Uno dei problemi istituzionali maggiormente discussi alla vigilia delle elezioni per il Parlamento europeo di domenica consiste nel delicato tema delle soglie di sbarramento presenti nelle leggi elettorali nazionali. Una modalità di intervento legislativo che per la sua capacità di incidere sulla rappresentanza politica suscita da sempre accesi dibattiti tra i partiti e nella parte più avvertita dell’opinione pubblica. Recentemente, però, le cronache hanno registrato un salto di qualità nelle discussioni sulla scottante materia: due sentenze del BVG tedesco e la sollevazione da parte di due tribunali di questioni di costituzionalità davanti alla Corte costituzionale italiana. Ma vediamo da dove vegono i problemi.
Alla vigilia delle elezioni per il Parlamento europeo del 2009, la legge 20 febbraio 2009 n. 10, introdusse per la prima volta nel sistema elettorale italiano uno sbarramento del 4% per la partecipazione al riparto dei seggi.
La decisione suscitò notevoli polemiche fin da subito, soprattutto da parte delle forze politiche minori che, come è ovvio, vedevano ridotte di molto le loro possibilità di avere una rappresentanza parlamentare a Strasburgo. Si trattava di un cambiamento non da poco nella distribuzione della rappresentanza politica italiana. Infatti, se si analizzano i dati relativi ai risultati elettorali delle europee del 2004, cioè le ultime tenute senza sbarramento, si può notare come l’Italia fosse l’unico Paese che consentisse ad un partito nazionale (esclusa pertanto qualsiasi considerazione sulla doverosa protezione dei partiti locali espressione delle minoranze linguistiche) di accedere al Parlamento europeo con lo 0,7% dei voti; e garantisse una rappresentanza a ben 4 partiti il cui consenso non superava l’1,3% ciascuno, riuscendo infine a totalizzare ben 16 partiti presenti a Strasburgo con almeno un eletto.
Una frammentazione della rappresentanza resa fino a quel momento tollerabile dalla natura e dalle funzioni del Parlamento europeo, diverse rispetto a quelle del parlamento nazionale, soprattutto sul piano del rapporto con il potere esecutivo.
Tuttavia, già agli inizi degli anni 2000 il quadro politico e giuridico europeo aveva cominciato a cambiare. A questo proposito può essere utile ricordare una Decisione del Consiglio del 2002 tesa a imprimere una certa uniformità ad alcuni principi relativi ai sistemi elettorali nazionali per il Parlamento europeo (anche in vista dell’imminente allargamento del 2004), pur nel rispetto della competenza nazionale in materia elettorale sancita dai trattati. Questo atto prevedeva, tra l’altro, che la disciplina degli Stati membri fosse improntata ad un carattere proporzionale e che tale disciplina potesse fissare una soglia minima per l’attribuzione dei seggi, a patto però che non eccedesse il 5%. E infatti, negli anni successivi, molti Paesi rivisitarono le loro legislazioni nazionali nel punto relativo agli sbarramenti, taluni introducendo nuove soglie o adeguando quelle già esistenti, altri preferendo non introdurre soglie esplicite ma, in molti casi, facendo scattare la tagliola degli sbarramenti impliciti, talvolta particolarmente severi.
Il panorama che ne scaturì non poteva che essere particolarmente variegato. E infatti oggi, all’interno delle legislazioni con cui gli Stati-membri dell’Unione si apprestano a comporre il Parlamento europeo per la legislatura 2014-2019, troviamo una molteplicità di soluzioni.
Per capire la loro reale portata bisogna tenere conto del fatto che una valutazione sul grado di proporzionalità di una legge elettorale è possibile solo mettendo in correlazione gli sbarramenti espliciti con quelli impliciti. Così, se è vero che da una ricognizione generale si ricava che gli Stati che attualmente adottano una soglia legale di sbarramento sono leggermente meno rispetto a quelli che non la prevedono, è altrettanto vero che un’analisi completa non può prescindere dai fattori che determinano l’esistenza di soglie implicite.
Il livello di soglia legale generalmente adottato va dal 3% della Grecia, al 4% di Austria, Svezia e Italia, al 5% di Francia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. L’ultima entrata, la Croazia, che vota per la prima volta, ne ha prevista una pari al 5%.
Generalmente, laddove la soglia è contemplata, viene applicata a livello nazionale, tranne che in Francia dove lo barramento del 5% opera su base circoscrizionale.
Tutti questi dati, però, vanno messi in relazione con altri due parametri molto rilevanti, come il numero dei seggi da assegnare per ciascuno Stato e le dimensioni delle circoscrizioni. Così si può notare che alcuni Paesi particolarmente piccoli, come Cipro, Estonia, Lussemburgo, cui spetta un esiguo numero di seggi (6) che provvedono ad assegnare con un’unica circoscrizione nazionale, non prevedono alcuno sbarramento legale ma finiscono per imporre, per evidenti ragioni di carattere matematico, una soglia effettiva attorno al 10%.
Poi vi sono Paesi un po’ più grandi, come il Belgio, o molto più grandi, come il Regno Unito, che assegnando i seggi su base circoscrizionale finiscono per avere una soglia implicita tra l’8 e il 10%.
Tutto ciò dimostra che nelle leggi elettorali nazionali per Strasburgo il problema della lotta alla frammentazione della rappresentanza politica è avvertito da tempo e viene affrontato vuoi attraverso l’adozione di esplicite soglie legali, vuoi grazie alle caratteristiche intrinseche dei sistemi elettorali.
Come detto, in questo contesto è intervenuto per ben due volte il Tribunale Costituzionale Federale tedesco (BVG). Dapprima con una sentenza del novembre 2011 con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dello sbarramento del 5% previsto dalla legge elettorale tedesca (in armonia con la tradizionale Sperrklausel applicata da sempre per l’elezione del Bundestag), e successivamente con una pronuncia del febbraio 2014 con cui ha annullato la norma introdotta dal Parlamento che ridefiniva la soglia al 3%, in risposta appunto alla prima pronuncia del BVG. In entrambi i casi la motivazione fa perno sull’assenza in capo al Parlamento europeo di funzioni di indirizzo politico da condividere con il potere esecutivo. Una caratteristica che trasformerebbe qualsiasi soglia di sbarramento in un ingiustificato sacrificio per la rappresentanza, in aperto contrasto con i principi di uguaglianza del voto e pari opportunità delle forze politiche.
Sulla stessa linea si muovono le motivazioni che hanno recentemente portato i Tribunali di Venezia e Cagliari a sollevare due questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto la legge elettorale italiana per il Parlamento europeo. La discriminante logica è centrata sulla considerazione che il “parlamento europeo non ha il compito di eleggere o dare la fiducia ad alcun governo dell’Unione, al quale possa fornire stabilità di indirizzo politico e continuità di azione; né ha un ruolo determinante nella produzione legislativa”.
Tuttavia si potrebbe forse obiettare, sia al BVG che alle Corti italiane, che già da tempo il Parlamento europeo è stato investito di poteri e funzioni (per esempio, sul piano delle procedure legislative) che tendono ad avvicinarne il ruolo a quello classico ricoperto dai parlamenti nazionali. Ma soprattutto appare singolare che questa avversione giurisdizionale nei confronti delle soglie esplicite di sbarramento si manifesti proprio in prossimità di elezioni che segnano l’esordio di un istituto che si ripromette di incidere profondamente nella forma di governo dell’Unione europea: l’elezione del Presidente della Commissione da parte del Parlamento, come disposto dal Trattato di Lisbona. Mai come in questo momento sarebbe opportuno evitare forme di eccessiva parcellizzazione della rappresentanza per favorire, invece, la formazione o il consolidamento, a livello europeo, di “famiglie” politiche capaci di catalizzare al proprio interno, in modo più o meno omogeneo, le affinità ideali e le comuni visioni circa le prospettive dell’integrazione europea. Mentre queste pronunce sembrano andare in senso diametralmente opposto.
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