Tra poco, a Roma, avrà luogo la manifestazione organizzata da alcune associazioni di giovani di seconda generazione, in particolare l’associazione Nibi (Neri Italiani-Black Italians) e la rete G2. L'obiettivo è riportare all’attenzione della politica la questione della cittadinanza dei figli e delle figlie delle migrazioni. Ad essere rivendicato sarà il principio dello ius soli; in breve, si richiederà a gran voce di essere considerati – anche formalmente – italiani. Non voglio entrare nel merito dei contenuti di una rivendicazione su cui è già stato scritto molto e che la dice lunga sulla pochezza morale e civile di questo Paese di fronte alle trasformazioni in senso multiculturale, peraltro già costitutive del suo presente. Anziché sui contenuti delle rivendicazioni, vorrei concentrarmi allora sui soggetti che rivendicano: la manifestazione di oggi è stata promossa da giovani e saranno proprio i giovani a scendere in piazza. Osservare questo evento tenendo conto non solo dell’obiettivo politico in senso stretto e del fatto che gli attori politici in questione hanno un background etnico, ma anche adottando un’ottica generazionale – parliamo di poco più che ventenni –, consente di cogliere la complessa realtà in cui vivono i figli e le figlie dei migranti.
Ad essere rivendicato è il principio dello ius soli; in breve, si richiederà a gran voce di essere considerati – anche formalmente – italiani
Come riportano gli ultimi dati forniti dall’Istat, in Italia, al 1° gennaio 2018, erano presenti oltre cinque milioni di cittadini stranieri (5.144.440). Un dato che attesta il consolidamento della presenza straniera nel nostro Paese, soprattutto se si pensa che al 1° gennaio 2012 gli stranieri residenti erano poco più di 4 milioni (4.052081) e agli inizi degli anni Novanta non raggiungevano le 400.000 unità. Dei 5 milioni e poco più presenti nel 2018, oltre un milione (1.089.054) erano minori (0-18); un dato da cui si evince peraltro l’incremento tra i nuovi nati e i giovanissimi. Questi dati restituiscono con efficacia un’istantanea del profilo demografico dell’Italia contemporanea soprattutto in termini di presenza giovanile, ma poco ci dicono, per ora, sulle specificità di questo fenomeno dal punto di vista delle caratteristiche socio-anagrafiche dei soggetti e dei loro percorsi biografici. Da questi dati, infatti, non è possibile sapere se si tratta di minori ricongiunti o di soggetti nati in Italia, aspetto che, stando ai dibattiti sulle seconde generazioni, influisce, insieme alla provenienza, in modo significativo sui processi di integrazione.
Ma torniamo alla lettura generazionale della manifestazione di oggi. Da alcuni anni, in Italia, il discorso pubblico e il senso comune tracciano un quadro impietoso delle giovani generazioni: svogliatezza (nel cercare un’occupazione e lasciare la casa genitoriale), disinteresse verso la res publica e disaffezione verso la partecipazione politica sono le tinte oscure di questo quadro. Sappiamo, invece, che nella cornice di quella che viene definita una reinvenzione della politica i giovani sono gli attori sociali che in particolare scelgono forme non convenzionali e non istituzionali di partecipazione che si caratterizzano per nuovi repertori d’azione: i new media vi giocano un ruolo rilevante, il progetto politico è molto più sintonizzato sul breve e medio periodo e la dimensione individuale sembra scalzare quella collettiva. In questo Paese, negli ultimi anni, le seconde generazioni si sono rese protagoniste di diverse forme di attivismo. Benché le ricerche in questa direzione siano ancora embrionali, limitandosi all’analisi di singole realtà associative, sappiamo che i giovani di seconda generazione hanno dato vita a diverse realtà associative. Sono sorte associazioni (ad es. Giovani Musulmani d’Italia, Rete G2, Associna, Black italians), blog (ad es. YallaItalia, La Città Nuova del "Corriere della Sera"), emittenti radiofoniche e televisive (ad es. Babel tv), coordinamenti di gruppi (ad es. Conngi-Coordinamento nazionale nuove generazioni italiane), community (ad es. Nappytalia) che si differenziano per obiettivi (più o meno politici in senso stretto – spesso con la rivendicazione del diritto di cittadinanza al primo posto, altre volte con la rivendicazione di identità culturali ibride a partire dai tratti fisici e dall’estetica); per composizione (mono o plurietnica; mono-religiosa o trasversale alle appartenenze religiose); per organizzazione e livello di formalizzazione (con riferimento alla presenza o meno di cooperazione con partiti e sindacati o di una registrazione formale e uno statuto); per numerosità, nonché per i canali utilizzati (il web, in primis ma anche la radio e la tv).
Tra il 2011 e il 2012, la campagna L’Italia sono anch’io – forse tra le iniziative più note al grande pubblico – ha visto l’azione di numerose associazioni della società civile, di partiti politici, sindacati e di Comuni che hanno raccolto le istanze della Rete G2 in direzione della modifica della legge sulla cittadinanza e dell’ottenimento del diritto di voto ai migranti, attraverso una raccolta firme finalizzata alla richiesta di elaborazione di un disegno di legge di iniziativa popolare. Nel 2016, un movimento più spontaneo costituito dai soli figli e figlie dei migranti – #italianisenzacittadinanza – ha utilizzato la piattaforma Facebook, i flash mob e le "cartoline cittadine" recanti le biografie di molti giovani di seconda generazione per catturare l’attenzione dei media e influenzare il dibattito politico sul tema della cittadinanza.
In Italia, i giovani discendenti dei migranti sono soggetti con agency politica, cittadini di fatto che praticano la cittadinanza in forma nuova; sono giovani che esercitano il diritto di partecipare; che si indignano per le ingiustizie legate alla legge di cittadinanza ma anche al cambiamento climatico, alle disuguaglianze educative, ai tagli alla scuola e al futuro negato. Le seconde generazioni sono anzitutto costituite da giovani che – al di là delle origini culturali e delle loro appartenenze inevitabilmente multiformi – hanno il coraggio e la forza di dare voce al disagio in un Paese sonnacchioso che, anziché guardare avanti, strizza l’occhio alle ombre del passato.
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