«Ho eseguito un ordine», dice un operatore del centro di accoglienza di Lampedusa, dopo che un filmato “clandestino” ha mostrato a noi e agli Europei che cosa nel nostro Paese si intenda per accoglienza, quando si tratta di migranti. Befehl ist Befehl, verrebbe da dire. E sbaglieremmo. Il riferimento diretto o indiretto all’obbedienza che nei Lager si prestava all’ordine di sterminare, è fuorviante, e alla fine banalizzante. Certo, a chi si giustifica d’un comportamento vergognoso appellandosi alla dipendenza gerarchica – e magari al timore d’essere privati del posto di lavoro –, a quello, dunque, ben si può rispondere che si è morali o immorali in proprio, mai in conto terzi, e mai in subordine alla convenienza economica.
Lo stesso valeva per gli aguzzini dei campi di sterminio, e per i loro burocrati. Ma in entrambi i casi, in quello lontano nel tempo e in quello vicino, il Befehl ist Befehl spiega ben poco. Se si parte dalla moralità di quanti negano libertà, dignità e vita a un essere umano, non c’è poi da stupirsi se si finisce per considerarli (grandi o piccoli) mostri, e per ipotizzare la categoria appunto morale di Male, se non di Male assoluto.
Non è il Male, all’opera nel filmato messo in onda dal Tg2. All’opera vi è piuttosto la conseguenza, una delle conseguenze di una macchina politica e sociale complessa. Al livello più immediato di tale macchina, “lavorano” i milioni di euro che alimentano il mercato dell’accoglienza. In questo mercato si fanno concorrenza società e cooperative per le quali ogni “accolto” è un’entrata. Quanti più esseri umani sono stipati in un centro, e quanto più basso è il loro costo, tanto più trionfa il principio sovrano della produttività e del profitto.
Se ci si illude che ci sia solo questo, dietro le immagini di uomini nudi sottoposti a docce “terapeutiche”, se ne conclude che basti imporre agli imprenditori dell’assistenza criteri logistici civili, per così dire. Ma in questo modo, ancora una volta, tutto viene banalizzato, immaginando che a offendere la libertà, la dignità e le vite delle vittime sia una categoria morale, per quanto ora di moralità economica.
Se si vuole comprendere qualcosa, nei fatti di Lampedusa, conviene partire da una domanda che non contenga già in sé la risposta. Perché uomini normali, come sono gli operatori del centro, non hanno remore a degradare altri uomini? Perché basta loro un ordine per fare cose che, in altre situazioni, troverebbero vergognose? Siamo così al livello meno evidente e più profondo della “macchina” politica e sociale che sta dietro quelle orribili docce. A questo proposito, si può ricordare il (non sempre) noto esperimento di Stanford. Sul finire degli anni Sessanta, lo psicologo sociale Philip Zimbardo organizzò una prigione simulata in cui le “guardie” (per lo più studenti) avrebbero dovuto controllare, senza alcuna violenza, un certo numero di “prigionieri” (anch’essi studenti). L’esperimento sarebbe dovuto durare quattordici giorni, ma dopo cinque Zimbardo fu costretto a terminarlo. Le guardie incrudelivano sui prigionieri con una ferocia paragonabile a quella delle SS. La conclusione fu – ed è – che non il Male induce a far male, ma la situazione in cui gli individui vengono messi. Nel caso di Stanford, in un luogo chiuso in cui c’erano ruoli di sovraordinazione e sottoordinazione, legittimati per il fatto d’essere al servizio della scienza. Nel caso dei Lager, in un luogo chiuso con la stessa divisione di ruolo, legittimata da un’altra causa, che l’immaginario diffuso considerava comunque una buona causa.
Lo stesso vale per i nostri centri d’accoglienza e per i Cie: sono luoghi chiusi in cui pochi controllano e organizzano e molti sono controllati e organizzati, senza nessuno cui possano rivolgersi per far riconoscere la proprio soggettività, né in senso umano né, tanto meno, in senso politico e giuridico. E il tutto è legittimato da un immaginario diffuso che da decenni degrada lo straniero migrante, considerandolo non un uomo ma, quando va bene, un problema tecnico da risolvere (da “eliminare”) con strumenti tecnici.
Siamo così alla responsabilità, e alla condanna che dovrebbe seguirne. Chi sono i responsabili primi della doccia lampedusana, se non quelli che hanno immaginato, progettato e realizzato quei luoghi chiusi, votando leggi a essi adeguate? E insieme, non è forse anche responsabile chi, politico o giornalista, ha diffuso e contribuito a diffondere l’immaginario di paura e odio che ci domina? Qualcuno, a destra, s’è distinto nella prima e nella seconda operazione. Qualcun altro, nel centrosinistra, ne ha subito passivamente e più d’una volta accettato norme e metodi. L’esito ci sta di fronte, nel filmato del Tg2. Nessuno li ha condannati, fino a ora, i responsabili primi. E c’è da temere che nessuno li condannerà. Al massimo, a pagare saranno gli esecutori più diretti, quelli che stanno più in basso nella catena di comando. Befehl ist Befehl significa anche questo: chi dà davvero l’ordine, finisce per cavarsela.
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