La vicenda Gkn sta riattivando le relazioni tra le parti di un sistema-Paese rimasto congelato al '93, dalla stagione della concertazione e della politica dei redditi, in cui il mantra privatizzazione delle imprese pubbliche è stato accoppiato al processo graduale ma feroce di flessibilizzazione del mercato del lavoro e di compressione dei salari.
Trent'anni di erosione del tessuto produttivo microeconomico si sono accompagnati a un quadro macroeconomico di perdita di crescita e di esplosione della diseguaglianza, sia tra profitti e salari che tra cittadini. L'arrivo della pandemia - il grande amplificatore - ha causato l'accelerazione di tendenze pregresse, come i processi di delocalizzazione e digitalizzazione delle imprese. I licenziamenti collettivi derivanti da ristrutturazioni e delocalizzazioni sono solo all'inizio: 87 tavoli di crisi aziendale presso il ministero dello Sviluppo economico risultavano in corso nell'agosto 2021 con in gioco circa 100 mila lavoratrici e lavoratori.
Un caso esemplare, Gkn, un'impresa dell'automotive, per il contesto produttivo italiano di grandi dimensioni, che produce semiassi in larga parte per l'attuale gruppo Stellantis, rappresenta un punto di accumulazione di una molteplicità di tendenze che caratterizzano la manifattura: finanziarizzazione, partecipazione a una fitta catena del valore e tentativi di espulsione di forza lavoro. Il licenziamento dei suoi lavoratori e lavoratrici comporterebbe infatti la perdita di oltre 500 posti di lavoro tra i diretti e l’indotto a essa legata. Tale vicenda riporta l'attenzione su una lotta operaia, parola bandita dall'immaginario per molti anni, che occorre ripercorrere per capire l'urgenza di intervento richiesto alla politica economica.
Le parti: la proprietà. L'impresa è parte della multinazionale Gkn, tra i pochi fiori all'occhiello della meccanica specializzata e dell'automotive che ancora vantava la Gran Bretagna. Nel 2018 viene acquisita dal fondo speculativo Melrose, indicata dalla stampa inglese come la seconda acquisizione più ostile della City dopo l'assalto di Kraft su Cadbury nel 2009. Il fondo Melrose, noto per la sua strategia di monetizzazione e vendita di imprese produttive spacchettate e date in pasto ai migliori offerenti, non ha smentito la sua reputazione. Un anno dopo, Melrose iniziava la dismissione di parte degli stabilimenti del gruppo con la vendita di un sito in Germania (Walterscheid Powertrain Group) a un fondo di private-equity statunitense, anche per ripianare i debiti progressi aumentati con l'acquisizione di Gkn per 8 miliardi di sterline. Nell’anno della pandemia, Melrose ha segnato andamenti azionari negativi, con perdite delle vendite stimate intorno al 25-30%, imputabili alle crisi del comparto aereospazio e automotive. Ciò ha accelerato le strategie di «chiusura e spezzatino» di Melrose.
Le parti: le attività produttive dello stabilimento. Lo stabilimento Gkn Driveline di Campi Bisenzio, che nasce dal precedente stabilimento Fiat di Novoli acquisito nel 1994 da Gkn, è in larga parte dedito alla produzione di semiassi destinati a veicoli commerciali ex-Fiat (Ducato) e veicoli di lusso (Maserati e Ferrari). Alla data dei licenziamenti, 9 luglio 2021, il primo dopo l'accordo sblocca-licenziamenti del 29 giugno scorso, l'azienda appare solida dal punto di vista produttivo. In realtà, le condizioni economico-patrimoniali del sito hanno subito proprio dal 2018 un cambio di regime, rivelate anche dalla caduta della produttività del lavoro, delle vendite e dei margini di profitto. Ciò è accaduto nonostante fosse stata avviata a partire dal 2017, pre-Melrose, una sperimentazione considerata tra le allora più promettenti di Industria 4.0 - in sinergia con l'Università di Pisa - concernente un body scanner, costruito nelle officine di Campi Bisenzio, in grado di permettere il controllo digitalizzato dei flussi e eventuali scarti produttivi.
Le parti: l'organizzazione del lavoro. Peccato che l'utilizzo del sistema di controllo digitalizzato, secondo quanto raccontano gli operai del Collettivo di fabbrica nato nel 2018, in molti casi si è rivelato non solo inefficace ma anche gravoso in termini di sovraccarico dello sforzo umano richiesto per spostare i semiassi erroneamente identificati come difettosi. Scarti che se altrimenti monitorati dal controllo umano non sarebbero stati tali. Si direbbe un caso di digitalizzazione disfunzionale. D’altra parte, gli operai raccontano lucidamente l'assenza di una strategia di adozione dei nuovi artefatti tecnologici coadiuvata da processi di apprendimento sulle nuove macchine, l'assenza di ingegneri e progettisti in grado di integrare la macchina nel processo, ma anche la presenza di robot giapponesi di ultima generazione arrivati nello stabilimento e mai utilizzati.
Un management lacunoso che non ha coordinato efficacemente il processo di produzione e non ha predisposto la manutenzione dei macchinari, fronteggia un'organizzazione dei lavoratori, delle rappresentanze e in generale un livello di identità di classe peculiare nel panorama italiano. Il Collettivo di fabbrica è infatti stato in grado di esprimere la presenza di delegati e delegate di raccordo capaci di monitorare le fasi del processo produttivo e accompagnare figure di maggiore espressione manageriale come i team-leader, nel governo dell'organizzazione del lavoro. Un modello di relazioni sindacali, in parte comparabile a quello emiliano-bolognese presente in Lamborghini e Ducati, è in grado di intervenire anche sulla stabilizzazione degli interinali e di allargare le rivendicazioni ai segmenti di lavoratori e lavoratrici di imprese esternalizzate, ad esempio le dipendenti della ditta che gestisce l'appalto delle pulizie.
Le parti: il sindacato. Il 30 Luglio 2021 la Fiom ha presentato un ricorso per comportamento antisindacale della Gkn Driveline Firenze ai sensi dell’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970). Il giudice del lavoro ha condannato l’impresa a «revocare la lettera di apertura della procedura ex L. 223/91», e a «porre in essere le procedure di consultazione e confronto previste dall’art. 9 parte prima Ccnl e dall’accordo aziendale del 9 luglio 2020». La sentenza rappresenta un momento possibile di cambiamento per lo stato delle relazioni sindacali in Italia, riconoscendo in toto il ruolo delle funzioni e della pratica sindacale messo in atto in Gkn. Tuttavia non scongiura ma solo allontana la minaccia di licenziamento, una volta che l'informativa sindacale sia stata operata correttamente.
Le parti: lo Stato. Durante l'ultima seduta del tavolo di crisi su Gkn (7 ottobre 2021) la viceministra Todde si è espressa in favore dell'utilizzo di «tutti gli strumenti a disposizione, come il fondo salvaguardia, di cui dichiara l'immediata disponibilità, tramite Invitalia, a valutare la possibilità di applicazione. Auspica infine il ritiro della procedura di liquidazione attraverso un percorso condiviso dalle parti».
Il fondo salvaguardia tuttavia prevede che la partecipazione diretta acquisita (Equity) debba essere di minoranza; che l'intervento complessivo per singola operazione non possa superare l’ammontare di 10 milioni di euro; che ci sia un co-finanziamento privato; e che lo Stato esca in 5 anni dalla proprietà. Lo strumento, nato come risposta alle crisi d'impresa indotte dalla pandemia, mostra tuttavia in tutte le sue clausole di limitazione come la politica economica italiana sia ancora estremamente timida rispetto a un ruolo strutturale dello Stato nell'investimento di capitale pubblico per salvaguardare occupazione, salari, e competenze.
Inoltre, la proposta di legge anti-delocalizzazione in fase di discussione, immediatamente rivista al ribasso dopo gli strali di Confindustria e di alcune forze politiche, sembra prevedere esclusivamente delle forme di sostegno via ammortizzatori sociali specifici ai processi di delocalizzazione e digitalizzazione. Non è chiaro in che misura siano invece state accolte le intenzioni della proposta di legge avanzata dai Giuristi Democratici che fa appello alla funzione sociale dell'impresa. La proposta, che richiama l'art. 41 della Costituzione, sostiene fermamente che lo Stato, «in adempimento al suo obbligo di garantire l’uguaglianza sostanziale dei lavoratori e delle lavoratrici e proteggerne la dignità, ha il mandato costituzionale di intervenire per arginare tentativi di abuso della libertà economica privata». La proposta di legge chiede non solo garanzie occupazionali ma il diretto coinvolgimento dello Stato in strategie di recupero dell'impresa attraverso la formulazione di un Piano industriale dettagliato, approvato dalle rappresentanze dei lavoratori, e diritti di prelazione d'acquisto rispetto allo Stato e alla forza lavoro dipendente nelle imprese.
L'università incontra i lavoratori. Le implicazioni della vicenda riverberano oltre i confini della singola fabbrica. Tale consapevolezza ad oggi investe una buona parte della società civile come dimostrato dalle popolate manifestazioni lanciate dal Collettivo di fabbrica. Anche l’università deve fare la sua parte, soprattutto dopo che tanti suoi esponenti hanno per anni prodotto il brodo di coltura favorevole alle privatizzazioni e delocalizzazioni in un quadro di libertà estrema d’impresa e di circolazione senza limiti dei capitali. I saperi universitari devono quindi interrogarsi sulla vicenda Gkn e mettere a disposizione delle proposte percorribili. Un esempio in tal senso è stato l’evento organizzato presso la Scuola Superiore Sant'Anna che ha prodotto uno scambio proficuo tra le competenze della fabbrica e dell'università che interagiscono, in assenza di forme istituzionali esistenti, per rispondere al problema del costo sociale delle delocalizzazioni e all'assenza di una politica industriale di intervento che vada oltre gli ammortizzatori sociali temporanei.
A salvaguardia del lavoro, del salario e delle competenze di Gkn e del sistema-Paese tutto si richiedono misure di intervento strutturale programmate e continuative per rispondere al problema delle delocalizzazioni selvagge e per contenerne i costi sociali.
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