Alla ricerca del centro. La vigilia del voto non si presenta sotto i migliori auspici per il leader centrista François Bayrou. Senza mai essere veramente riuscito a “decollare” nei sondaggi durante la campagna, è sceso a partire dalla seconda metà di marzo dal 15% delle intenzioni di voto al 10% circa nell’ultima settimana. L’outsider della campagna presidenziale del 2007 non riesce a riprodurre l’exploit di cinque anni fa, nonostante rimanga paradossalmente il candidato nell’insieme più gradito ai francesi. Diversi elementi possono spiegare le difficoltà di Bayrou, e in primo luogo il fatto che non sia mai riuscito a fare una campagna incisiva. Ha provato a lanciare il tema della “moralizzazione” della vita pubblica, da attuare tramite una serie di riforme istituzionali (quota di proporzionale alle legislative, riduzione del numero dei parlamentari, riconoscimento delle schede bianche alle elezioni), ma non è riuscito a colpire un’opinione pubblica preoccupata soprattutto dalla perdita di potere d’acquisto. Ha provato a servirsi dell’“Affare Merah”, attaccando tra le righe il presidente e la sua politica interna, ma questo episodio, spostando l’attenzione dell’opinione pubblica dal bilancio del presidente uscente alla capacità dei candidati di gestire la crisi, ha rafforzato soprattutto Sarkozy e segnato l’inizio del declino di Bayrou nei sondaggi. Infine, apostolo della “verità” contro la demagogia dei propri rivali, ha fatto dell’equilibrio delle finanze pubbliche il fulcro del suo programma, l’arma per risolvere il problema del debito pubblico e della disoccupazione. Denunciando la fuga in avanti di Sarkozy e Hollande, che scommettono su un’improbabile crescita per finanziare i loro programmi, Bayoru si pone come buon gestore della cosa pubblica grazie a una politica di rigore attorno a tre pilastri: incremento delle entrate grazie all’aumento dell’Iva, riorganizzazione dell’imposta sul reddito e riduzione di alcune agevolazioni fiscali; status quo su una serie di riforme già attuate, come quella pensionistica o quella che prevede la riduzione del numero dei funzionari pubblici (da ripensare solo se le finanze lo permetteranno); riduzione “drastica” delle sovvenzioni dello Stato e delle sue spese. Si tratta però di una politica piuttosto impopolare: in campagna elettorale la “verità” non ha molto successo.
Tuttavia, le difficoltà del candidato centrista sono molteplici e non vanno tutte ricondotte a scelte “infelici” adottate durante la campagna elettorale. Leader popolare ma poco carismatico, egli vede il suo spazio politico ridotto rispetto al 2007 nonostante sia riuscito a occupare da solo il centro dello scacchiere politico. E questo sia per la scelta del partito socialista di candidare Hollande con un programma di centrosinistra, sia per le conseguenze delle scelte che egli stesso effettuò all’indomani del primo turno, cinque anni fa. Nel 2007, Bayrou aveva potuto fare affidamento sull’insoddisfazione nei confronti dei principali leader e partiti da una parte, sulla polarizzazione della campagna elettorale dall’altra. La scelta dell’elettorato centrista, tuttavia, corrisponde meno a un rifiuto del tradizionale clivage sinistra/destra, sempre ben ancorato nella vita politica francese, che a una scelta ideologica, frutto dell’insoddisfazione nei confronti dei principali partiti, cosa che rende il MoDem molto dipendente della strategia di questi ultimi. E Hollande appare molto più in grado di Ségolène Royal di attirare una parte dell’elettorato centrista.
Ma Bayrou fa anche - e forse soprattutto - le spese delle sue scelte passate, in particolare la creazione del MoDem all’indomani del primo turno delle presidenziali del 2007 con la conseguente completa destrutturazione del centro. Non è riuscito né a dare al proprio partito l’apparato necessario a sostenere una campagna presidenziale, né a ricucire la ferita aperta nel 2007 con i centristi “di destra”. Non ha, infatti, raccolto attorno a sé l’insieme delle formazioni e dell’élite centrista. Si pensi ad esempio alla scelta del Partito radicale di Borloo o del Nouveau centre di Morin di sostenere Sarkozy. Non riesce a fare il pieno degli elettori moderati delusi dal “sarkozysmo” mentre nel quadro della V Repubblica, e data la strategia di Hollande, l’unica sua possibilità proviene dall’immensa impopolarità di Sarkozy. Nella configurazione di oggi, buona parte dei centristi “ideologici” pensa al voto “utile”, che sia per Hollande o Sarkozy. Lo testimonia l’estrema volatilità dell’elettorato di Bayrou: circa la metà di quanti dichiarano di voler votare per lui sono ancora indecisi sulla propria scelta al primo turno. E l’indecisione rimane molto alta anche al secondo turno, dove solo un terzo dei suoi elettori sa per chi votare, dividendosi quasi alla pari tra Sarkozy e Hollande. Si capisce, in questa prospettiva, la corte che gli viene fatta da entrambi i leader, benché, con un potenziale elettorale del 10%, il suo potere di ricatto appaia sempre meno forte.
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