Preceduto da un’estenuante campagna mediatica, l’affaire “impresentabili” è infine scoppiato. I fatti sono noti: alla vigilia delle elezioni, la Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Rosy Bindi, ha reso pubblica una lista contenente i nomi di 16 candidati sprovvisti dei requisiti previsti dal Codice di autoregolamentazione predisposto mesi prima dalla stessa Commissione e sottoscritto volontariamente da tutti i partiti.Dei 16 nomi, 14 sono sconosciuti al grande pubblico; uno (Sandra Lonardo, moglie di Clemente Mastella) è noto a chi segue la politica con una certa attenzione; il restante è notissimo perché, fresco di primarie, è quello del candidato alla presidenza della giunta regionale della Campania. Come tutte le narrazioni di successo, anche la saga degli impresentabili non ha risparmiato colpi di scena, indignazioni, prese di posizione incrociate, doppi e tripli livelli di lettura e, perla davvero rara, una querela tra esponenti di primo piano dello stesso partito. Oltre a Vincenzo De Luca che conquista (almeno per ora, vista la Severino che gli pende sulla testa) il diritto a sedersi sullo scranno più alto della Regione Campania, solo altri due dei 16 malcapitati sono risultati eletti; non la Lonardo, malgrado abbia collezionato ben 10.000 preferenze.Al di là degli sviluppi politici e giudiziari che al momento si intravvedono soltanto, ma sui quali sono già stati versati fiumi di inchiostro, la vicenda merita di essere osservata anche da un’altra angolazione, quella in cui a convergere non sono mafia e politica, bensì antimafia e antipolitica. Partiamo dall’antimafia che da questa vicenda esce un po’ ammaccata. Principalmente a causa delle migliaia di morti che hanno segnato la storia recente del nostro Paese, per l’elevato tributo di sangue pagato dalle istituzioni nella lotta alla mafia e, non ultimo, per la costruzione mediatica che si registra intorno al fenomeno mafioso, inteso come male assoluto, prendersela con la più importante delle istituzioni politiche espressamente schierate nella lotta al crimine organizzato non è un’operazione politicamente lungimirante, soprattutto a sinistra. Al contrario, in una fase in cui le tradizionali fonti di legittimazione politica sono disseccate, l’antimafia può essere considerata un’importante risorsa politica. Perciò, per evitare di rimanere schiacciati tra l’incudine della critica allo strumento stesso del Codice di autoregolamentazione, e il martello dell’ammettere di avere in lista candidati che in lista non ci sarebbero dovuti essere, in molti hanno scelto di affrontare la questione degli impresentabili “buttandola in politica”. La levata di scudi si è, infatti, principalmente indirizzata verso la sola presidente della Commissione antimafia, esponente “irriducibile” della minoranza del Partito democratico, accusata di aver piegato l’istituzione che preside alla causa della lotta di fazione.
La principale scorrettezza della Bindi – sostengono alcuni suoi critici - consisterebbe nell’intempestività della pubblicazione della lista, divulgata il giorno che precede il silenzio elettorale. È tuttavia la stessa ratio del Codice di autoregolamentazione a prescrivere che – agli inizi o agli sgoccioli della campagna elettorale, non dovrebbe far gran differenza – i nomi dei candidati rinviati a giudizio o condannati in primo grado per una serie di reati siano fatti conoscere all’opinione pubblica. Il ragionamento sotteso è semplice: in questo modo, gli elettori sceglieranno più consapevolmente per chi votare. E qui entra in scena l’antipolitica. La pessima reputazione di cui gode la politica, l’idea ampiamente diffusa secondo la quale “tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera”, e la sempre più impalpabile differenza programmatica tra i principali partiti in campo accentuano la personalizzazione della politica, non intesa come leaderizzazione o presidenzializzazione, che sono fenomeni distinti sebbene collegati, ma più semplicemente nel senso che nelle scelte di voto è il candidato ad essere il faro più luminoso. Sistemi elettorali che prevedono il voto di preferenza e collegi relativamente ristretti rendono ancor più stringente il collegamento tra candidato ed elettore, rendendo così quasi irrilevanti liste, partiti e programmi. Insomma, specie in Campania e Puglia, le uniche due regioni ad alimentare la lista degli impresentabili, gli elettori che esprimono un voto di opinione sono un’esigua minoranza. Ancor meno quelli che, rifacendosi sempre alla celebre tripartizione dei tipi di voto, scelgono oggi in funzione della propria appartenenza ideologica (o anche solo partitica). Pertanto, il criterio che, con ogni probabilità, ha orientato la scelta di buona parte di coloro che non si sono astenuti è soprattutto la conoscenza personale, diretta o indiretta, del candidato. Si capisce allora che, per molti, le “rivelazioni” della Commissione antimafia sono state perlopiù ridondanti e dunque incapaci di avere un effetto sul comportamento di voto. In altri termini, è difficile pensare che, in elezioni come quelle appena svoltesi, un elettore voti un candidato “al buio”, senza sapere chi esso sia. E l’esperienza ci insegna che i trascorsi giudiziari, anche per motivi di mafia, non sono un ostacolo insormontabile verso il successo politico. Basti citare i casi dei sindaci dei Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose che, dopo la parentesi della gestione commissariale, si ripresentano e vincono nuovamente le elezioni. O, ancora, la scelta degli elettori siciliani che nel 2006 a Rita Borsellino preferirono Totò Cuffaro, poi finito a Rebibbia. Pur riferendosi a situazioni molto diverse da quelle appena citate, la stessa “problematicità” della candidatura di De Luca non emerge certo, agli occhi degli elettori, nel momento in cui il suo nome è inserito nella lista dei cd. impresentabili. Ciò non gli impedisce di vincere dapprima le primarie, poi le elezioni di domenica scorsa.
In conclusione, tralasciando gli aspetti che occupano la cronaca politica di questi giorni, la vicenda degli impresentabili attesta la natura prevalentemente simbolica dei codici di autoregolamentazione, incapaci, da soli, di resistere alle pressioni che si sprigionano quando la posta in palio diventa concreta e rilevante. Allo stesso tempo, attesta la debolezza di strumenti che, al pari di altre misure antimafia, risultano efficaci al costo di fare arretrare le garanzie e sacrificando i diritti individuali.