Crisi e credibilità per le banche europee: Il via libera del Parlamento europeo al conferimento alla Bce del mandato per la vigilanza sulle banche dei Paesi dell’eurozona è un elemento cruciale verso l’obiettivo dell’unione bancaria.Gli altri tasselli dovranno essere un sistema per la gestione delle situazioni di crisi aziendale, fino a mettere in atto modalità di ristrutturazione che minimizzino i costi sui contribuenti, e un sistema unico di assicurazione dei depositi, come recentemente ricordato dal governatore Visco.

In un’economia moderna la moneta, costituita dalle banconote (in misura molto ridotta) e dai depositi bancari, in conto corrente e con scadenza a breve (uno/due anni), serve, oltre che come strumento d’investimento finanziario, per regolare i pagamenti, l’acquisto di beni e servizi e, soprattutto, per realizzare transazioni su mercati finanziari integrati su scala mondiale. Di fatto, gli ordini di pagamento avvengono quasi esclusivamente tramite piattaforme elettroniche, che direttamente o indirettamente movimentano depositi bancari. Da qui l’imprescindibile necessità che chi si veda accreditare questi depositi si fidi della solidità della banca su cui sono tratti. Se così non fosse, per cautelarsi dal rischio di inadempienza di una banca a onorare pienamente il proprio debito nei tempi contrattualmente previsti, occorrerebbe investire tempo e risorse prima di perfezionare una transazione, oppure rinunciarvi del tutto. In entrambi i casi verrebbe compromessa la fluidità negli scambi di mercato. I depositanti, per timore di perdere la ricchezza investita nei depositi, sarebbero spinti a chiederne il rimborso immediato, con il rischio che questa “corsa agli sportelli” possa accelerare, e quindi rendere meno gestibile, un’eventuale situazione di crisi aziendale conclamata, secondo le modalità rese magistralmente in pellicole come La vita è una cosa meravigliosa di Frank Capra e Mary Poppins e, con riprese dal vero consultabili in rete, come nel caso della banca inglese Northern Rock nel 2007.

Per le stesse ragioni di cautela, banche estere potrebbero preferire non concedere finanziamenti sul mercato interbancario a quelle di un determinato Paese, perché ritenute a rischio di inadempienza date le situazioni critiche della finanza pubblica. Ciò per il circolo vizioso per cui il peggioramento del merito di credito dello Stato peggiorerebbe ulteriormente le condizioni patrimoniali della banca in difficoltà, tramite la riduzione delle quotazioni dei titoli pubblici nel suo portafoglio e il conseguente aumento dei costi della raccolta dato il suo accresciuto rischio di credito.

La frammentazione su linee nazionali del mercato bancario, ovvero tassi d’interesse sui prestiti a imprese e famiglie molto diversi tra Paesi, ostacolerebbe, come sta accadendo in particolare dal 2010 nell’eurozona, il compito della Bce per una politica monetaria unica. Da qui la necessità logica, per il buon funzionamento dell’unione monetaria, di mantenere la fiducia dei creditori, e innanzitutto dei depositanti, che la promessa di pagamento di una banca, in qualunque Paese dell’area euro insediata, sia onorata nei modi contrattualmente stabiliti. Per fornire elementi credibili e confrontabili sulla solidità patrimoniale delle banche servono l’uniformità dell’assetto di vigilanza, in capo all’istituzione che ha il mandato sulla politica monetaria, ed è quanto la pronuncia del Parlamento europeo consente di avviare. Servono inoltre regole comuni su come gestire le situazioni problematiche individuate dalla vigilanza unica e le inevitabili crisi dell’impresa bancaria, con una chiara allocazione di responsabilità su chi debba porle in essere, mirando sia a minimizzare i costi per aiuti o salvataggi sui contribuenti sia a mantenere le garanzie nei confronti dei depositanti, almeno entro certe soglie massime dei depositi. È intuibile che su questi ultimi aspetti i nodi ancora da sciogliere sono molti.

Primo, quante sono le risorse finanziarie minime e a chi richiederle, per dare credibilità a un soggetto che debba disporre in tempi rapidi, prima che una crisi aziendale si avviti, ricapitalizzazioni di tutta o di una parte dell’attuale banca, incentivare potenziali acquirenti, gestire una bad bank che incorpori i crediti maggiormente a rischio ecc. Secondo, fermo restando il divieto di aiuti di Stato che si configurino come elemento distorsivo per il funzionamento del mercato unico, come mitigare il rischio che i salvataggi bancari ricadano sui contribuenti di altri Paesi, specie quando si sia in presenza di banche “troppo grandi per fallire”, ovvero tali da avere ricadute troppo costose sull’economia reale (l’esempio di Lehman Brothers è ancora fresco nella memoria collettiva). Terzo, come armonizzare le regole e in particolare le sanzioni, della vigilanza unica con assetti giuridici differenziati su base nazionale, senza dare la stura a molteplici contenziosi legali a difesa di interessi di singoli operatori, pubblici e privati, protetti dalle normative dei singoli Paesi. Quarto, come dare credibilità a un sistema di assicurazione dei depositi, con risorse accumulate con modalità privatistiche con premi pagati dalle banche e prevedibilmente quindi di dimensioni limitate rispetto a una crisi di dimensioni anomale, senza prevedere il ricorso a garanzie pubbliche. Ma in questo caso, come contemperare da un lato delle obiezioni, della Germania in primis, contro modalità surrettizie di mutualizzazione dei debiti pubblici e, dall’altro, i rischi che garanzie di singoli Stati a creditori delle banche possano tradursi in un aumento eccessivo del debito pubblico, con tutte le conseguenze prevedibili sulla solidità delle finanze pubbliche (vedi i recenti casi islandese e, nell’area dell’euro, irlandese e spagnolo).

Nel ricercare modalità che consentano di fronteggiare la persistente crisi economica è diffusa l’invocazione di un ampliamento di poteri e strumenti per la Bce per intervenire a favorire il credito bancario a imprese e famiglie, evocando l’esempio della Fed. È bene a questo riguardo ricordare che un elemento fondamentale del contesto di mercato bancario e finanziario unico in cui opera la Fed deriva da una innovazione storica sotto la presidenza Roosevelt nel 1933. Per evitare i danni che una caduta della fiducia dei depositanti nei confronti di banche monosportello, operanti all’interno dei confini dei singoli Stati, avrebbe avuto sulla crisi allora in corso fu introdotto un sistema di assicurazione dei depositi, con premi raccolti dalle banche e facoltà di ricorrere alla garanzia pubblica, gestito da agenzie federali incaricate anche della ristrutturazione o della liquidazione ordinata di banche in crisi. Il sistema ha dato buona prova di sé nella grande crisi delle banche di risparmio negli anni Ottanta e dopo la riforma dei primi anni Novanta e l’ulteriore test positivo nella recente crisi è l’ovvio punto di riferimento nel prefigurare l’assetto dell’unione bancaria nell’eurozona. Ciò in particolare vale per la parte relativa a come predisporre modalità tempestive di intervento prima che si arrivi a una crisi aziendale conclamata, secondo criteri prefissati per contrastare tentazioni di posporre decisioni costose in termini di consenso politico. Si minimizzano così i costi che una liquidazione affrettata potrebbe avere sul fondo costituito con il contributo di tutte le banche, anche quelle più prudenti, e, in caso di incapienza, sulle finanze pubbliche. date le dimensioni di una crisi diffusa o di casi di singole banche “troppo grandi per fallire”.

La realizzazione di una seria indagine sulla qualità degli attivi, che faccia emergere eventuali carenze patrimoniali cui in ciascun Paese si debba porre rimedio, in modo da far partire la vigilanza unica nel 2014 avendo fatto pulizia nei conti in tutta l’eurozona con criteri uniformi, è la prima cartina di tornasole per la credibilità del nuovo tassello dell’Unione economica e monetaria, dove il primo aggettivo ha almeno la stessa rilevanza del secondo. Una vigilanza unica, se gestita da un organismo indipendente e con elevata credibilità internazionale come la Bce, direttamente per le circa 130 banche più grandi e indirettamente, tramite le Banche centrali nazionali salvo casi particolari per tutte le altre seimila circa, renderà infatti meno difforme il trattamento delle imprese bancarie da quello di tutte le altre imprese nel mercato unico europeo. In prospettiva, mettendo a posto gli altri tasselli, la rottura del legame tra rischio di credito sul debito pubblico del Paese e quello della singola banca agevolerà i rapporti tra buone banche e buone imprese, dovunque siano insediate