Le polemiche fra Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, e la Rai, dopo il concerto del Primo Maggio, sono un caso emblematico per analizzare la complessità dell’informazione nella nostra società. La notizia è quasi banale nella sua linearità: un cantante molto popolare, tra i maggiori influencer italiani, accusa la Rai di censura. La Rai smentisce. A quel punto il presunto censurato mostra il video di una telefonata con gli organizzatori, che subito viene presentata da tutti gli organi d’informazione come la «pistola fumante».
A rendere ancora più netta la situazione ci sono i due specifici contendenti. Da una parte, l’atavico intreccio della Rai con la politica, con i partiti da sempre considerati i veri editori di riferimento («Il centralino della Rai ha il numero 643111: sei posti ai dc, quattro ai comunisti, tre ai socialisti e uno a testa ai laici minori», ricordava spesso Edmondo Berselli richiamando una battuta attribuita a Craxi). Quindi è fin troppo facile affidarle la parte della “cattiva”, dell’occhiuto potere censorio che tarpa le ali alla libera espressione. Dall’altra parte, uno dei «Ferragnez» ‑ la coppia italiana più cool sui social, che nel solo mese di marzo ha raccolto circa 150 milioni d’interazioni e durante il primo lockdown due milioni di euro per l’Istituto San Raffaele in un giorno e mezzo. Dunque, non un semplice cantante, ma uno dei principali leader d’opinione per le giovani generazioni, che spesso vengono a conoscenza di temi politici e di cause sociali grazie ai post e alle storie pubblicate dalla coppia sulle pagine dei loro social.
Cattiva reputazione contro ottima reputazione, che ridefiniscono significativamente i rapporti di forza. Ne consegue che se, alla smentita della Rai di averlo censurato, Fedez pubblica la telefonata avuta con gli organizzatori e la vicedirettrice di Rai3, dal cantante genericamente definiti «dirigenti Rai», questi appaiano irrimediabilmente goffi nel loro ruolo da conte zio di manzoniana memoria che invita a sopire, troncare…
Tutto sembra chiaro. I siti ‑ tanto quelli dei principali organi d’informazione, assenti dalle edicole proprio per il Primo Maggio, quanto quelli di gossip e di intrattenimento ‑ e, soprattutto, i social fanno diventare virale la telefonata. Come in una partita di calcio, la prova video appare inoppugnabile. C’è un però. La vicedirettrice Rai Ilaria Capitani dichiara che il video è stato tagliato così da omettere le sue parole in cui chiariva al cantante quali fossero le specifiche responsabilità della Rai e quali quelle degli organizzatori, di non voler censurare nessuno; ribadendogli di ritenere inappropriato il monologo, ma rimettendo allo stesso Fedez la decisione. Messa così sembrerebbe una divergenza di linea editoriale fra autori e artisti, con l’ultima rimessa a quest’ultimo, che però riporta il backstage on the stage e vince per distacco la partita dell’indignazione.
Con tanti problemi di varia natura che ci stiamo trascinando dietro in quest’anno pandemico, si dirà, perché spendere tempo con una questione del genere?
Il lettore si chiederà: con tanti problemi di varia natura che ci stiamo trascinando dietro in quest’anno pandemico, perché spendere tempo con una questione indubbiamente minore e già chiara? Domanda più che lecita, cui si può replicare che la vera questione è: come si fa informazione, chi la fa e con quali risultati. Come abbiamo visto, infatti, basta cambiare il punto di vista e i fatti assumono colorazioni differenti. È quindi opportuno analizzare uno ad uno i vari attori coinvolti.
I sindacati, innanzitutto, rimasti in assoluto silenzio fino a quando sono arrivati a esprimere una tardiva solidarietà al cantante, peraltro pressoché ignorata dai principali organi d’informazione. Sono loro ad aver fatto nascere l’evento nel 1990 per avvicinarsi a un mondo ‑ quello giovanile ‑ da cui hanno difficoltà a farsi ascoltare. Anno dopo anno, la manifestazione è diventata sempre più imponente, tanto da richiedere l’intervento di professionisti ‑ la iCompany, che produce l’evento, finanziato dalla Rai con mezzo milione di euro, per l’acquisto dei diritti di messa in onda su Rai3 e Radio2, e da un gruppo di sponsor (in quest’ultima edizione gli sponsor principali sono stati Intesa-San Paolo, Unipol ed Eni). Ormai i sindacati si limitano soltanto a promuovere l’evento, sebbene continuino ad essere indicati il più delle volte come i «padroni di casa». Così si spiega il loro silenzio. Dunque, il «concertone» non è più quello che tutti pensavamo fosse; bensì a tutti gli effetti una manifestazione canora come tante altre, con legittimissime finalità commerciali e conseguenti linee editoriali.
Ci sono poi gli organizzatori, che – in base alle varie ricostruzioni ‑ sembrano i più preoccupati a contenere il monologo del rapper. Gli interlocutori di Fedez al telefono appaiono impacciati e imbarazzati nel parlare di sistema, di contesto ecc. Sanno bene che innescare una polemica politica in casa Rai produce sempre grane e, di conseguenza, rende più difficili future commesse. La dirigente Rai avrebbe anche ragione a pretendere che siano ben contestualizzate le sue parole; ma conferma comunque la grande cautela editoriale vigente a Saxa Rubra; così come il suo amministratore delegato che ‑ dopo averla difesa ‑ si rende conto, per come si stanno mettendo le cose, di dover prendere le distanze dagli organizzatori.
Ma il vero «potere forte» del caso resta Fedez. Grazie alla sua popolarità raggiunge vette d’ascolto e di seguito che ribaltano totalmente i rapporti rispetto al colosso Rai. Si potrebbe dire: bene, grazie a questo la censura non è andata in porto. Certamente, ma un artista-influencer con un seguito di così vasta portata dovrebbe mostrarsi molto ma molto responsabile. Lui, come tante altre celebrities, sono orami diventati veri e propri media. Ecco: se denunci devi farlo in modo inoppugnabile, informandoti prima delle specifiche responsabilità dei vari interlocutori, avendo ben chiaro che cosa prevede il contratto che hai firmato. Se tagli il video devi dirlo, altrimenti l’hai fatto solo per fare in modo che la tua versione potesse risultare più convincente. Soprattutto, perché attraverso il video si perpetua l’illusione della trasparenza delle immagini, quella cattedrale di cristallo di cui ha parlato Massimo Mantellini in uno dei commenti più lucidi letti in questi giorni.
Vengo, infine, al vero sconfitto di tutta la vicenda: il giornalismo. Certamente, via via che dichiarazioni e contro dichiarazioni si susseguivano, gli organi d’informazione hanno cercato di presentare le ragioni delle varie parti; ma la pubblicazione del video di Fedez la sera del Primo Maggio ha connotato in modo irreversibile il senso della notizia. Come del resto accade sempre più spesso con le dirette o le differite via Instagram o Facebook di questo o quel personaggio.
Con la scusa che “così fan tutti” le testate si trasformano in mere cassette delle lettere, dove ha libertà di parola, senza alcuna verifica, soprattutto chi è più abile nella gestione della comunicazione social
Con la scusa che «così fan tutti» ‑ che nasconde, neppure troppo bene, l’evidente interesse economico derivante dal moltiplicare le visualizzazioni pubblicando tali contenuti ‑ le testate si trasformano in mere cassette delle lettere, dove ha libertà di parola, senza alcuna verifica o contestualizzazione, soprattutto chi è più abile nella gestione della comunicazione social. Ci si trincera dietro i fatti «che parlerebbero da soli», specialmente in un video che vorrebbe rappresentare il massimo dell’oggettività. Viceversa ‑ come appare evidente – i fatti sono sempre esposti da qualcuno in modo interessato, fosse anche soltanto per continuare a farsi pubblicità e mantenere intatta la popolarità conquistata (il che, di per sé; sia chiaro, non è certo un delitto).
Questo è l’aspetto più controverso e rilevante della vicenda: l’abdicazione di un giornalismo che si limita a pubblicare, commentare, e pure a sbeffeggiare, se a mal partito finisce l’antipatico di turno. Abbiamo letto che le spiegazioni della Rai possono anche essere comprensibili, ma che i dirigenti che le hanno pronunciate «avrebbero dovuto ben sapere di avere di fronte un personaggio più esperto di loro nel pilotare la comunicazione»: ma allora che ci stanno a fare i giornalisti? Non dovrebbero forse spiegare e interpretare i fatti dopo averli verificati adeguatamente e, possibilmente, compresi?
Ecco quella che a mio giudizio sembra essere la vera lezione da trarre: ci stanno lasciando soli, apparentemente fornendoci tutti gli ingredienti per farci noi stessi la torta. Ma noi cittadini non siamo pasticcieri e continuiamo ad aver bisogno di istruzioni per l’uso. Altrimenti finiamo nelle mani dei più abili o di coloro di cui condividiamo le ragioni, lasciandoci cullare dalle famigerate «bolle» informative, confortati nelle nostre convinzioni da ciò che ci piace ascoltare: in breve, da tutto ciò che è la negazione stessa dei principi dell’informazione libera e costruttiva.
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