«Una città strutturalmente iniqua», così Eric Semerdjian, esperto in sviluppo economico, ha definito Marsiglia. Qui «il 10% delle famiglie più ricche guadagna oltre 15 volte più di quelle più povere», scrisse nel 2019 l'economista Philippe Langevin. Il 25% della popolazione di Marsiglia (in media sull’intera città, che ha un’estensione doppia rispetto a quella di Parigi e una popolazione di circa 1,6 milioni di persone) vive sotto la soglia di povertà: il dato, già enorme, si scontra con quello di alcuni dei suoi arrondissements dove questo dato sale fino al 50 o al 60%. I «Quartieri Nord» ospitano circa un terzo della popolazione della città e le maggiori disuguaglianze: qui si trova Saint Barthélemy, cinque chilometri dal centro, tra il XIII e il XIV arrondissement.
Una rotonda, un’autostrada urbana da un lato, una nazionale, dall’altro. Un McDonald’s, come tanti, in una posizione di passaggio di veicoli in mezzo a delle cités, gli abitati tipici delle banlieues francesi. I soli negozi che ho incontrato, arrivando, sono un ristorante kebab e una farmacia. Non solo non ci sono bar o ristoranti, non c’è neanche una piazza.
I colori sono cambiati, l’insegna trasformata. Spariti il verde, il rosso e il giallo: tutto è lilla, azzurro e rosa. L’insegna ha mantenuto la «M»: «L’Après M» (letteralmente il «dopo M», gioco di parole tra «dopo McDonald’s» e acronimo di «Associazione di prefigurazione per uno stabilimento economico e sociale») è il nome che porta oggi il McDonald’s di Saint Barthélemy. Il ristorante è stato chiuso nel dicembre 2019 in seguito a una liquidazione giudiziaria voluta dalla direzione: 77 dipendenti sono stati licenziati, tranne uno, Kamel Guemari, che è tra i fondatori del progetto e garante del posto. Il McDonald’s di Saint Barthélemy è stato «requisito» da un gruppo composto da volontari, collettivi, attivisti e dal Sindacato dei quartieri popolari di Marsiglia (Sqpm).
«Più che di requisizione bisognerebbe parlare di riappropriazione», dice Julien [nome di fantasia, N.d.R.], perché «lo spazio su cui sorge il ristorante è sempre stato usato dalla popolazione». Prima c’era una stazione di servizio: già allora, era la zona dove «gli anziani si trovavano per bere il caffè». Dall’apertura del fast-food, il mercoledì pomeriggio c’erano i bambini: «Non ci sono aree giochi qui e le famiglie venivano con i figli anche per fare i compiti; le mamme compravano una bottiglia d’acqua per poter usare i tavoli».
E soprattutto – e ciò ne spiega la peculiarità – questo McDonald’s è una zona di lotta sindacale praticamente sin dall’apertura, all’inizio degli anni Novanta. «I lavoratori si sono organizzati velocemente per migliorare le loro condizioni. A tal punto che questo era uno dei McDonald’s con le migliori condizioni di lavoro in Europa: tredicesima, rivalorizzazione delle notti, complemento salute pagato al 95% dall’azienda… C’è stato un momento in cui l’azienda pagava il taxi ai dipendenti quando non c’erano i bus. Sono i frutti della lotta dei lavoratori», mi dice Julien mentre mi fa visitare la cucina, la cella frigorifera, gli spazi di stoccaggio: se non fosse per i manifesti di solidarietà e gli striscioni, il ristorante non sarebbe cambiato di una iota. Altra particolarità: questo McDonald’s era anche un luogo di reinserimento lavorativo per chi usciva di prigione: altra conquista dei lavoratori, «non una politica aziendale».
In Francia McDonald’s è presente con oltre 1.400 ristoranti e ha da poco festeggiato i 40 anni di presenza; vanta un fatturato di 6 miliardi di euro e ha un primato speciale: ha un tasso di rotazione della forza lavoro dell’88%, molto lontano dalla media nazionale del 13% (dati del 2017, rapporto dell’Ong React, Réseau pour l’action collective transnationale).
Al McDonald’s di Saint-Barthélemy la storia è diversa: «Qui sono state assunte persone del quartiere; se, solitamente, nella catena il turnover è altissimo, qui i lavoratori sono rimasti 5, 10 e anche 20 anni. Questo ha permesso loro di organizzarsi». E non si tratta di lavoratori che erano già politicizzati o sindacalizzati, ma di persone che si sono auto-formate, lavorando insieme. Le prime lotte sono state per il miglioramento delle condizioni di lavoro e la cosa ha fatto parlare, altri ristoranti li volevano imitare: «A un certo punto la lotta per migliorare le condizioni di lavoro è diventata per difendere il lavoro», continua Julien mentre prepara il caffè.
Avviata già all’inizio degli anni Duemila, la lotta è arrivata al suo culmine tra il 2017 e il 2018: «l’azienda voleva partire su altre basi e ha cercato di vendere il ristorante a una catena. Ma non ha funzionato. E alla fine è stato liquidato dal tribunale», continua. Per i lavoratori di Saint-Barthélemy la scelta aziendale di liberarsi di questo ristorante è una conseguenza della sindacalizzazione: Ralph Blindauer, avvocato dei lavoratori, parla di «spese ingiustificate e investimenti al ribasso».
La chiusura del ristorante, alla fine del 2019, ha preceduto di poco lo scoppio della crisi da Covid-19: «Tutti sono stati toccati dalla crisi sanitaria, solo che qui, nel XIV arrondissement, siamo in una zona dove la povertà è endemica, la disoccupazione è al 37%. Tanti lavoravano in settori precari, nei servizi, in interim o, semplicemente, in nero. E di punto in bianco hanno perso ogni reddito. Ci dicevano: "Non abbiamo paura di morire di Covid, ma di fame"».
Ogni lunedì, tra gli 850 e i 1.000 pacchi familiari vengono distribuiti attraverso il McDrive hackerato, come lo chiamano qui. E la cucina viene usata la domenica per preparare quasi 500 pasti che vengono distribuiti in tutta Marsiglia
Le associazioni «ufficiali» che si occupano di distribuzioni alimentari hanno chiuso completamente i primi 15 giorni di lockdown: all’inizio sono stati i collettivi e l’organizzazione informale a garantire una copertura minima; ma anche quando alcune strutture hanno potuto riaprire, la domanda era comunque troppo alta. Su questo vuoto si è inserito l’ex McDonald’s.
A Marsiglia, ma anche in Seine-Saint-Denis (dipartimento della banlieue parigina, tra i più poveri del Paese) è stata evocata un’«emergenza fame» durante il primo lockdown: decine di migliaia di persone che vivevano di lavori precari, in nero e nei servizi si sono ritrovate senza entrate, con l’aggravante delle scuole chiuse e, di conseguenza, dei pasti da preparare per i figli a casa. «Siamo arrivati a distribuire cibo a 50 quartieri di Marsiglia, oltre 40mila famiglie…», raccontano a Saint-Barthélemy.
Se la pressione è diminuita dopo la fine del primo lockdown, l’attività dell’Après M resta importante: ogni lunedì, tra gli 850 e i 1.000 pacchi familiari vengono distribuiti attraverso il McDrive hackerato, come lo chiamano qui. E la cucina viene usata la domenica per preparare quasi 500 pasti che vengono distribuiti in tutta Marsiglia.
«Sono arrivata come beneficiaria: ho perso il lavoro nel dicembre 2020, non sapevo come nutrire i miei figli», racconta Warda, che incontro durante la mia visita a L’Après M. «Ho sentito parlare di questo “McDo” in un’altra associazione dove ero andata a chiedere aiuto. Il tempo per trattare il mio dossier era di 15 giorni: io non li avevo. Mi hanno detto che a Saint-Barthélemy aiutavano subito». Warda vive con i figli nel XV arrondissement di Marsiglia: «Un lunedì mattina di gennaio alle 6 ho fatto la fila, come tutti. Qui non ti chiedono dei documenti per dimostrare che hai bisogno, non devi spiegare nulla. Sono rimasta senza parole per la quantità di persone, arrivano da tutta la città, anche dal centro. Ho preso il mio pacco e ho deciso di tornare per dare una mano», spiega.
Ci sono circa 40 associazioni che ruotano intorno al McDonald’s di Saint-Barthélemy: doni, ore di lavoro, organizzazione, la maggior parte di esse sono di stampo informale
L’Après M vorrebbe che McDonald’s cedesse per una cifra simbolica il locale all’associazione omonima o a una fondazione, che si farebbe garante del progetto. Lo scopo? Creare un fast-food sociale e solidale basato su una Scic (Società cooperativa di interesse collettivo) gestita dai lavoratori, dagli abitanti del quartiere, da chi vuole partecipare. Si mangerà bio, locale, a prezzi calmierati a seconda del reddito e, soprattutto, sarà un luogo di reinserzione sociale e formazione al mestiere della ristorazione per chi ha perso il lavoro, per chi esce di prigione, per chi non ha alternative.
La realtà – mentre scrivo – è che McDonald’s non risponde alle sollecitazioni. Allo stesso tempo, la struttura continua a fare quello che fa da un anno a questa parte – a cui si aggiungono atelier di giardinaggio con i bambini, di scrittura, pasti biologici e solidali – distribuire, preparare pasti ed essere abitata dal quartiere: la nuova amministrazione socialista di Marsiglia, seppur timidamente, ha manifestato simpatia per il progetto. Una raccolta fondi online è attiva: il denaro così raccolto viene usato per acquistare quel che non arriva attraverso le donazioni.
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