del discorso umano che va da un “ti penso” all’esame di Procedura penale. Gli esami non potranno più essere esercizi separati dall’incontro con la vita da “filare”. Non sarà più solo la Procedura penale risaputa da tutti, ma la Procedura penale che solo io posso sapere (che non significa da me inventata ma da me incontrata). 

ChatGpt ha confessato che non può scrivere un saggio giuridico ben articolato, un “automa” agisce “automaticamente” ma non “autonomamente” (libero e creatore), e ha rimandato gli sperimentatori alla responsabilità di farlo con dei consigli (risaputi). La chatbot mi riconosce quello in cui non sono sostituibile e che fa crescere me e il mondo: creare (crescere e creare hanno la stessa radice). Far crescere i giovani è chiedere loro di porre il nuovo nel mondo dopo esser stato dal mondo fecondati. 

In definitiva, in una società tempestata da informazioni irrilevanti, la censura non opera bloccando il flusso di informazioni, ma inondando le persone di disinformazione e distrazioni. Università generativa si fa largo in queste acque torbide e affronta con lucidità alcune delle questioni più urgenti dell’agenda universitaria contemporanea, offrendo chiarezza e innumerevoli spunti di riflessione e approfondimento.