Ismael ha 19 anni, quando arriva una sera di maggio al rifugio Fraternità Massi di Oulx, in Val di Susa, si siede al tavolo e chiacchiera con i volontari. Quanti anni hai? 19. Ismael ha 16 anni, quando si ferma a parlare con l’assistente legale, tira fuori i documenti, mostra un certificato della questura, gli anni segnati all’arrivo in Italia: 16. Ismael ha 18 anni, o forse più, quando alla frontiera di Montgenèvre, la Paf, la polizia di frontiera francese, lo rimanda indietro, in Italia. Non hai 16 anni, ma almeno 18. Non hai diritto di rimanere in Francia.

Ismael ha 16 anni, di nuovo, quando ritorna al rifugio di Oulx, la notte stessa. Sui documenti, però, adesso c’è scritto: 18 anni. Me l’hanno cambiata alla frontiera, dice. Hanno detto che non sembro un sedicenne, che sono troppo alto.

Un segno di penna e qualcosa impalpabile ma determinante come gli anni che cambiano, la possibilità di passare o meno, di essere accolti o meno – le leggi europee vietano il respingimento dei minori, a qualsiasi frontiera.

«Confine» è un concetto mobile. È una parola dinamica: nella sua accezione più ampia, è una linea che divide, di larghezza nominalmente zero. «Confine» può indicare un muro e un punto di esclusione, una via di difesa o un punto di incontro e di mescolanza. Non è solo la parola stessa che cambia nel tempo. Un confine, nel senso di una linea tracciata tra due stati, si sposta in seguito ad accordi politici, guerre o conquiste.

Come può sfuggire a questa legge della frontiera un limite che già è di per sé sfumato, indefinito e diversificato come quello della maggiore età? Il tempo è componente essenziale del confine, strumento della sua costruzione e del tentativo di controllo delle persone migranti. L’accertamento dell’età diviene così uno dei mezzi di questa gestione e di questo controllo.

Il confine italo-francese sulle Alpi è epitome di questa condizione di indefinizione, segnato com’è sul terreno da poche pietre ai passi principali. Non è ancora stabilito con precisione nemmeno dal punto di vista politico: identificato nel 1860, modificato dopo la Seconda guerra mondiale, a tutt’oggi le due nazioni si contendono la cima del Monte Bianco. Ma non solo questo confine fisico è indefinito: è in movimento. Posto, per legge, lungo lo spartiacque alpino, con il progressivo scioglimento, negli ultimi anni, dei grandi ghiacciai, si sta spostando – o meglio, si sta, letteralmente, sciogliendo.

Il Rifugio Fraternità Massi di Oulx, Piemonte, a pochi chilometri dalla frontiera italo-francese, è dal 2018 l’unico centro riconosciuto sul versante italiano a dare assistenza a chi transita. È gestito da un gruppo di associazioni e volontari che garantiscono un tetto, un letto, cibo, assistenza sanitaria e legale. Dalla sua apertura, sono passate da quelle stanze circa 25 mila persone. La mobilità, parola chiave del confine, che sia negata o accentuata, si riflette anche sulla sua demografia, che varia a seconda dei periodi e delle rotte: cambia chi arriva e da dove arriva, le età, la configurazione delle famiglie. Rimane stabile, però, il numero di minori non accompagnati che vi sostano: il 10% del totale, per il 95% adolescenti fra i 15 e i 18 anni, numero che riflette quello dei primi arrivi sul territorio italiano. Innanzitutto, una definizione: in base al regolamento del Comitato per i minori stranieri (Dpcm n. 535/99) è «minore straniero non accompagnato presente nel territorio dello Stato (Msna)» un soggetto di meno di 18 anni non avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione europea che si trova in Italia privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili.

Le espulsioni dei minori verso l’Italia al confine italo-francese non sono casi isolati, e seguono quasi tutte uno stesso copione

La legge italiana sui Msna, la cosiddetta «Legge Zampa» n. 47 del 2017, è teoricamente una delle più avanzate in Europa, in cui il concetto di «miglior interesse del minore» è messo al centro. In accordo con la legislazione, infatti, i Msna, anche senza fare richiesta d’asilo, non possono essere rimpatriati forzatamente nel Paese di origine, e non possono essere trattenuti nei centri di detenzione mentre aspettano una decisione sul loro status giuridico. Possono, dunque, rimanere sul suolo italiano esclusivamente in virtù della loro età, con pieno accesso ai servizi sanitari, educativi e di lavoro, parimenti a qualsiasi minore italiano. Inoltre, al passaggio dei 18 anni, viene loro accordato un permesso di soggiorno per studio, lavoro o ricerca dello stesso. Una legge buona, dunque, seppur perfettibile, che garantisce davvero «il miglior interesse del minore»? Potrebbe esserlo, se i minori non fossero costretti a passare per centri di accoglienza sovraffollati e inadeguati, che non incontrano le necessità e le aspettative, detenuti negli hotspot per mesi, mancanti di informazioni sui propri diritti e di percorsi: succede così che negli ultimi anni il numero di minori che lascia le strutture di accoglienza e scompare dai radar dello Stato si è più che triplicato. O spesso nemmeno ci sono mai entrati, nei tracciati statali: la necessità di lavorare subito per pagarsi il viaggio o mandare soldi alla famiglia, la volontà di non fermarsi in Italia, portano a non voler rientrare in nessun percorso predefinito, sotto scacco della scelta fra poter godere dei diritti che derivano dalla minore età – ma costretti a sottostare a una vita non scelta – oppure doverli barattare per una maggiore libertà ma senza protezione alcuna.

L’età viene creata alla frontiera, in arrivo in Italia o in uscita verso la Francia o altrove. Dividendo chi è minore, con diritto all’accoglienza, dagli adulti, che possono essere respinti

C’è un altro punto da sottolineare poi: la definizione dell’età. La maggioranza di chi arriva su suolo italiano non possiede documenti, persi durante il percorso o magari mai nemmeno avuti. Nel 2013, l’Unicef stimava che 230 milioni di bambini non esistevano ufficialmente: senza certificato di nascita, irregolari nel loro proprio Paese – causa: l’alto costo della produzione degli stessi. L’età viene dunque creata alla frontiera, in arrivo in Italia o in uscita verso la Francia o altrove. Dividendo chi è minore, con diritto all’accoglienza, dagli adulti, che possono essere respinti, si crea una nuova popolazione umanitaria, come descritto da Sandrine Musso (Waiting and Temporalities of irregular migration, Routledge, 2020) – più vulnerabile, più protetta, e allo stesso tempo più controllata e più costretta all’onere della prova: devono dimostrarlo, di essere minori, sottoporsi a indagini psicologiche, legali, fisiche, come l’accertamento dell’età ossea o dello sviluppo puberale, e, soprattutto, raccontare una storia convincente. Se l’età è una «istituzione senza pareti», e non esiste un’età sola, definibile, ma un «oceano di età», cronologica, legale, o sociale, al confine si può avere 16 anni come 19, 15 come 18. A maggior ragione in quella fase, liminale già di per sé, che è l'adolescenza. In mezzo a due età, in mezzo a due Paesi, in mezzo a due vite diverse. In transizione – da un periodo all’altro della vita, da uno Stato all'altro, da una definizione giuridica a un’altra – sono ancora di più forme di vita indecise e fluttuanti, come li ha definiti Didier Fassin nelle sue lezioni al Collège de France. Possono loro stessi non pensarsi come minori: se per alcuni autori il viaggio stesso della migrazione rappresenta una sorta di rito di passaggio, lo è ancora di più quando ci si cresce dentro, in questo passaggio. Partiti da bambini, soli, a volte ammantati della responsabilità di sostenere la famiglia, a volte scappati dalla famiglia stessa, diventano autori della propria storia, artefici della propria partenza e di ciò che accade in seguito: l’infanzia finisce lì. A prima vista non immediatamente identificabili come minori, per via delle caratteristiche fisiche – ennesimo esempio della persona migrante ridotta a sola corporeità: troppo alti, troppo sviluppati, troppo grandi. Alla frontiera, momento di passaggio insieme rapido e lunghissimo, basta uno sguardo arbitrario per essere classificati come adulti, per sentirsi dire: non hai 16 anni, ne hai almeno 18. Le espulsioni dei minori verso l’Italia al confine italo-francese non sono casi isolati, e seguono quasi tutte uno stesso copione: sul documento di rifiuto di entrata la data di nascita segnata è diversa da quella riferita dal minore. La polizia italiana ha il dovere e il diritto di non accettare il rifiuto di ingresso, se prodotto per minorenni: ma è l'architettura stessa della frontiera a permettere l’operato della Paf. Mentre a Ventimiglia gli uffici della Paf e della Polizia Italiana sono posti uno di fronte all'altro, e quindi le pratiche per i respingimenti avvengono con la consegna del minore all'ufficio della Polizia italiana, a Claviere non esiste un vero e proprio ufficio di frontiera italiano, almeno non in vista diretta dal lato francese. Ogni operazione si svolge per strada, e la strada stessa diventa un luogo di diritto, aumentando l'opacità dell’azione.

Intrappolati dunque nello spazio fisico del confine, ma anche nel tempo, impossibilitati a diventare adulti per gli Stati, in una sorta di limbo, aspettando per un futuro distante: il controllo dei confini diventa controllo delle vite, tempo rubato a un’esistenza ancora da compiere.